Capitolo diciannove
Mi ci vogliono altri due giorni, prima di essere sicura di avere le forze necessarie per affrontare la missione che mi sono autoimposta. So che è molto pericoloso e potrebbe causare un sacco di problemi, ma sono decisa ad andare fino in fondo stavolta. Lo devo a me stessa.
Adrien esce per primo, mentre Louis ed Harry rimangono a fare colazione con me. Non c'è molto in questa casa, ed Adrien è l'unico con un lavoro. Alla Corte dei Miracoli è possibile fare qualche lavoretto qua e là, ma di mattina sembra un quartiere come gli altri, solo un po' più nascosto. Louis, essendo ricercato, sta sempre da Malo o da altri in cerca di una via di fuga da Parigi, ed Harry girotta di qua e di là alla ricerca di qualcosa che non mi è concesso sapere. Quando parla con Louis, lo sento nominare mappe e tragitti, ma non mi dicono niente. Mi sento un peso ingombrante e vorrei sparire.
Per questo aspetto che anche loro due escano, con la totale convinzione che rispetterò i loro limiti. Mi sembra quasi che credano di avere un certo controllo su di me, ma si sbagliano. Se non può controllarmi la Centrale, allora non possono nemmeno loro.
Infilo una felpa di Louis, dato che non ho nulla di mio con me ed i suoi abiti sono quelli che mi stanno meglio. Adrien è troppo grande e Harry troppo alto. Louis sembra l'unico con qualche indumento più o meno della mia taglia, ma questo non significa che gli faccia piacere prestarmi dei vestiti. Harry ha detto che mi avrebbe portata a comprare qualcosa quando sarei stata meglio, ma non abbiamo soldi e non so come potrebbe procurarseli. La sola idea di comprare qualcosa con dei soldi rubati mi fa stare male. Questa non è la vita che voglio, nascosta dal mondo intero per qualcosa che non ho commesso.
Esco piano di casa, portandomi dietro un mazzo di chiavi. Ho imparato bene gli orari dei tre ragazzi, perciò so quanto tempo ho a disposizione e sono intenzionata a non lasciarmi sfuggire nemmeno un secondo.
La Domenica, Parigi è parecchio affollata. Le scuole sono chiuse, perciò intravedo diversi ragazzi della mia età. Mi spingo il cappuccio sulla testa per non essere riconosciuta, e cammino veloce, sperando di passare inosservata.
Prendo strade secondarie, un po' perché vorrei evitare che i Controllori mi vedessero, ed un po' perché spero di non incontrare Harry, Adrien o Louis. Mi rilasso quando abbandono il centro città e mi inserisco nelle vie residenziali. Sono silenziose e calmanti, mi concedo di rallentare il passo e guardarmi attorno. Ci sono poche persone che ogni tanto incrociano il mio cammino ma non mi guardano. Alla fine, raggiungo la mia meta prima di quanto mi fossi aspettata, col cuore in gola per l'agitazione.
Casa di Josée è a qualche passo da me ed io mi blocco. Improvvisamente mi sembra un'idea pessima, ma sento di non avere molte scelte. Mi sento in trappola, chiusa nell'appartamento dei ragazzi, e non ho più nessuno al mio fianco. Josée è l'unica persona relativamente vicina alla mia famiglia, che mi è rimasta. Perciò mi spingo sul retro. Conosco questa casa come le mie tasche perché siamo cresciute insieme e Louane è stata come una zia per me.
La camera da letto di Josée ha una finestra coperta da tende bianche, sta al secondo piano. Afferro qualche piccola pietrolina e inizio a lanciarle una dopo l'altra. Alcune non raggiungono il vetro, altre invece sì ed il tintinnio arriva fino alle mie orecchie. Prendo un'altra manciata di pietroline che trovo sparse per il giardino, continuando a lanciarle finché la tenda si sposta. Josée compare coi capelli legati e l'espressione interrogativa.
« Josée! » la chiamo piano. Lei mi cerca, mi trova, ed i suoi occhi si ingigantiscono.
« Aline! »
Le faccio segno con un dito di fare silenzio, e lei rientra immediatamente dentro. Aspetto qualche istante e la mia migliore amica compare davanti a me, in una corsa sfrenata per abbracciarmi.
