Into The Wood | The Jungle Book
[The Writing Stars 2016/Semifinale... #AngoloAutrice: mi sto lasciando andare, lo ammetto. Ho pochissimo tempo per scrivere, ultimamente, e mi riduco sempre all'ultimo momento. Quindi, anche in questo caso, non so se ciò che ho scritto varrà mai quello che come scrittrice posso offrire. Ne sono più o meno soddisfatta, ma ok. (Mi scuso anche con le mie giudici per aver devastato l'idea iniziale con la mia influenza, ma volevo fare qualcosa di diverso.) Qui siamo alla Semifinale e, io e la mia avversaria, essendo le ultime due rimaste per questo gruppo, abbiamo dovuto scrivere una storia a testa per meritarci di andare avanti. A questo punto, o prosegue lei, o io. La traccia è a dir poco complicata –almeno, per me lo è stata – quindi, se siete curiosi di leggerla, vi basta andare sul sito ufficiale del concorso, nel libro dedicato al team di cui faccio parte, Tutti I Gusti + 1. E niente... Spero per il meglio e, se non dovessi vincere, di uscire di scena comunque soddisfatta di essere arrivata fino a qui.]
Le ripetono continuamente quanto lei sia lunatica.
Pensa di aver sentito quella parola anche nell'istante in cui è venuta al mondo, in cui ha preso parte a questo brutto gioco chiamato vita che non le va poi così tanto a genio. Se devono descriverla con un solo aggettivo, nove persone su dieci usano quello e lei lo accetta più che volentieri, perché – come sostiene orgogliosamente – è pur sempre nata sotto il segno dei Gemelli. Non la infastidisce e non lo nega come fanno quei molti che si attaccano a "È il segno delle due facce", quasi bastasse a giustificarli. Ah, no: c'è molto altro. Lei ama ogni minuscola sfaccettatura e la riconosce in se stessa, dall'intelligenza alla disonestà, dalla vivacità all'irresponsabilità. Dalla curiosità all'incoscienza.
Una contraddizione vivente, ecco cos'è. E come fa a non risultare dannatamente affascinante, ancora se lo domanda.
Rebecca scosta distrattamente il solito, irritante, ciuffo di capelli dagli occhi e si appoggia ridacchiando alla sgangherata staccionata che contorna il sentiero. Un timido spicchio di luna brilla alto nel cielo buio; la luce bianca illumina l'erba tagliata da poco, i sassolini e le strane ombre che fanno da contorno a questa sua improvvisa decisione di prendere una boccata d'aria. Perché sente sempre il bisogno di prendere una boccata d'aria, quando è a una festa?! Per quale assurdo motivo, se poi arriva a cercare disperatamente un modo per tornare indietro o per non finire sotto una macchina. Ok, questa volta si trovano in una baita dispersa nel nulla, c'è solo una strada da seguire e non ci sono macchine, ma il senso è quello.
Non ha freddo. Ha indosso dei semplici jeans e una canottiera, però sta stranamente bene... Anche se, le nuvolette che escono dalla sua bocca, testimoniano tutt'altra cosa.
Sente l'alcol agitarsi nel suo corpo e insultarla allegramente, ma cerca di non farci caso e di pensare al lato positivo – anche se al momento non ne vede neanche uno. No, non è vero: le poche stelle che ci sono in cielo sono bellissime. Ed è malatissimo il fatto che stia pensando proprio a questo... L'ultima uscita di Denise, è stata che lei sa essere una persona simpatica sull'euforico psicopatico; l'ha detto mentre si scambiavano una bottiglia di vodka alla mela verde e lei ci ha impiegato forse più tempo del dovuto per capirne il significato – anche se ha continuato a ridere per cinque minuti buoni –, ma adesso l'ha compreso perfettamente.
Sta pur sempre ridendo con la testa rivolta al cielo, no? Già questo da ragione alla cavolata che si è inventata la sua migliore amica.
Non molto a malincuore, accetta e se ne compiace.
La normalità è noiosa... La pazzia sta diventando una moda comune, ma a chi interessa.
"Dio, sto dando i numeri" sussurra, ricordandosi poi di essere sola. Scoppia di nuovo a ridere e inciampa in una crepa nel terreno. "Tanto. Ma proprio tanto!"
