You can not escape anymore

[The Writing Stars 2016 / Blind Auditions... #AngoloAutrice: come avrete—forse—capito dall'introduzione, questo libro è dedicato alle storie che scriverò per il concorso The Writing Stars 2016. La prima one shot è una fanfiction su Maze Runner con protagonista Newt e ci tenevo a spiegarvi un attimo il senso della storia: ho basato la mia tesina per la Maturità sulla fuga nella fantasia; ho unito la cosa a questa OS perché Newt si trova in una condizione molto brutta dalla quale—ovviamente—gli piacerebbe evadere e tutti i ragionamenti contorti che lui porta avanti si basano sulla consapevolezza che esiste questa cosa che non è più in grado di fare; alla fine, soccombe al fatto che non può riaverla indietro e torna nella sua realtà, nella Radura e nel Labirinto. Se avete dei dubbi, non esitate a chiedermi qualsiasi cosa, perché sono consapevole del fatto che si tratta di uno scritto un po' "complicato".]






Ormai ci ha fatto l'abitudine. E non continua a ripeterselo da oltre un'ora per un vero e proprio motivo, ma solo perché è arrivato alla triste conclusione che, forse, imporre alla propria testa di funzionare come un disco rotto basta e avanza: basta a farglielo accettare. Per quanto insopportabile sia, per quanto male gli faccia provare la semplice imposizione personale, è l'unica soluzione che vede chiaramente.

Newt crede di conoscersi abbastanza da sapere che questo è un brutto segno. Sta gettando la spugna, soccombendo a una forza più grande cui non riesce a tenere testa. Lui. Lui che è sempre stato convinto di avere un carattere forte e determinato a sopravvivere. Su cui molti contano per non impazzire.

Negli ultimi giorni si è accorto più volte di aver imboccato una ripida strada verso la depressione, ma, quando ha concesso a se stesso di cominciare a pensarci, non aveva preso in considerazione la possibilità di arrendersi. Di finire così, in uno stato di desolazione interiore che lo vede sfinito—con gli arti a penzolare nel vuoto e le lacrime agli occhi.

È appollaiato su un albero da davvero troppo tempo.

Quando, al mattino, ha messo le gambe oltre il bordo del suo letto, l'attimo prima di fermarsi a contemplare il sole, sapeva benissimo di avere più di un compito da svolgere. Eppure non è bastato. Ha scelto di afferrare un panino striminzito dal tavolo di Frypan e di puntare dritto verso gli scuri tronchi non ancora baciati dalla luce. Si è arrampicato velocemente sul più vicino, alla ricerca di un ramo abbastanza grande e robusto, e lì è rimasto per il resto della giornata.

Ed è lì che si trova ancora adesso, con un senso di colpa in eccesso nei confronti di Alby e di tutti gli altri, per averli scaricati in favore di—Beh, non sta fondamentalmente facendo nulla se non piangersi addosso, quindi non ha neanche una giustificazione valida dalla sua parte. Non che abbia sprecato ore a fissare il vuoto e ad ascoltare i semplici suoni del mondo, fermo intorno a lui. Ma, dal momento che non potrebbe comunque parlarne con qualcuno, è stata una perdita di tempo.

Ha perso tempo prezioso e a ha perso se stesso. Ha lasciato indietro una parte importante e non può nemmeno rimpiangerla, ora che pensa di aver capito cosa è successo.

Obiettivamente, ogni singolo minuto gli è stato utile.

Eppure, si sente peggio di prima e non sa se ne sia valsa la pena.

Ciò che ha fatto, deve ringraziare una sorta di impulso improvviso che gli è arrivato dritto al cervello come una scarica. Il tutto, accaduto solo la sera prima. Mentre fissava il fuoco acceso del falò, Newt l'ha percepito scuoterlo con forza e fargli vedere tantissimi colori immersi nell'abbondante nero del suo campo visivo. Una cosa che gli ha fatto venire il mal di testa e a cui ha pensato ossessivamente per il tempo successivo, per l'intera notte successiva, in cerca di immagini, ricordi, significati e spiegazioni a quello che era riuscito a smuoverlo.

Da quando si è risvegliato nella Radura, Newt non ha provato sentimenti significativi da tenere a mente. Almeno fino a quel fulmineo istante di caos, in cui è successo. Sa solo il proprio nome. Le cose che ricorda, le nozioni basilari che si rincorrono nella sua testa, sono elementari, semplici e non prevedono mai di suggerirgli qualcosa in più. Non gli vengono in mente eventi, persone o ricordi che lo riguardano in prima persona, ma solo certezze che non sente proprie e che gli sembrano essere state inserite nella sua testa da qualcun altro. Uno sparuto gruppo dei ragazzi, dice che non è esistito niente, prima; la restate parte, di cui lui fa parte, è convinta che sia esistito eccome qualcosa. E che, le persone che li hanno condannati a questa sorta di nuova vita, hanno contribuito a cancellarlo.

Comunque. Dopo il senso di spaesamento, è arrivato il bisogno di sapere, un bisogno così forte e insaziabile che l'ha tenuto sveglio a pensare con una fame di risposte quasi ossessiva. Tanti colori immersi in altrettanto nero. O forse stelle... Erano però qualcosa di insensato, privo di definizione.

