Il boss e la squadra

Ci ho rimuginato tutta la notte. Stamattina devo andare dal boss e presentare il pezzo di carta più odiato dai datori di lavoro: il certificato di gravidanza a rischio. Odio l'idea di doverlo fare, ma non ho altra scelta.

Ricky mi sorprende seduta su una sedia di plastica, nel nostro balcone vista parcheggio.

«Che ci fai qui? Ti godi i gas di scarico?»

Lui è bellissimo, tanto per cambiare, spettinato e assonnato. Io sembro evasa dalla cella salme. Non è giusto.

«Strepitoso, eh?» guardo il parcheggio con aria sconsolata.

«Mi sembri a terra, che succede?» La notte scorsa è stata uno schianto, abbiamo fatto l'amore per ore. Difficile immaginarmi il mattino seguente seduta su una sedia di plastica con una faccia da funerale esemplare.

«Devo portare la letterina al capo, stamattina. Non sarà un'esperienza dei sensi» mormoro con aria distratta.

«Anche lui è papà, capirà, stai tranquilla. E stando a quel che mi racconti è uno piuttosto comprensivo.» Per Ricky è lineare, logico, privo di complicazioni anche solo potenziali. In realtà la strada, vista con gli occhi di una donna incinta, è totalmente in salita.

«Io comunque sono tesa e mi calmerò soltanto quando mi sarò tolta questo peso dallo stomaco» inizio a dondolare con la sedia. Ricky rimane a corto di argomenti.

«Vedrai che andrà tutto bene, smettila di farti tutte queste seghe mentali» scuote la testa, lo sguardo cupo.

«Mi pesa molto non poter lavorare per tutto quel tempo, ma devo pensare al piccolo ora.» Mi alzo lentamente e me ne vado in camera a cercare qualcosa da indossare che non mi strizzi.

«Mi pare saggio. Non farti troppe paranoie, in ufficio sanno quanto ti piace il tuo lavoro, capiranno che sei all'angolo. Non hai deciso tu di metterti in maternità, l'ha deciso il medico, che avrà avuto i suoi buoni motivi per obbligarti al riposo forzato.» si abbottona lentamente la camicia mentre io indosso pigramente un pantalone nero.

«Però eviterei volentieri questo match, mi fa stare male» sono sempre più tesa.

«Vorrà dire che dovrò concederti doppia razione di coccole stasera, così ti riprenderai» lo sguardo malizioso di Ricky cade sulla tutina di latex, abbandonata sul pavimento, accanto al letto. L'ho indossata decisamente poco, mentre il film l'abbiamo visto tutto. Non abbiamo mai riso tanto.

Arrivo in ufficio e faccio il mio ingresso trionfale, camminando con passo incerto. Respiro a fondo. Il capo è già in postazione, come pure tutti i miei colleghi. Uno alla volta staccano gli occhi dai monitor e mi fissano con aria interrogativa. Mi sforzo di sorridere. Il loro sguardo diviene subito insistente e incuriosito.

«Buongiorno a tutti» l'esordio è decisamente poco convincente, ma l'unica cosa che voglio è uscire di lì nel più breve tempo possibile. So che non sto facendo nulla di male, ma sono un fascio di nervi comunque. Mi guardo intorno e la mia riserva d'aria subisce un drastico calo. Il capo mi fissa. Sono ferma, in piedi, accanto alla sua scrivania. Malgrado il mio stomaco sia impegnato in un'accesa discussione con il mio intestino retto, cerco di mantenere un contegno. Riesco quasi ad apparire rilassata.

«Devi dirmi qualcosa?» Mi osserva attento, con aria tranquilla e amichevole. Sorrido ed estraggo dalla borsa il famigerato pezzo di carta, mentre la testata nucleare deflagra direttamente tra le mie labbra, che mantengono stoicamente il sorriso.

«Sono incinta» senza aspettare la replica deposito il documento sotto il naso del boss, che lo legge con fare disinvolto. Poi torna a guardare me.

«Congratulazioni! Vattene a casa e riposa, ma esigo che tu ci tenga aggiornati, d'accordo?» mi strizza l'occhio e sorride.

«Ci puoi scommettere» ricambio il sorriso.

«Non ti metterai mica a frignare adesso, vero?» non sarebbe da me.

«Vuoi scherzare? Nemmeno se mi gonfiassi le ghiandole lacrimali con il compressore!» il brusio non si fa attendere.

«Quindi sei in maternità da oggi?»

«Già» mi limito a dire. Non c'è nulla da aggiungere.

«Vai e pensa al pupo, ma se ti annoi ogni tanto passa a trovarci e porta un termos di caffè per tutti, va bene?» Lo abbraccio. Adoro il mio capo. E credo che se non fossimo impegnati entrambi gli avrei fatto una corte spietata. Ecco, l'ho detto.

Getto un'occhiata alla mia scrivania, pensando che per molti mesi rimarrà vuota, ma non cedo alle lacrime. Almeno non davanti a tutti.

Mi vibra la giacca, sicuramente sarà Lelly. Con nonchalance estraggo il cellulare e rispondo. Faccio un cenno di saluto rivolto a tutti i presenti e decido di cogliere l'occasione per battere in ritirata. Il mio lavoro mi piace un sacco. Ma so che staccarmi per un po' mi farà bene, il pupo richiede dedizione totale.

«Allora? Ci sono dispersi?» Lelly va dritta al punto, com'è nel suo stile.

«Più o meno» mi chiudo la porta dell'ufficio alle spalle.

A quel punto mi accorgo di aver ricominciato a respirare normalmente. Sto anche riprendendo il controllo delle mie normali funzioni motorie.

«Che vuol dire? Ti hanno fatto storie? Strano, non sarebbe dal tuo capo» chiede mentre io affretto il passo in direzione del cancello. Potessi teletrasportarmi in un altro continente lo farei.

«No, niente storie, anzi. L'unica a sentirsi dispersa sono io.» le rispondo con tono incolore. Tutti quei mesi di isolamento mi spaventano. Asciugo una lacrima con il dorso della mano.

«E allora perché sei così a terra?»

«Spero di non diventare un'incapace rimanendo ferma tutto quel tempo. Meglio pensare ad altro o divento una frignona rompipalle.» replico rassegnata.

«Che ne dici di incontrarci per discutere della selezione delle stiliste? Facciamo a cena da me, stasera?» improvvisamente le torna il buonumore.

«Non credo ci siano problemi, non mi risulta che Ricky abbia impegni per cena.» Una serata diversa sarà sicuramente un toccasana, dopo una mattinata terrificante.

«Fantastico, allora ci vediamo più tardi» e riattacca,sempre secondo il suo personalissimo modo di fare.

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