Ti sarò accanto

Le strade erano deserte, solo una soffice coltre di neve imbiancava le vie rendendole magiche. Le luci dei lampioni contrastavano il buio, mentre le case erano illuminate a festa. Era la notte di Natale. Lorenza camminava nel silenzio dei suoi passi lasciando le sue orme, dove fiocchi candidi copiosi ricoprivano all'istante. In grembo aveva un fagottino che teneva con dolce disperazione. Nonostante il mantello scuro di lana che le copriva il corpo, il cappuccio calato sulla sua testa a nascondere i capelli lunghi e scuri... le sue membra erano gelate, come i piedi, di cui calzava delle vecchie scarpe rovinate dal tempo. Lorenza non sentiva freddo, ma nella sua anima cera solo il gelo. Non aveva mai pensato che un giorno sarebbe arrivata a eseguire un gesto così ignobile, ma si sentiva costretta; voleva salvare quella creatura nata da un'aggressione. Lui l'aveva avvisata. Si, suo marito Lucius lo avrebbe fatto.
- Se terrai quell'essere, non farò fuori solo lui, ma anche te. Tu sei stata la causa dell'aggressione. È stata solo colpa tua!-
Gli rimbombava ancora nelle orecchie le sue parole. Non gli aveva mai detto, che la causa di tutto, era il figlio del suo padrone dove lavorava come donna delle pulizie. Un medico. Non aveva mai pensato che quel giovane ragazzo potesse avere brutte intenzioni, sembrava gentile, le dava attenzioni è vero, ma si era sempre comportata bene. Lei e Lucius erano poveri, e lui lavorava saltuariamente in qualche impresa edile. La sua frustrazione era così forte che aveva iniziato a bere. Non era sempre stato così. C'è stato un tempo che anche loro sognavano un futuro migliore, creare una famiglia. Ma il caso ha voluto che entrambi perdessero il lavoro, ritrovandosi a litigare all'improvviso su tutto. Se avesse detto la verità, era sicura che lo avrebbe ucciso, e lei non voleva perderlo, ma quanto ancora sarebbe riuscita a sopportare quella situazione non lo sapeva. Aveva paura di lui, e lo odiava per quel gesto che l'aveva costretta a fare. Abbandonare la sua creatura, che per nove mesi aveva portato in grembo.

