Capitolo sei
Quando il furgoncino si ferma riesco a malapena a vedere la strada di case affianco alla mia sbirciando attraverso la grata e verso il parabrezza. Il ragazzo alla guida spegne il motore e si volta a guardarmi.
« Siamo arrivati. » dice, autorevole, ma restando comunque fermo. Io non rispondo e aspetto che scenda, ma non lo fa.
« Devo restare qui dentro ancora per molto? » sbotto.
« Dipende da quando avrai intenzione di ringraziarmi. »
Spalanco gli occhi, sperando di aver sentito male, ma a giudicare dall'insistenza con cui mi guarda, deduco che sia tremendamente serio.
« Ringraziarti per cosa? »
« Per averti riaccompagnata a casa. » mi risponde, in tono ovvio.
Io lo guardo basita, i lineamenti del suo viso sono interrotti dal ferro nero della grata che ci separa. Stringo i pugni.
« Mio fratello è un Controllore, posso denunciarvi e farvi arrestare. So dove abitate! »
Lui sbotta in una risata e scuote la testa. « Come se fossimo così scemi da rimanere in quella casa ancora per molto. Ma dai! »
Incrocio le braccia al petto e mi guardo attorno, avvicinandomi poi agli sportelli posteriori del furgone e prendendoli a calci.
« Fammi uscire! »
« Dì 'Grazie'. » continua, incurante di ciò che sto facendo.
Volto il capo verso di lui, stufa. « Non mi pare che tu mi abbia ringraziata per averti salvato la vita. »
Lui mi guarda di sbieco, sorpreso. « Non mi hai salvato la vita. »
« Ne sei sicuro? » ribatto.
Non mi risponde, ma sostiene il mio sguardo con astio. Alla fine apre lo sportello e scende dal mezzo, venendo a liberarmi. Balzo giù guardandolo dal basso, visto che è più alto di me, e stiamo ben attenti a non toccarci.
« Grazie. » sussurro a denti stretti, caricandomi lo zaino in spalla. Lo guardo ancora una volta aspettando che dica qualcosa ma è tutto inutile, perciò mi avvio verso casa mia.
Sono già oltre il marciapiede quando sento di nuovo la sua voce.
« Non devi farlo per forza. » mi dice. Io mi volto a guardarlo con espressione interrogativa. Ha le braccia incrociate come se non volesse far trapelare niente di personale. « Essere controllata, intendo. Puoi cambiare le cose. »
« E come? »
« Fuggendo. »
« Hai una vaga idea di ciò che succede a chi si ribella? »
Lui deglutisce e scrolla le spalle, ma abbassa lo sguardo. Forse lo sa per davvero.
« Ho una famiglia. » dico allora.
Lui mi guarda ancora, distende le braccia e si avvia di nuovo alla guida, chiudendo gli sportelli posteriori con dei colpi secchi.
« Anch'io. » mi risponde.
Sale sul mezzo, mette in moto e riparte. Io faccio per entrare in casa, ma mi accorgo che non mi ha mai detto come si chiama. In qualche modo mi sembra di averlo perso per sempre. Osservo il furgoncino sparire lungo la strada e sta per fare buio. Decido di rientrare in casa sperando che nessuno mi abbia vista uscire dal retro di un furgone nero, accompagnata da un ragazzo sconosciuto. I miei vicini non sono mai stati chiacchieroni, tantomeno ficcanaso. Di solito siamo tutti abbastanza privati e riservati, forse perché non vogliamo destare alcun tipo di sospetto. Ora che ci penso, i miei genitori non hanno degli amici strettissimi con cui passare le vacanze. C'è soltanto una coppia di coniugi con un figlio della mia età, Philippe, con cui ogni tanto trascorriamo del tempo, solitamente qualche pranzo o cena, ma niente di più. Mi viene da pensarci mentre infilo le chiavi nella toppa di casa ed entro. Le luci sono accese e mia madre si accorge subito della mia presenza.
« Aline! » dal suo tono di voce capisco che è spaventata, e questo mi stupisce. La guardo confusa. « Stai bene? »
Mi domando se sappia dove sono stata e con chi, ma non saprei proprio come avrebbe potuto venirne a conoscenza.