Segue la curva della strada e l'erba piatta comincia a salire, ricoprendosi di cespugli e di radi alberi.
Quando non aveva ancora avuto il piacere di assaggiare l'alcol, era convinta di due cose: che le sarebbe piaciuto e che l'avrebbe retto bene. Ora, è certa di aver avuto ragione sulla prima ma un po' meno sulla seconda... Non che non lo regga, ma sta camminando nel bosco vicino alla baita, da sola, inciampando anche nelle foglie, e se fosse in condizioni normali sarebbe già tornata indietro urlando a squarciagola – perché lei detesta il buio e i rumori sinistri della notte.
Li ha sempre odiati.
Purtroppo, non si trova in condizioni normali e un istinto corrotto le sta dicendo di continuare.
Sbatte le palpebre e scuote la testa, concludendo che non è una buona idea quando comincia a girarle più forte. È come se il mondo le stesse ballando intorno e, nel mentre, ripetesse una cantilena indistinta di parole – nomi, verbi, aggettivi – al solo scopo di confonderla. Smette subito e si appoggia al tronco di un albero, tenendo gli occhi chiusi mentre aspetta che la centrifuga si plachi il tempo necessario per permetterle di ricominciare a muoversi. Muovere le gambe serve; di solito le dicono di stare seduta, tranquilla, e di bere tanta acqua. Ma questa volta ha deciso di non dare ascolto ai consigli e ha abbassato la maniglia, attirata dal fresco della notte e dall'aria pulita, incontaminata.
Ha percorso un bel po' di metri, quando si lascia cadere definitivamente a terra, esausta, continuando a ridacchiare mentre pensa a cose che non hanno un vero e proprio senso logico. L'euforia si mischia a un urgente bisogno di dormire, di appoggiare la testa a qualcosa e di spegnere il cervello il tempo necessario per riconnettere come si deve. Le piace staccare la spina, le piace questo senso di leggerezza dovuto al fatto di non doversi preoccupare di nulla; le piace sentirsi tranquilla e certa di avere del tempo per non rimpiangere niente. Ma ha davvero bisogno di dormire... Anche solo per pochi minuti. Non le importa di essere seduta in mezzo a terra umida di pioggia.
A chi interessa.
Neanche trenta secondi dopo, è di nuovo in piedi.
Tutto sembra cosparso di un alone che ne sfoca i bordi, che le fa maledire di non aver portato gli occhiali da vista – perché deve essere sicuramente dovuto a quello.
Invece no.
C'è qualcosa di strano. Non sta più camminando nel comunissimo boschetto in cui avrebbe giurato di trovarsi, immersa in un buio spezzato solo da radi fili di luce lunare. Questa è una selva, ricoperta da cima a fondo di alberi delle più svariate dimensioni – rampicanti, cespugli, muschi e con un tappeto d'erba soffice e incontaminato. Fa incredibilmente caldo e c'è un'illuminazione maggiore, come se la notte avesse lasciato spazio al giorno e il sole stesse splendendo indisturbato ad di fuori di tutto quello.
A parte il suo respiro, non si sente il minimo rumore.
Rebecca muove un passo e tasta incerta il terreno. Dopo essersi assicurata che niente uscirà fuori all'improvviso per mangiarla e dopo aver concluso che è tutto normale, comincia a camminare, scavalcando radici e guardandosi intorno. Una musichetta si fa strada lentamente nella sua testa, accompagnandola attraverso un paesaggio che muta a ogni centimetro un po' di più, fino a che gli alberi non diventano così strani da attirare completamente la sua attenzione. Ne guarda con gli occhi sbarrati uno – il tronco a spirale, perfettamente liscio, di una vivace tonalità di arancione – e deve sbattere un paio di volte le palpebre per essere certa di aver visto giusto.
Sta brillando.