Strinse ancora più forte tra le sue braccia il piccolo, doveva sbrigarsi. Se non sarebbe tornata a casa in tempo l'avrebbe massacrata di botte. Con occhi velati dalle lacrime che non volevano uscire... vide una chiesa. Il suo passo rallentava mentre sollevava il bambino all'altezza del suo viso, appoggiando la sua guancia a quella paffuta di Maurizio. Si, voleva che avesse un nome, perché non l'avrebbe mai dimenticato, voleva solo che vivesse in pace, è ciò che desiderava per lui, una vita.
- Ti chiamerò Maurizio mentre ti penserò. Ricordati che tu non hai colpe, vedrai... chissà che un giorno... ti prometto che ti verrò a cercare. Sei un bambino meraviglioso... la mamma ti vuole bene sai?...
Con queste parole sussurrate come un alito di vento caldo, lacrime di dolore bagnavano il visetto così dolce e innocente. Poggió dinanzi alla porta il piccolo, non prima di essersi tolta il mantello avvolgendolo con esso stretto stretto intorno al suo corpicino, dandogli un ultimo bacio e trattenendolo ancora un attimo a sé.
- Perdonami.-
Suonò forte il campanello per farsi sentire, di modo che non passasse tanto tempo.
La neve cominciava a scendere più copiosa di prima, e il freddo aumentava come il tempo che passava. Corse via lasciandolo solo, mentre il piccolo Mau cominciava a piangere. Si nascose dietro il muro di un palazzo aspettando. L'immagine davanti a sé era surreale, il suo cuore batteva così forte che non riusciva neppure a sentire il suo pianto. La sua psiche era in balia alla pazzia, voleva tornare a riprendere il suo Maurizio, voleva stringerlo ancora tra le sue braccia, voleva guardare i suoi occhietti verdi come il mare, accarezzare i corti capelli neri come la notte. Fece un passo in avanti quando vide  la porta che si apriva. Lorenza si bloccò di colpo, non riusciva a muoversi, era come paralizzata mentre guardava la donna vestita di nero che osservava con stupore dinanzi a sé quel piccolo avvolto nella mantella che si dimenava e strillava. La vide chinarsi e prenderlo in braccio, mentre lo sguardo vagava in tutte le direzioni cercando di individuare qualcuno. La vide mentre i suoi occhi puntavano nella sua direzione. L'aveva vista. Lorenza terrorizzata dal suo sguardo severo indietreggió barcollando, si girò velocemente cominciando a correre lungo le vie deserte. Non si voltò mai indietro, ormai era successo, l'aveva abbandonato.
Col fiato in gola e le gambe tremanti si appoggiò al muro di un palazzo, lasciandosi scivolare a terra e dando sfogo alle emozioni. Non si curò nemmeno che qualcuno poteva sentirla singhiozzare. Si avvolse le braccia intorno al petto dondolandosi, urlando la sua disperazione.
- Perdonami Mau... perdonami...- ripeteva mentre il gelo le penetrata nelle ossa, i suoi occhi gonfi.
Non sapeva per quanto tempo rimase così abbracciata su se stessa. Sentiva delle voci in lontananza che le fece sollevare il viso rigato dalle lacrime. Vide una finestra illuminata di tanti colori, quello che la colpì erano le persone che allegramente si scambiavano gli auguri brindando, facendo da sottofondo a una melodia. Vedendo quella famiglia non poté fare a meno di sorridere, pensando che un giorno anche suo figlio avrebbe avuto qualcuno da amare. Forse un giorno si sarebbero ritrovati, e gli avrebbe spiegato come erano andate le cose, che lo aveva fatto per lui. Con questo pensiero Lorenza cercò di sollevarsi da terra. Le robe che indossava erano zuppe di neve, ma continuava a non sentire freddo. Le sue labbra tremanti si schiusero, mentre sottovoce iniziò a cantare la canzone del natale camminando con fatica verso casa, dove non sapeva che futuro le aspettava, ma di una cosa era certa, avrebbe cambiato la sua vita.

Quella notte Maurizio fu accolto dalle suore come un dono. La suora non disse mai che aveva visto la donna allontanarsi dopo averla guardata. Non lo aveva fatto perché aveva visto nei suoi occhi la disperazione, l'incertezza del suo gesto. Aveva aspettato dinanzi alla porta la sua decisione, ma vide solo terrore e dolore. Così lo portò in canonica chiamando la madre superiora, decidendo che lo avrebbero accolto come un figlio. Lo chiamarono Natale.

