Comple(men)tare
Dicono che se si nasconde troppo a lungo il nome di una persona amata sotto la lingua senza pronunciarlo, diventa sangue.
Forse è per questo che ti sento pulsare, dentro, anche quando non ci sei, anche quando è l'ora di tornare. Perché arriva sempre il momento di tornare. Perché ogni estate finisce. E ogni volta la sensazione è straziante. Quando ero piccola il segnale me lo dava la morte dei girasoli sul terrazzo di mia nonna: il momento in cui le loro teste gialle si annerivano e si inclinavano verso la terra secca, capivo che si avvicinava il ritorno a scuola, che il sole e l'ozio erano ormai agli sgoccioli, e precipitavo in un abisso di malinconia.
La stessa sensazione oggi me la regala il susseguirsi di paesaggi aldilà del finestrino di un treno che stavo per perdere e che in fin dei conti avrei perso volentieri.
Ci libereremo mai di queste catene di dovrei per lasciare tutti i vorrei liberi di svolazzarci attorno assieme ai più colorati e veloci desidero?
«Lepidotteri.» lo pensi storcendo un po' la bocca, canini bianchi appena appena scoperti che hanno il potere di costringermi a stringere le gambe. Bellissimi insetti, certo, ma dalla vita breve, troppo breve per uno che è abituato a dosare il piacere con il dolore con la meticolosità di un chimico nucleare per prolungarne durata e intensità.
Ma, a ben vedere, la nostra lontananza è solo una bugia. Fa male, è vero, anche l'amore fa male, quelle di Cupido sono pur sempre frecce. Ma separata da te, non lo sono mai.
A volte ti sento.
A volte racconto alle pareti bianche chi sei.
Ma non dico mai il tuo nome ad alta voce.
Lo nascondo sotto la lingua.
Casa tua sembra un castello. Ci vissero tutti felici e contenti alla fine? Ti guardo e ti ascolto e vorrei baciare la tua voce e il palmo della tua mano, i tuoi occhi, toglierti i vestiti e cercarti adosso tutto quello che di me ho scoperto. Mi nutri l'anima e nel frattempo cucini per me, evochiamo il nostro passato personale, ci regaliamo spicchi di presente tagliati a piccoli tocchi. Sono conversazioni impressioniste, un quadro puntinista di Seurat.
A un certo punto restiamo in silenzio e, a poco a poco, mi tranquillizzo, imparo addirittura ad amarlo, questo silenzio, ha consistenza, appartiene solo a noi. Mi guardi di sottecchi mentre scoli la pasta e le tue parole dirompono inaspettate e fanno eco alle mie, che vigliacche si limitano a giocare a nascondino nei labirinti della mia mente.
«Perché io?»
Ci facciamo le stesse domande, tu ed io. Non ti basta come risposta, amore?
Perché la luna è attratta dalla Terra?
Perché si susseguono le stagioni?
Perché le stelle esplodono?
«So che volerti, per me è più facile che lasciarti, e che è contro questo che lotto da mesi e so che ciò che provo è più forte, anche se certi giorni vince il dolore. So che in certi momenti ho bisogno di spezzarmi e so che sono infantile perché mi dico che è una follia, che un futuro a noi forse nemmeno è concesso, che nessuno capirebbe visto che non lo capiamo noi per primi. Ma sono egoista e codarda, così tanto da non riuscire a lasciarti andare: a vincere su tutto è sempre lei, la paura di perderti, il terrore di immaginarmi senza di te.»
Non c'è niente in tutto quello che ti dico che risponda alla tua domanda. Eppure, tu sei qui che mi fissi, con occhi colmi dell'amara rassegnazione di chi viene tirato a forza giù dal cielo e rimesso con i piedi per terra. Non ci sono parole che possano riempirli di altro e allora ti prendo il viso tra le mani, accarezzandolo, e ti bacio. Siamo feriti, rotti, a pezzi. Ci iniettiamo dolore e sappiamo come farci male, ma curarci, raggiungerci, volerci, resta quello che ci viene meglio. Ci ricuciamo l'uno sull'altro, senza parole, arresi a un'unica necessità.
Nella testa, un unico sogno, quello di baciarti il sorriso, alla luce del sole, sfidando ogni Dio. Con la stessa avidità e con la stessa dolcezza, con la stessa impudenza e con così tanta lascivia che forse persino Dio avrà vergogna di sporgersi e guardarci.
Fin dai tempi di Michelangelo, gli scultori avevano l'abitudine di nascondere i difetti il delle loro opere colando cera fusa nelle fessure per poi coprirla con polvere di marmo. Il metodo era però considerato un inganno e, quindi, qualunque scultura sine cera era considerata un'opera d'arte perfetta, pura, autentica. È da qui che si origina il termine sincero.
Ho pensato a quanto impegno mettiamo, ogni giorno, nel riempirci di cera davanti a chi amiamo, per la paura che, sfregiati, non saremmo amati per quelli che siamo davvero. Quante volte restiamo lì, a fissare il soffitto, a guardare fuori dal finestrino di un autobus, un panorama, un tramonto, con un solo, unico pensiero: «C'è qualcuno disposto a stringere queste mie mani, i graffi, la pelle ruvida, sine cera?»
Perché forse è questo il nostro desiderio più profondo. Trovare un "tu" davanti a cui, con pudico tremore, scoprire le nostre crepe.
Io non l'ho incontrato, quel tu.
L'ho semplicemente riconosciuto.
Come te lo spiego il perché? Come lo spiego un bisogno così disperato di toccarti, di essere toccata da te, di sentirti, la sensazione di essere in equilibrio sul ciglio di una scogliera, come se stessi per precipitare in un universo parallelo dove nessuno riuscirà mai più a trovarmi? Come faccio a spiegarti davvero "perché tu"?
