Natura morta
L'arte è opinabile e io nella mia vita ho voluto sempre e solo certezze.
Giuste, ingiuste, accettate o inaccettabili, purché decisive.
Le certezze, tutte, sia quelle belle che quelle orribili, sono rassicuranti. Sono i sassolini che mi consigliavano di mettermi nelle tasche durante le giornate ventose. «Se no, voli via.» dicevano. Così ho appesantito i cappotti e ho relegato la leggerezza ad angoli introvabili, nascosti nella federa del cuscino.
Siamo distanti, complicati, disinteressati o troppo euforici. Siamo fragili come enormi blocchi di ghiaccio e resistenti come tele di ragno.
Siamo incomprensibili, distratti, senza futuro, con un futuro già scritto.
Siamo innamorati persi, del cambio delle stagioni, delle storie che leggiamo nei libri, delle carezze su punti nascosti, delle pause in cui possiamo fermarci a parlare per cinque minuti, prima di tornare alla stessa vita.
Siamo confusi, esausti, apatici surrogati di noi stessi che fingono di aver smesso di sognare. Stronzi, provocatori, sadici e masochisti, fatti di canto e silenzio, desiderio e privazione.
Siamo in mille e mi sento sola.
Siamo in due e mi sento apposto.
È successo tutto troppo in fretta per renderci realmente coscienti. La bocca, impaziente, ha cercato la tua senza nemmeno concedere alle pupille il tempo di metterti a fuoco e si è appropriata di quel sapore di vita e di caffè amaro. Volevo saccheggiarti il respiro, affogare tra quelle labbra, avvertirle umide e pulsanti sotto i denti e la lingua.
Con te mi sono sentita per la prima volta capace di ammettere la vastità dei miei dubbi, di riconoscere l'esistenza di quella parte di me che assapora l'odio come la prova di qualcosa di nobile e perspicace. Mi consolava dire che amavo non te, ma ciò che mi davi.
Ma non era quella l'essenza dell'amore? Gratitudine per ciò che qualcuno ci aveva fatto sentire?
Io fatta di sole, di prosecco e disperazione.
Tu di sale, di pianti nascosti e spalle larghe.
Mi hai afferrato da lì, il punto più tenero della nuca, e non ho avuto paura di mostrarmi vulnerabile con te. Saette di piacere a farti fare di me ciò che volevi, tempeste di brividi e pioggia e acqua e laghi.
Eccitazione la mia, la tua, eravamo, anzi siamo anima-li.
Eravamo anime e gambe intrecciate.
Io fatta di buio, prosecco e film che non guarderò mai.
Tu di voglia di vivere, intransigenza e bugie.
Bugie, sì.
Perché mi hai fatto credere che sarebbe stato facile, mentre adesso non vedo più una via di uscita. Era solo un'illusione, una di quelle che sono state capaci di bucare il muro di gomma che mi ero costruita attorno, quello che mi dava un'identità perché era semplicemente tutto ciò che ero.
Chi sono adesso?
Adesso mi sento natura morta, come quei quadri con la frutta lasciata a marcire su un tavolo, quelli che non piacciono a nessuno perché nessuno si prende davvero la briga di guardarli.
Ar-TE.
Facile come ti ritrovo in ogni posto.
C'è un quadro famoso: I nottambuli, di Edward Hopper. A volte penso che noi tutti siamo come i personaggi di quel quadro: ciascuno perso nel suo universo privato fatto di dolore o di tristezza o di senso di colpa, ciascuno distante e impenetrabile.
Mi spezza il cuore.
Mi fa pensare a te.
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