Gli anni passarono, e Nat nel frattempo era stato adottato da una famiglia altolocata che non poteva avere figli. Un medico lui è un insegnante lei. Marco era un medico affermato, rispettato dalla comunità. Ma dentro di sé portava un fardello , un segreto che non aveva mai raccontato a nessuno. Aveva amato un'altra donna, la bellissima Lorenza, che in un momento di follia aveva abusato di lei, della sua gentilezza, della sua ingenuità. Non voleva sposare Isabella, che oltretutto era un matrimonio combinato. Ma sapeva che non avrebbe mai potuto stare con Lorenza. Lei era sposata con un ubriacone che, un giorno si, e anche l'altro la picchiava. Lui l'aveva capito nonostante le scusanti che lei inventava.
- Sono scivolata dalle scale... ho battuto contro l'anta dell'armadietto...-
Non sopportava tutto questo, e sapeva che lei era contenta quando le dava attenzioni, la trattava sempre con rispetto. Eppure... quel maledetto giorno non aveva resistito... non la vide mai più da quel momento. Sapeva solo che aveva contattato i suoi genitori, e se ne era andata per sempre. Con il tempo aveva imparato ad amare sua moglie, a volerle bene, ma mai dimenticó quello sguardo impaurito che continuava a chiedere "Perché" tra le lacrime. Aveva paura che Lucius il marito l'avrebbe ammazzata se avesse saputo... O forse avrebbe ammazzato lui. L'unica cosa che sapeva era che non successe niente. Era solito donare alla chiesa delle donazioni, somme di denaro destinato ai poveri. Forse era un modo per riscattarsi. Sta di fatto che, quando lui è Isabella scoprirono di non poter avere figli, ne adottarono uno. Quel che aveva colpito Marco, era un bambino di due anni, aveva lo stesso colore dei suoi occhi, verdi. Uno sguardo furbo ma anche tanto triste, e i suoi lineamenti gli ricordavano qualcuno... ma non sapeva chi. Pensò semplicemente che poteva passare davvero come suo figlio. Isabella era al settimo cielo, lo adorava già da subito.
Quando Nat compì quindici anni, decisero di dirgli tutta la verità. Nat non l'aveva presa bene, ma sapevano che l'adolescenza contribuiva sui suoi stati d'animo. Non fu semplice ne per lui, ne per i suoi genitori. Non era insolito che Nat mettesse a soqquadro la sua stanza, era eternamente arrabbiato con il mondo. Fino a quando non conobbe Luna, una ragazza dolce. Si erano conosciuti a scuola, lui faceva sempre il zuzzerellone, si divertiva a prendere in giro le ragazze, soprattutto a lei. Tutti e due frequentavano la facoltà di Medicina, anche se Nat era avvantaggiato dal fatto che il padre era un primario. Anche a lei piaceva Nat, ma quando lo vedeva fare lo stupido diventava cinica nei suoi confronti facendogli abbassare la cresta. Col tempo erano diventati tutt'uno, indissolubilmente inseparabili. Nat era cambiato con Luna fino al punto di raccontargli la sua situazione, lamentandosi di sentirsi solo.
- Tu non sei solo. Dimentichi che hai dei genitori che ti amano... e se non l'hai notato ci sono anche io.- disse Luna una sera alla sua ennesima lamentela.
Nat si rese conto che era egoistico da parte sua comportarsi così. Chi, più di Luna poteva capirlo, lei che aveva rinunciato alla sua adolescenza per accudire la madre malata, che aveva visto spegnersi giorno dopo giorno. Eppure aveva avuto la forza di andare avanti nonostante la sua perdita. Per questo aveva scelto medicina, in fondo non riusciva ad accettare che se ne era andata così giovane. Erano solo loro due, e all'improvviso era rimasta sola ad affrontare la vita.
Si zittí subito, guardandola con cuoricinositá, beccandosi una sberla scherzosa, ma neanche tanto. Erano a casa di Nat quando a Luna, con una banana in mano, guardando il disordine che c'era nella sua stanza disse:
- Hai mai pensato di fare una ricerca per sapere chi è tua madre naturale?-
- Si. - Rispose diventando serio all'improvviso, e guardando un soprammobile sulla libreria in alto. Era un cammello, gli ricordava il periodo passato dalle suore, un giocattolo che testimoniava il suo trascorso. Aveva rimosso quei ricordi, era piccolo quando lo adottarono, e ne soffriva per come li aveva trattati quando gli dissero la verità.
Distolse lo sguardo dall'oggetto e si rivolse a lei. Era triste quando disse
- Non l'ho detto a nessuno... ma quando ho saputo dell'adozione... sono tornato in quella chiesa per indagare. È stata suor Angelica che mi ha rivelato della donna che aveva visto quella sera. Non voleva dirmelo ma... alla fine ha avuto pietà di me.-
- Perché non me l'hai detto. Ti sarei stata vicina... dev'essere stata dura per te.- Disse Luna prendendogli dolcemente la sua mano e portandosela al cuore.
- Ha detto che era giovane, disperata. Mi ha dato il mantello... come ricordo. Ma non ha saputo dirmi chi fosse. Forse era dei quartieri poveri... non lo so. Ci ho pensato molto...-
La sua voce gli si incrinò, e una lacrima scese lungo la guancia. Luna lo strinse a se, non sapeva cosa dire. Rimasero così, stretti l'uno all'altro, col tempo forse... avrebbe trovato pace.