Tu, per il desiderio che ti porti dietro. Il piacere di sentirlo, il piacere di farlo vedere, il piacere di trasmettermelo.
Tu, per il desiderio che mi metti dentro, nelle vene, nei polsi, negli occhi. Per la sensazione di onnipotenza che mi lasci provare quando dici che ti violento i pensieri. Per la sensazione di onnipotenza che provi quando tu fai lo stesso con i miei.
Sei tu e nessun altro, perché sono perdutamente innamorata della voglia che hai di stupire, costante e spasmodica, quasi ingiustificata per come riesci ad apparire già straordinario in tutto ciò che fai. Sei tu e nessun altro per la tua voglia di sentirti scaldato dai pensieri segreti che porti con te, per la voglia che hai di indossare la mia voglia, di non indossare niente, per sentirti libero, per sentirti eccitato, per sentirti eccitante. Di te mi piace il desiderio di comunicarmi quello che fai, di farmelo sentire in tutto il corpo, di lasciarmi senza fiato. Di tenermi in attesa, di parlarmi, di raccontarmi, di rendermi impossibile non raccontarmi tutta.
Sei tu perché mi piace come mi fai ingelosire, senza volermi gelosa, per sentirmi tua. Sei tu perché mi viene naturale sentirti mio, anche se non lo sei davvero.
Sei tu, tu soltanto, per i pensieri indecenti che accendi, il modo in cui mi vuoi, in cui mi pretendi, in cui ti vuoi sentire preteso. Mi piace che mi vuoi accondiscendente e istruita, e allo stesso tempo accudita, venerata in ogni lembo di pelle e di anima che ti lascio scoperto. La dolcezza che ti sgorga dagli occhi quando mi guardi, quasi volessi iniettarla al cuore attraverso il nero liquido delle pupille. Fissi, avidi, affamati i tuoi occhi, mai sazi di noi, di quel sapore di stille e gemiti.
Sei tu per il modo in cui mi stringi. Il modo strano che hai di incatenarmi, incredibilmente atipico, dato che non ci sono corde né lacci, solo qualche ordine sussurrato a mezza bocca. Quella mezza bocca, ora appoggiata, ora lieve, ora impressa sulla carne o con denti abbozzati, suggeriti, nemmeno troppo convinti.
E quei soffi d'alito a un passo dalla pelle, la voce, increspata e poi sicura, ansimante o beffarda, e poi la lingua, così vicina, sempre troppo lontana...
Sei tu per la tua voce.
Per la tua schiena. Oh, per quella morirei.
Li rivedo: i fianchi a muoversi, le spalle a dimenarsi, la spina, adorante nei suoi scatti improvvisi, a indicare il sentiero, e nascondere il cammino - il cammino di quei baci, e i brividi, quelli sì che rimangono, scia di sospiri, somma di suppliche, richieste, richieste, richieste d'amore.
Sei tu per i baci. I tuoi baci che sono ormai ombre, quasi ricordi, non da cancellare, da sottolineare.
Perché tu?
Non è banalmente perché mi sei la cosa più cara, che mi riempie le giornate o che mi fa stare bene. Anzi, so di te appena cosa sei - un mondo da esplorare - ed è la tua assenza a riempire le mie giornate, la tua mancanza a farmi male.
Sei tu per il semplice fatto che sei per me il coltello col quale scavo dentro me stessa.
E bruci d'infinito.
E se tu arrivassi diciamo per caso, diciamo senza preavviso, tipo ora, io ti saluterei con un "Ciao, straniero", soltanto per farti un complimento, per ricordarti quanto bella è questa tua estraneità alla realtà comune che ci vuole schiavi nella mente e soldati nel cuore. Perché uno come te è un idealista che non ci sta in un cassetto o in una frase da baci perugina; uno come te se fa un sogno ad occhi aperti, sveglia anche me. Sei un mondo intero, contieni l'alba di Istanbul, il gelo della Tundra, l'immensità della route 66, fai fiorire ciliegi in Giappone per disegnare i confini dell'altra metà di Roma, dove portano tutte le strade.
E ora che sono su questo treno mi chiedo, chissà se lo sai che dal finestrino il paesaggio oltre il vetro sei sempre tu.
Chissà se lo sai che io davvero non lo so come fare per diventare ciò che ti manca.
Chissà se lo sai che mi hai dato qualcosa che non sapevo di volere, e adesso non so più come smettere di volerlo.
🔗
Spazio Autrice.
Ritagliare questo spazio, oggi, mi serve per chiedere sinceramente, dal profondo del mio cuore, scusa alla persona a cui è dedicato questo scritto.
Scusa, perché se lo rileggo ancora una volta va a finire che non lo pubblico più e invece le parole che ispiri si spintonano e fanno a cazzotti ed è tutta una gran confusione, un circo massimo di pensieri pagliacci, emozioni trapeziste e sentimenti che fanno i funamboli in cerca dell'equilibrio.
È che mi sento analfabeta nei loro confronti, delle parole intendo. Sono tutte troppo grandi, troppo semplici, riduttive, esagerate, stronze, smielate, folli, impossibili, spiazzanti, crudeli, candite, sono troppo.
Sono troppe cose.
Come noi.
Ma ci tenevo comunque a fartele leggere, sine cera, come lo sono stata io con te quasi da subito, quasi inconsapevolmente.
Anche perché, probabilmente sarebbe più difficile ancora pensare a un messaggio da scriverti più tardi per augurarti un felice anno nuovo, pieno d'amore.
E pieno di me e di te.
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