s̶e̶n̶t̶i̶RE

Mi ha guardato a lungo.
Mi è sembrato di vederlo sull'orlo delle lacrime.
Ho smesso di sorridere.

«Non odiarmi.»

Non l'ha detto, non stavolta.

L'ho guardato, splendido e vulnerabile.
L'ho fissato, ma abbiamo occhi per guardare tutto, tranne per vedere quanto stiamo andando a fondo.

Forze chimiche che scappano alla ragione mi hanno impedito di fare due più due e il risultato dell'operazione matematica mi è stato restituito in tutta la sua asettica spietatezza.

Lo sento accarezzarmi l'epidermide, bordo affilato di un pugnale.

Sentire.

Chi non l'ha mai provato non potrà mai saperlo, ma è vitale come il respiro. E senza quello, senza amore, senza rabbia, il respiro è solo un orologio che fa tic tac, tic tac.

E io ho sentito il fuoco, guardandolo.

Il fuoco, breve e temporaneo, la definizione stessa di impermanenza, che ruggisce quando calore e combustibile si uniscono e si accendono. Danza affamato mentre tutto ciò che lo circonda annerisce e si accartoccia.

Non idealizzarmi, mi avevi avvertito.
Io resto, ti avevo promesso.

Parole danzano tra di noi, pulviscolo di cenere tra le fiamme della verità, quella taciuta e quella deliberatamente ignorata - anche stavolta siamo due lati della stessa medaglia, lo hai notato?

«Non potrei mai odiarti, comunque.»

L'ho detto, perché anche quando non parlava, io lo ascoltavo. E l'ho detto mentre contavo le vittime, quantificavo i danni, misuravo la cicatrice. Mentre pensavo che avrebbero dovuto incidere un taglio di circa quindici centimetri, ricucire, inserire un drenaggio, e tutto questo avrebbe lasciato dei segni. L'ho detto mentre immaginavo una mutilazione insopportabile al centro del mio sterno, e ogni volta che sarei stata a nuda si sarebbe visto solo quello, la degradazione del mio essere, l'avvilimento, un'opera in decomposizione.

Ma, nonostante tutto, è vero che non ti ho odiato.

Tu hai solo tirato via il lenzuolo e acceso la luce, mostrandomi che non c'era nulla sotto, non c'era un principe o un fauno, un guerriero troppo impegnato con la sua guerra interna, un giullare dalla vita breve come quella di una farfalla - mi sarebbe bastato anche quello. Non c'era un licantropo pronto a graffiarmi o Narciso che ama solo sé stesso, e nemmeno Achille troppo impegnato a pensare al suo tallone.

Avrei accettato chiunque di loro.
E tu li hai uccisi tutti, hai soffiato via le illusioni come un bambino che si diverte a fare bolle di sapone.

Perché non sei nessuno di quei personaggi fanciulleschi e artefatti, tu. Tu non hai nulla a che fare con loro e non puoi esserne nemmeno minimamente paragonato. Non sminuirti, mai.

Tu sei Re.

«Io esisto.»

È tutto qui, il mio Re. In quelle due parole abbottonate bene, sismiche. Ho tremato. Ho tremato realmente, se mi avesse toccato se ne sarebbe accorto, un tremore così potente da disarticolarmi, e non è stata solo colpa del freddo.

La risposta che attendeva era un inizio o una morte.

Ma se tu esisti, allora io resisto.

È frugale, banale, ma lui ha l'oro negli occhi e tutti i suoi mondi in testa che mi attirano come sirene. E poi ha un sorriso da farci l'amore fin quando fa male, fin quando ce n'è. E io, in quel sorriso, ci faccio stare tutto: la consistenza della sua pelle sulla mia, i baci voraci, i corpi in lotta, poi la sazietà, il riposo, la sua comparsa, il freddo pungente della terrazza, le parole, doveva succedere, facciamo attenzione, la connivenza colpevole, la magnifica collusione di due a cui la vita sta stretta.  

Gli chiedo: e tu, hai paura?
Risponde di getto: no, non per me.
Lo provoco: dici così solo per farmi piacere. Risponde con serietà: non sono uno che cerca di far piacere, dovresti essertene accorta.

Sì, me ne sono accorta.

Abbasso la testa, controllo se sto ancora sanguinando.

«La bacerò io la tua cicatrice, se vorrai.»

Occhiali da sole, c'è troppa luce. Non posso odiarti, perché sfidarmi a superare i miei limiti, non è lo stesso che violarmi. E mentre rimetto insieme i cocci e cerco invano nei meandri più profondi del mio essere qualcosa che non sia avvelenato di follia, ti sussurro: «Sì, ti voglio.»

Perché le carezze più belle sono le attenzioni sulle ferite che nessuno ha mai curato.

Perché so già che il mio cuore gli resterà appiccicato sulle labbra.

Non lo odio, non potrei mai.
Sfidarmi a superare i miei limiti non è lo stesso che violarmi.

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