Mentre Luna camminava verso casa, notò una donna da lontano che la osservava. Incuriosita si fermò a guardarla a sua volta. Non era la prima volta che la vedeva ferma ad osservare la casa di Nat. A un tratto la donna si avvicina, aveva uno sguardo dolce. Con un sorriso allunga una mano verso di lei, aveva una lettera, che le consegnò dicendo solo: - Grazie - per poi girarsi e andare via.
Luna rimase ferma come una statua. Una strana sensazione le aveva fatto battere forte il cuore, mentre la donna spariva dietro l'angolo della strada.
Con mani tremanti guardò la lettera, era indirizzata a un certo Maurizio. Senza pensarci due volte, si mise a correre tornando da Nat. Bussó alla porta così forte da farsi male alle nocche.
- Luna! È successo qualcosa? Perché tremi?-
Senza aspettare si catapulta all'interno, guardandolo emozionata.
- Questa è per te! Ne sono sicura... una signora me l'ha consegnata...-
Lui la fermò con una mano
- Di cosa stai parlando... quale lettera... quale donna...-
Luna glie la consegnò.
- Leggila! Penso sia importante. -
Quando Nat prese la lettera... era come se sentisse il suo profumo... Una serie di emozioni gli attraversa la mente, aveva capito... il mantello che suor Angelica gli aveva restituito, il profumo era lo stesso. Si sedette sul divano prima di aprire la lettera, Luna si mise accanto a lui in silenzio osservandolo.
Quando finì di leggere, rise e pianse, lasciando Luna un po' spiazzata.
- Che c'è scritto... perché ridi... perché piangi...-
Non capiva la sua reazione.
- ...mia madre...-
Non riusciva a dirlo, aveva la gola serrata da quella rivelazione. Le diede la lettera senza guardarla asciugando le lacrime.
- Leggi...-
Ogni rigo che leggeva, cambiava espressione. Alza il viso verso di lui, era incredula da quel che aveva appena letto.
- Ma... allora tuo padre è...-
- Si! È il mio vero padre. Non vuole che lui lo sappia però. Sa che è felice con mia madre... con sua moglie. Ha sempre avuto paura ad avvicinarsi a me... Quando ha saputo chi era la famiglia che mi aveva adottato, è rimasta stupita da tale coincidenza. Sa che lui non lo sa. C'è scritto che ha visto anche la mia felicità con te, ed è per questo che ha deciso di dirmi la sua verità. Anche se non di persona.-
Si fermò a guardare nel vuoto davanti a sé, e un sorriso spuntó dalle sue labbra.
- Vuole conoscermi... quando sarò pronto.-
Luna era felice per lui, lo amava così tanto.
- E io sarò al tuo fianco quando accadrà.-

Fine

Spazio autrice.
Eccomi con la terza prova. Non pensavo di farcela sinceramente, ma alla fine l'ho scritta. Ora potrò leggere, finalmente le vostre storie. Credo di non aver dimenticato nulla...ha, indipendentemente se sarò eliminata o no, sono contenta di aver partecipato al contest, ed aver potuto conoscere autori simpatici e bravissimi. Un saluto anche ai giudici, che hanno un bel da fare, non vi invidio:-)
Buona fortuna a tutti. Vispa

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