Ci sono volute ore. Mentre smistava i pensieri alla ricerca di un indizio, percepiva una barriera invisibile che gli impediva di risalire al motivo fondante dell'avvenimento. E, basandosi su quello che ha appreso nel poco tempo trascorso da Raduraio, è arrivato velocemente alla conclusione che stava cercando di riprendersi qualcosa di suo, qualcosa che riguardava il suo passato e che, quindi, ora non può più considerare personale.

Che non è riuscito a considerare personale.

Ma non è bastato a fermarlo.

È andato avanti, testardo e certo di poter capire di cosa si trattasse, anche solo un minuscolo spiraglio di luce sufficiente a restituirgli un briciolo di tranquillità. Poi è successo di nuovo, ma in modo diverso. Ha cominciato a vedere scie sfuggire prepotentemente al controllo della natura, scappare dalle foglie, dagli animaletti e dal cielo, in un vortice di inconsistenza creato dalla sua mente. Come se fossero frutto di qualcosa dentro di lui, perché ormai era palese che li stesse creando personalmente.

E a quel punto, ha capito.

Si aspettava qualcosa di più semplice, o qualcosa che avrebbe potuto comprendere facilmente. Loro, chiunque siano, sembrano avergli portato via tutto per fare di lui solo un esserino innocuo senza certezze. Senza ricordi, non pensa di potersi considerare qualcuno. E, se questo è ciò su cui giocano, deve riconoscere la sconfitta.

Ma allora perché hanno ignorato un dettaglio così potente?

Una volta appresa la natura di quello che lo stava tormentando—e che adesso ha smesso perché non ha più importanza—, Newt è andato nel panico.

L'ha riconosciuta. Forse non pienamente e non ai livelli in cui, forse, una volta era solito conoscerla, ma sufficientemente per fargli mancare il fiato.

Una cosa del genere può abbattere i muri, farlo sentire felice per istanti interminabili e fargli dimenticare del luogo in cui si trova e che lui tanto odia.

Può essere solo sua e di nessun altro; può custodirla come un oggetto prezioso e usarla a suo piacimento per fingere una via di fuga.

Ma, tutto questo, si è tramutato in tempo passato quando ha cercato di metterla in atto.

Non sa nemmeno spiegare come o perché, ma gli è sembrato di avere un blocco nella testa che gli impediva di farlo concretamente. Solo che non c'era e non c'è nessun blocco, è semplicemente lui che ha capito di non poterlo più fare. Non nelle condizioni in cui si trova e non nella nuova esistenza in cui l'hanno gettato.

Le ha dato un nome e l'ha identificata come quel qualcosa che le persone sfruttano in momenti tragici o situazioni avverse per scappare, ma non gli appartiene più. Per colpa della Radura, per colpa dei suoi compagni o per colpa dei suoi doveri nel gruppo. Il succo della questione, è che non è più in grado di fingere liberamente e di perdersi in se stesso. Una cosa del genere non crede nemmeno che sia possibile, ma quando ci prova sente solo un misto di angoscia e di consapevolezza tale da lasciarlo sfinito. Come se lui sentisse quanto non ne valga la pena, quando sia uno spreco di energia farlo.

Quanto sia tutto finzione privo di concretezza.

Fa sufficientemente schifo da fargli venire voglia di vomitare.

E ora può dire che non vede più niente di strano, ma non sa quanto esserne sollevato.

"Newt!"

Il ragazzo si sporge a fatica e guarda in silenzio Minho per qualche istante. Poi inspira e spezza i pensieri che, per un attimo, hanno cercato nuovamente di tornare ad agitarsi nei recessi più remoti della sua mente.

"Che c'è?"

Minho mette le mani sui fianchi e scuote la testa, sghignazzando. "Pensi di riuscire a portare il tuo grasso culo tra noi o devo per forza sradicare quest'albero?"

"Ho davvero una scelta?"

L'altro finge di pensarci, guardandosi alla spalle e spostando il peso da un piede all'altro. Poi curva l'angolo della bocca. "No, direi di no" decreta.

Newt brontola un "Va bene, scendo" prima di sollevarsi a fatica dalla corteggia, massaggiarsi il retro del collo e rifare al contrario il percorso per tornare a terra.

Non ce l'ha con Minho. Non ce l'ha con nessuno di loro, dal momento che sono l'unica cosa bella di cui al momento può vantarsi. Ce l'ha con se stesso, per essersi arreso e per aver capito che non è più in grado di fare qualcosa di così dannatamente semplice. È certo di averlo fatto spesso, in passato; è certo di aver conservato quella capacità come un tesoro e di esserne stato incline in maniera quasi malata.

Ma è passata.

È passato il tempo in cui poteva fare affidamento su qualcosa di simile. Più passano i secondi, più si allontana, strisciando lontano da lui come se fosse da evitare, in cerca di un posto sicuro a cui affidare sé stessa. E Newt non può nemmeno avercela con lei, puntandole il dito contro e accusandola di averlo abbandonato. Può solo accettarlo e seguire Minho, ricacciando indietro lacrime di sconfitta che bruciano per uscire.

Perché, Newt l'ha capito, non può più scappare.

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