Come una vecchia incubatrice.
A passo deciso entro dalla porta scorrevole, ritrovandomi in una grande hall, con il pavimento in marmo. C'è troppo marmo. Un enorme bancone circolare in legno scuro domina la sala. Sono in ospedale. Sembra un hotel, in realtà è nuovo di zecca. Mi guardo intorno, alla ricerca di un'indicazione che mi dica dove trovare il reparto di ginecologia e ostetricia. Ho appuntamento con la ginecologa per un'eco di controllo, ma soprattutto per dare un'occhiata al mio collo dell'utero. Sono in preda al panico. Una mia amica ha partorito una bambina alla ventiduesima settimana a causa della cosiddetta beanza cervicale. In altre parole, il collo del suo utero si è aperto e la piccola è nata troppo presto. Non ha avuto scampo. Naturalmente la donna gravida è il terreno fertile per eccellenza nell'accogliere qualunque tipo di paranoia, paura o dubbio. Quindi ho inviato un sms alla dottoressa, santissima donna, in cui le chiedevo un consulto urgente. Sono tutt'altro che spavalda, quando finalmente trovo l'ambulatorio e incrocio lo sguardo indagatore della dottoressa Cristianini, una donna sui cinquanta, bellissima, dal fisico esile, con lunghi capelli neri e profondi occhi scuri dallo sguardo magnetico. Una che sa quello che vuole. E se lo prende. S'è fatta un mazzo esagerato senza risparmiarsi mai, si è laureata due volte e ora è dirigente medico di primo livello. Quando è lei che si pronuncia sull'esito di una gravidanza non ci sono margini d'errore. Un autentico genio. Dopo i convenevoli si passa al nocciolo della questione, la dottoressa è una di poche parole. Poche ma buone. La conosco da un mucchio di anni e le voglio un bene dell'anima. Insieme a lei ho superato parecchie crisi.
«Come mai le è venuto questo dubbio?» indica il lettino, mentre lei si arma di gel per ecografie. Mi sdraio e un attimo dopo mi ritrovo alle prese con la sonda interna. Sul monitor compare il mio gamberetto, con il suo splendido cuoricino pulsante.
«Il piccolo sta bene, non ci sono distacchi di placenta e il liquido amniotico è regolare.» Estrae la sonda e si appresta a effettuare la visita. Io annuisco in silenzio, mentre lei controlla scrupolosamente il collo dell'utero.
«Cinque centimetri di collo, perfettamente chiuso.»
Il mio più che un sospiro di sollievo sembra un sibilo. A essere precisi somiglia al fischio di un treno a vapore. Nel pomeriggio Lelly e io andremo al funerale della bimba nata a ventidue settimane e morta dopo due mesi di agonia. Vorrei andarci senza il timore che mi possa accadere una cosa del genere.
«Grazie dottoressa, non immagina che sollievo» e le racconto ciò che è accaduto a Federica, la mamma della bimba morta. Almeno in parte credo di poter giustificare le mie paranoie, invece mi becco un cazziatone spaziale.
«Non deve entrare in allarme solo per aver sentito una cosa spiacevole accaduta a un'altra persona. Se il nostro vicino viene sfortunatamente colpito da un infarto, non è detto che capiti anche a noi, solo perché come lui abbiamo un cuore e magari un minimo di colesterolo. Vada tranquilla.» Ovviamente il mio colorito è prossimo al borgogna, con le labbra blu per aver trattenuto il fiato troppo a lungo. Era ovvio. A volte mi stupisco della mia ingenuità. Forse la mia età biologica è ferma a sedici anni, vista la mia totale incapacità di mettere in conto un banale e basilare processo di causa-effetto: se sparo una fesseria colossale, la dottoressa come minimo s'incazza. Perché diavolo, all'occorrenza, non si apre una botola sotto i piedi dello sfigato di turno, togliendolo da queste situazioni patetiche? E io mi sento molto sfigata, in questo momento. Sarebbe bene che la botola fosse bella larga e il buco molto profondo.
«Cercherò di non saltare a conclusioni idiote, d'ora in poi. È che sono reduce da una minaccia d'aborto con i fiocchi. Al lavoro una collega ha abortito tre volte di fila e ora questa faccenda della bimba nata prematura. Mi spavento al minimo accenno di anomalia o roba del genere» la guardo con aria mortificata, mentre raccolgo le varie scartoffie della gravidanza e le infilo ordinatamente nella cartellina rosa. Lei sorride e lo sguardo si addolcisce. D'istinto l'abbraccio e le stampo un paio di baci sulle guance dal colorito olivastro. Glielo invidio da morire. All'obitorio i pazienti hanno una cera più sana della mia.
«Ad ogni modo da oggi la metto in maternità a rischio fino al parto» mi comunica iniziando a compilare un modulo.
«Per la minaccia d'aborto?» mi siedo di fronte a lei, accavallando le gambe.
«Anche per l'età, così non correremo rischi» continua a scrivere, senza alzare gli occhi dal foglio.
«Ah...» è l'unica cosa che riesco a tirare fuori. Vedo che scrive tra i fattori di rischio una sfilza di cose tipo ipercontrattilità uterina, pregressa minaccia d'aborto, età materna. Wow.
«Ci vediamo al prossimo controllo.» Me ne vado sentendomi vecchia e idiota, ma molto più tranquilla. Prima di uscire dall'ospedale sono già al telefono con Lelly.
«La ginecologa mi ha messa in maternità a rischio» sparo non appena risponde.
«Dici sul serio?» esulta. Solo lei è felice di questa news. Io mi sento un vecchio cesso di incubatrice che deve stare in un angolo per non scassarsi del tutto. Una bomba.
«Già» il mio tono non è per nulla esultante.
«Sei moscia come un soufflé sgonfiato, che succede?» la voce di Lelly tradisce una certa preoccupazione.
«Nulla di grave, solo la motivazione per cui mi ha messa a riposo» la mia voce è totalmente incolore.
«E quale sarebbe?» sento che mastica qualcosa, tanto per cambiare. Di questo passo prenderà quaranta chili soltanto durante il primo trimestre.
«Età materna» replico lapidaria.
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