« Sei viva! » è la prima cosa che dice, sussurrandomela tra i capelli. La stringo a me col cuore che batte veloce. Ho un disperato bisogno di sentirla vicina.
« Sono dovuta scappare. » dico. « Come stai? »
« Ero preoccupata, nessuno sapeva dove fossi, se stessi bene. Tua madre ha parlato con la mia, e quando ho saputo che... » si ferma senza trovare le parole adatte, e poi scuote la testa, guardandomi con tristezza. « Mi dispiace così tanto, Aline »
Io deglutisco. Faccio finta di essere forte perché non ho il tempo di crollare, anche se so che Josée sarebbe l'unica in grado di consolarmi a dovere.
« Io sto bene. » dico quindi. « Sto bene, ma non posso restare con te. »
« Perché no? Ti terremo al sicuro. »
Scuoto la testa con veemenza.
« È troppo rischioso. Se i Controllori dovessero trovarmi sarebbe la fine per voi e anche per mio padre. Lo tengono prigioniero per avere delle informazioni, ma lui riesce a tenerli fuori dalla sua mente. Io non ne sono in grado e se dovessero trovarmi, sarebbe la fine per tutti. »
Josée scuote la testa. « Questa non è la tua battaglia. »
« Mio padre è la mia battaglia. » replico. « La mia famiglia. O almeno quello che ne è rimasto. »
So che Josée non può capire. Lei è ancora controllata e non ha subìto tutti i cambiamenti drastici che ho dovuto affrontare io. Inoltre non ha la più pallida idea di come sia la vita alla Corte dei Miracoli, dei colori, delle luci, dell'allegria.
Mi accarezza una guancia.
« La gente a scuola dice che sei una ribelle e che sei fuggita per unirti alla rivolta. »
Scuoto di nuovo il capo. « Non sono una ribelle. Ci sono capitata per caso in questa situazione. Devi credermi. »
« A me non cambierebbe nulla se tu fossi una ribelle. Mi hai già raccontato come stanno le cose fuori, no? »
« È diverso. Qui non siamo fuori, siamo dentro. E questa è l'unica realtà che conosciamo. »
Josée stringe le labbra.
« Fammi venire con te. » dice.
« Cosa? »
« Voglio venire con te, ovunque tu sia. Non ti lascio da sola. »
« Non se ne parla Josée. È troppo pericoloso. »
« Se è troppo pericoloso allora lasciami venire. In due sarà più facile. »
Le stringo le spalle.
« Ascoltami: questo non è un gioco. Ci sono in ballo delle vite, un sacco di vite. La ribellione è una cosa seria, ci sono persone che vogliono andare via da qui ma non ci riescono. Ci tengono in trappola. Tu non puoi venire con me. Non è giusto. Rischieresti la tua vita per niente. »
« Ma tu... »
« Io non ho altra scelta! » replico. Josée sa essere molto testarda, ma so di poterla dissuadere. « Non ho più nulla qui, lo capisci? La mia famiglia non esiste più ed io... io sono solo il frutto di tante menzogne. »
Josée mi guarda a lungo. Sento che la mia migliore amica mi sta scivolando dalle mani. Ci stiamo allontanando senza poter fare niente. Io non posso portarla con me, è davvero troppo pericoloso. Non so come badare a me stessa, figuriamoci aiutare Josée che verrebbe sbattuta in una realtà che non ci appartiene affatto. Inspira a fondo, ha capito che cosa sta succedendo.
« Ti rivedrò ancora? » mi chiede.
Ho un groppo enorme in gola che non mi permette di ragionare a dovere. Non voglio lasciarla, abbandonarla e andarmene via, ma so che non ho altra scelta. In ogni caso, il suo sguardo è troppo addolorato per consentirmi di dirglielo. Perciò mento, perché sto imparando a farlo.
« Certo. »
La abbraccio perché non voglio che veda il terrore sul mio viso, né che capisca che le ho detto un'enorme bugia. Forse lo dedurrà dalla forza con cui la tengo stretta a me. Ci stringiamo così tanto e così a lungo che sono sicura il mio petto si è scavato per mantenere la forma del corpo di Josée contro il mio.
« Devo andare. » sussurro con una debolezza lancinante. Josée non aggiunge altro. Mi osserva allontanarmi come un'ombra, nel silenzio di una vita che non mi appartiene più.
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