Una minuscola bara bianca
«Azz... L'età della madre è considerata come fattore di rischio?»
«A quanto pare sì. Oltretutto in sala d'attesa due stupide ventenni stavano cianciando senza far nulla per non farsi sentire e dicevano che le madri quarantenni potrebbero finire soltanto in qualche porno fetish. Le avrei uccise. Le mocciose ce l'hanno con noi, accidenti» sbotto esasperata.
«E questo non ti incuriosisce?» Lelly è divertita e io afferro al volo il perché.
«I cani attaccano quando hanno il timore di essere attaccati a loro volta» sorrido, pensando a quanto le ragazzine a volte cadano nello scontato. D'altra parte l'esperienza non è gratis.
«Appunto, ciò vuol dire che ci temono» dice con voce trionfante. In effetti ha senso. Perché attaccare soggetti ritenuti innocui, solo per il gusto di dare aria alla bocca e passare per zotiche? Sotto sotto la paura di entrare in competizione con una donna fatta genera qualche bruciore di stomaco. L'idea mi sgancia all'istante dalla nuvoletta che se ne stava parcheggiata sulla mia testa dal giorno del mio quarantesimo compleanno.
«A loro avviso noi puzziamo di muffa tanto da essere inavvicinabili. Sono convinte che non abbiamo più nulla da offrire a un uomo, né come donne né tanto meno come potenziali madri. Ma poi, quando devono mettersi in competizione con noi, hanno una paura fottuta. Dopotutto una non arriva a quarant'anni senza un minimo di esperienza. Quel temuto bagaglio personale spesso contiene armi a loro sconosciute» spiega soddisfatta schioccando la lingua. Me la immagino mentre traccia tanto di grafico, armata di pennarelli colorati, su una lavagna a tutta parete. Sospiro e lei continua.
«Parlando di faccende serie, a che ora è il funerale della piccola?» il suo tono cambia completamente.
«Alle sedici» l'idea di vedere una bara bianca lunga meno di mezzo metro mi uccide.
«Povera Federica, ci mancava solo la perdita della piccola, dopo il licenziamento del marito» mormora con tono triste.
«Con il mutuo da pagare. Un macello» aggiungo.
«Cercheremo di starle vicino, ma non sarà facile dato che entrambe siamo incinte e lei ha appena perso la sua bambina.» È come sparare sulla croce rossa.
Quando giungiamo davanti alla chiesa, con Lelly esasperata dall'aver girato quasi mezz'ora per trovare parcheggio, ci troviamo davanti a un piazzale gremito di gente in nero. Proprio in quel momento il carro funebre si fa spazio lentamente, tra la persone che si dispongono ai lati del sagrato, in un silenzio quasi surreale. La piccola bara viene estratta da due uomini elegantissimi, in guanti bianchi. Ovunque fiori, peluche, gente in preda ai singhiozzi. Federica arranca verso l'ingresso della chiesa, piegata dal dolore, sorretta dal marito e da un'amica. Sembra sul punto di svenire, mentre segue la piccola bara bianca. Lelly e io ci fermiamo di lato, per lasciar passare i familiari che seguono i genitori della piccola Silvia.
La chiesa è stracolma, ma il momento più straziante è quello della tumulazione al cimitero. Solo alla fine Lelly e io riusciamo finalmente ad abbracciare Federica.
«Silvia è un piccolo angelo che guiderà te e Marco» le sussurra Lelly, mentre io non riesco a smettere di piangere e mi limito ad stringerla forte. Federica trema, piange e ovviamente non ha la forza di dire una parola.
Un attimo dopo viene presa d'assalto da altri amici e parenti.
Lelly e io ci incamminiamo in silenzio verso l'uscita.
«Solo una nuova maternità riuscirebbe ad alleviare il suo dolore, ora. Dovrebbe riprovarci subito, secondo me» dice lei a un certo punto, mentre prendiamo posto nella sua auto.
«È un tema controverso. Un figlio non si rimpiazza.» Mi allaccio la cintura, fissando con sguardo spento l'ingresso del cimitero.
«Nessuno parla di rimpiazzare, ma di dare un senso alla propria vita sconvolta dal dolore. Se fossi al posto di Federica vorrei immediatamente un'altra gravidanza, senza per questo avere la sensazione di mancare di rispetto alla piccola Silvia.»
Lelly s'immette nel traffico cittadino e i semafori rossi stanno stretti a entrambe, ne becchiamo troppi, tutti in sequenza. Diamo segni di insofferenza, brontolando ad ogni rosso che scatta.
«Io invece credo che avrei bisogno di tempo per elaborare la perdita di Silvia, la morte di un figlio è un dolore che ti disintegra» sento le lacrime bruciare ancora, non riesco a calmarmi.
«Secondo me Silvia vorrebbe vedere la sua mamma felice, senza troppe paranoie» l'espressione di Lelly è impenetrabile.
«Sicuramente, ma a mio avviso Federica deve avere il tempo di capire e accettare la disgrazia che le è capitata. Precipitarsi alla ricerca di un altro bimbo rischia di essere controproducente, ha seppellito la sua piccola oggi. Con lo stress e il dolore che si ritrova addosso se rimanesse incinta rischierebbe di abortire. Per me è troppo presto» insisto, mentre Lelly si ferma davanti al cancello di casa mia.
«Forse. Ma potrebbe anche darle la forza di accettare una perdita così mostruosa» prende la sua borsa dal sedile posteriore e la piazza su quello di lato al suo.
«Ora deve pensare a riprendersi, il resto aspetterà. Grazie del passaggio.» Lelly riparte mentre io sono già voltata di spalle.
Passo il resto del pomeriggio sul divano, alle prese con un'enorme confezione di gelato al cioccolato e ciliegia, davanti alla tv. Inutile dire che Lelly mi ucciderebbe se mi vedesse, ma non riesco a smettere di pensare a quella piccola bara, avvolta nel tulle rosa e coperta di fiori e peluche. E al bambino che ho perso. Quando Ricky ritorna dal lavoro mi trova addormentata, con la ciotola di gelato vuota posata sul tavolino. Sto russando come una motosega. Mi scuote leggermente e io sobbalzo.
«Ciao, vedo che ti sei data da fare» commenta afferrando la confezione da un chilo di gelato, perfettamente ripulita.
«Mi piacerebbe sapere come avresti reagito tu, la bara era sotto il mezzo metro. Certe cose non dovrebbero succedere nemmeno negli splatter, è stata una cosa inaffrontabile» replico mettendomi lentamente a sedere.
«Questo non vuol dire che devi rischiare l'intossicazione. Vedrai che Federica e Marco si riprenderanno, anche se ci vorrà tempo» mi accarezza una guancia, guardandomi attento.
«Non credo che riprendersi dopo una faccenda del genere sia così banale» mi alzo diretta in bagno, la mia vescica è prossima alla detonazione. Giusto in quel momento suonano alla porta.
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