« Sto bene. » rispondo quindi, cercando di mantenere la calma e di non far trapelare niente.
« Dove sei stata? Eravamo in pensiero! Abbiamo chiamato Josée ma ha detto che non eravate insieme. »
Non posso usare la scusa di esser stata con lei fino ad ora proprio a causa di questo. Immaginavo che i miei avrebbero immediatamente telefonato alla famiglia di Josée per avere mie notizie, perciò opto per qualcos'altro. Dire loro la verità è decisamente fuori questione.
« Sono stata in Centrale. » dico, quindi. Mia madre mi guarda sgomenta.
« In Centrale? E per cosa? »
« Ecco... » mi tolgo lo zaino e il cappotto di dosso, scrollando le spalle pesanti. « Hai presente l'altro giorno, quando sono svenuta? »
« Certo. »
« Dicono che sia per i sieri, così sono andata in Centrale per chiedere informazioni. »
« E cosa ti hanno detto? »
Mi prendo qualche momento, giocherellando coi capelli.
« Niente, mi hanno fatto aspettare per nulla. »
Mia madre mi guarda quasi con rimprovero, mentre mi si avvicina per posarmi un braccio sulle spalle. « Avresti potuto chiamare. »
« Non mi ero accorta fosse così tardi. Mi dispiace. »
Mi sorride e mi bacia una tempia con dolcezza. « Vai a lavarti, la cena sarà pronta tra un po'. »
Ricambio il suo sorriso e salgo al piano di sopra, trascinandomi lo zaino dietro. Sto per entrare in camera mia quando mi trovo Tristan davanti. Ha l'espressione corrugata in avversione e un po' mi lascia di stucco.
« Che c'è? » il mio tono è brusco.
« In Centrale, uh? » incrocia le braccia al petto e mi guarda con sufficienza, come se la sapesse lunga. Io annuisco, ma poi mi accorgo di un piccolo dettaglio: lui lavora lì. All'improvviso vedo tutta la mia messa in scena crollare, ma decido di far finta di niente.
« Aline, » dice, serio ma austero. « ti devo ricordare che sono un Controllore? Vivo praticamente lì, adesso. E tu non ci sei nemmeno passata in Centrale. »
Mi lascio sfuggire un sospiro ed alzo gli occhi al cielo. Cedo subito, preferisco dargliela vinta pur di cadere nella sua trappola. « D'accordo, hai vinto tu: non ero in Centrale. »
« E non eri nemmeno con Josée. »
« Sì, beh, non è che devo renderti partecipe di tutti i miei spostamenti. » replico.
« Eri con un ragazzo? »
Mi viene da arrossire e lo colpisco ad un gomito. « No! »
« Guardami! » si mette a ridere e mi costringe a sollevare lo sguardo verso di lui. « Eri con un ragazzo? »
« Non sono affari tuoi! » rispondo in una risata, facendolo spostare dalla porta della mia stanza per entrarci.
« Aline » mi richiama, facendomi voltare. Il suo sorriso scema lentamente. « Se ci fossero problemi me lo diresti, vero? »
Io scrollo le spalle. « Certo. »
« Anche se fossero cose che interessano il mio lavoro in Centrale? »
Sento uno strano vuoto d'aria in pancia e deglutisco. Annuisco con la testa, credo che se parlassi il mio tono di voce mi tradirebbe. Tristan si congeda con un cenno del capo e torna in camera sua, concedendomi l'occasione di chiudermi la porta alle spalle. Adesso sono in salvo.
Io mi fido di mio fratello, lo conosco e so che è una brava persona, per questo mi stupisce il fatto che abbia accettato di lavorare in Centrale. Non che io creda che il governo sia gestito da zoticoni e persone malvagie, ma Tristan mi ha sempre dato l'idea di una persona illibata e scaltra, ben lontana da quegli schemi. I fumetti che tiene in camera e che sono vietati dalla legge, sono una dimostrazione di quanto le sue passioni ed il suo lavoro facciano a pugni.
Forse potrei aiutare Louis ed il suo amico attraverso Tristan. Forse, raccontandogli di loro, potrei trovare qualcosa, una soluzione, per risolvere l'intera situazione.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top