IV

Buio.
Aglæca continua a percepire quello stato di perdizione mentre la sua memoria cercava di assemblare gli ultimi fatti.
Il buio che sentiva aveva lo stesso odore di bruciato e polvere che sentii la notte che perse il suo villaggio.
Il buio che percepiva al tatto ero lo stesso di quando si svegliava nel bel mezzo della notte e l'unica cosa a consolarla erano le lenzuola sporche sotto si se.
Ero lo stesso buio che l'accompagnava quando, ancora prima di aprire gli occhi, sentiva la pelle sfiorata da una leggera brezza e il sole che le scottava il volto dalla finestra lasciata aperta.
Lasciò che quello stato di trance l'avvolse completamente sperando che la morte venisse a prendere anche lei.
Ma quando uno scricchiolio sconosciuto e un odore di rosa la destarono non poté fare a meno di notare che quelle sensazioni tanto distante non erano mai state così vicine.
Lentamente strinse la mano intorno ad una stoffa sotto di lei che era piacevolmente morbida e profumata, l'odore l'avvolse così intensamente che il suo corpo stanco ne chiedeva di più.
Sospirò delicatamente e si accorse che l'area putrefatta e bruciata aveva ceduto il posto ad un'atmosfera più pulita e mentre i suoi occhi si aprirono lentamente si accorse di aver fatto un sospiro più pesante, avida di poter sentire ancora quello stato di lindo nei suoi polmoni.
Gli occhi si aprirono, mostrando un tetto sconosciuto con delle arcate di legno scolpito, appena le palpebre si chiusero stancamente, un altro scricchiolio e un secondo respiro attirarono l'attenzione della ragazza.
I suoi occhi si spalancarono comprendendo, mentre capiva che si trovava in un luogo sconosciuto, iniziò a guardarsi in giro senza muovere la testa e quando vide che non c'era niente di pericoloso i suoi occhi si spensero una seconda volta maledicendo quello sforzo inutile.
Rise.
La seconda cosa che riuscì a percepire completamente fu una risata dolce e innocente.
Aprì gli occhi una seconda volta, questa volta con più decisone e con meno stanchezza, il soffitto sopra di sé era sempre lo stesso, dimostrazione che ciò che aveva appena vissuto non fosse un sogno o uno scherzo della sua mente.
Voltò la testa verso quel suono nuovo e in quel momento si rese conto che la sua testa era appoggiata ad un cuscino che emanava un profumo di rosa che si perdeva ad ogni movimento.
Quando vide la figura difronte a se si rese sempre conto della sua situazione.
Era adagiata su di un letto candido che contrastava con la stanza rotonda che conteneva un misero armadio di legno decorato con fiori dipinto da mano esperta ed una scrivania che oltre a qualche libro aveva un grande specchio da cui riuscì a vedere il suo riflesso sdraiato e stanco.
Voleva restare qualche secondo ad ammirarlo, per capire in che condizioni pietose fosse ma il movimento di un panno bianco la destó dai suoi pensieri.
La luce entrava da una finestra dall'altra parte della piccola stanza che ora veniva coperta da un corpo magro e pallido, Aglæca non osò fare rumore mentre la figura di volse verso di lei sorridendole.
-Finalmente ti sei svegliata.
La voce di lei era candida e leggera come la sua risata.
Il volto di Aglæca si arrossì leggermente cosciente del fatto che se anche lei avesse pronunciato parola sarebbe uscita una voce spessa e rovinata.
La sconosciuta non sembrò disturbata da questo atteggiamento, appoggiò il libro che stava leggendo sullo stipite della finestra e sorride dolcemente, quando la vide meglio le sembrava un quadro mai terminato, si immaginò il pittore che osservava la sua tavolozza priva di colori, la pelle era pallida come la luna e lunghi capelli dorati le corniciavano il volto, e il pittore, in un momento di pura follia, prese due gocce azzurre dal cielo più limpido e le collocò nei suoi occhi.
L'estranea si sedette a bordo del letto, in quel momento Aglæca si accorse della semplicità del suo vestito bianco e della trasparenza della stoffa, un'altra vampata di rossore ricoprì le sue guance bruciate e un'altra risata produsse la sconosciuta da quella reazione improvvisa.
-Io sono Snædis.
Snædis non smise di osservarla e così fecce Aglæca, cercando di evitare le sue gambe pallide che venivano coperto solo a metà, e le braccia nude che si erano avvicinate troppo secondo il suo parere.
In quel momento Aglæca si diede della stupida e osservando la ragazza dritta negli occhi si presentò con voce rauca e rotta.
Snædis la guardò in modo strano che fecce perdere un respiro ad Aglæca, la prima prese lentamente qualcosa dal pianerottolo vicino.
-Tieni, bevi un po' di questo. Ti farà stare meglio.
La ragazza le porse una piccola ciotola di legno con all'interno uno strano liquido arancione che rifletteva la luce del sole.
Aglæca si sedette nascondendo una smorfia di dolore e prese la ciotola sfiorando delicatamente le dita di lei e in quel momento si maledisse per i suoi pensieri.
Osservò il liquido e lo bevette avidamente senza badare allo sguardo di Snædis che la studiava incuriosita come avrebbe voluto fare lei.

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