Non l'albero in sé, quanto piuttosto lo strano disegno geometrico che ne decora una buona parte. Delle linee che si incrociano, uniscono e scavano il legno, fitte nel centro e sempre più rade man mano che si espandono, fino a scomparire come se non esistessero davvero. Come se lei le stesse solo immaginando. Ma non è così... Le vede davvero. E queste brillano di un arancio più carico, riflettendo la luce su un albero vicino, di colore grigio, anch'esso con un'immagine simile nella parte sinistra. I due colori si scontrano nell'aria e vanno a fondersi con i tanti altri lanciati da decine – centinaia, migliaia – di disegni. Colori che si ripetono, ma con sfumature che li caratterizzano e li rendono in qualche modo unici.
Un'infinità di stranezze.
Rebecca si solleva e distoglie lo sguardo, riprendendo a camminare nel fitto della foresta. Si è fatta improvvisamente opprimente; non è più un blocco sparuto di alberi, ma una distesa che si perde a vista d'occhio ovunque lei si fermi a guardare.
La cosa buffa, è che non le sale il panico che invece vorrebbe sentire.
Non sente niente, se non un muto comando di procedere.
Mentre passa davanti a un albero blu, striato da linee verticali che la colpiscono con una luce più chiara, Rebecca sente un leggere mormorio, delle voci che sembrano discutere tra loro, che si fanno sempre più prepotenti nelle sue orecchie. Che hanno inizio insieme a tante altre. Nota con orrore che arrivano dagli alberi semplicemente perché i bagliori le scandiscono, si muovono a intermittenza come se stessero riportando gli sbalzi del volume. Avvicina un orecchio al tronco, per cercare di capire che cosa stanno dicendo le voci, e balza all'indietro quando riconosce Preston Withmore, di Atlantis, dire "Tuo nonno diceva sempre: noi veniamo ricordati per i regali che lasciamo ai nostri figli" a Milo.
Bene, perfetto: un albero sta trasmettendo un cartone Disney.
Strepitoso.
Sono definitivamente impazzita, pensa, girando su se stessa e scoppiando a ridere. Ora ho anche le allucinazioni, wow!
Si allontana indietreggiando, sbattendo le palpebre come se si aspettasse di veder sparire tutto – cominciando dalle luci che la stanno inquietando parecchio. Ma, proprio perché non basta mai quando si pensa di aver visto il peggio, inciampa in qualcosa e cade di schiena a terra; non arriva nessuna fitta di dolore, ma è sicura che da quache parte deve pur esserci... Aspetta solo il momento giusto per farsi sentire.
Comunque.
Trattiene un'imprecazione molto colorita tra i denti; spolvera le gambe nude dai residui di erba e terra. E, mentre lo fa, guarda con una risata isterica sulla punta della lingua i due oggetti ai suoi piedi. Quella che l'ha fatta cadere, è un'ascia e... Sente l'impulso di allontanarsi. L'altra, è quella cosa strana che usa Katniss in Catching Fire e di cui le sfugge il nome.
Andiamo di bene in meglio, insomma.
"È una spillatrice."
Non gliel'ha detto nessuno. Lo sa. Improvvisamente, si rende conto di saperlo e la prende solo perché ha paura di maneggiare un'ascia... Non si fida abbastanza di se stessa da poter prendere con leggerezza un oggetto simile. E non vuole rischiare di inciampare e riuscire, in qualche modo, a suicidarsi.
Se la rigira tra le mani e inclina la testa di lato, confusa.
Procedere oltre.
Procedere sempre oltre.
Va avanti a camminare con l'oggetto stretto in una mano e sorpassa semplicemente troppi alberi parlanti. Dopo qualche minuto, le gira la testa.
Si ferma solo quando riconosce una voce e il film da cui proviene. Le si illuminano gli occhi perché, se ha capito bene, lei lo adora e sta per mettersi a saltellare.
È Bagheera.
Dio... Ha sempre amato Il Libro della Giungla, sin da quando era bambina e non capiva per quale assurdo motivo quella brutta bestia di Shere Khan non lasciasse in pace Mowgli e se ne andasse per la sua strada.
O a quel paese, per non dire di peggio.
Ci è cresciuta e ricorda molto bene lo scetticismo provato nello scoprire che ne avrebbero fatto un nuovo live action targato Disney... Insomma, sarebbe stata la volta buona in cui avrebbe ucciso qualcuno. Però, non ne ha avuto bisogno, dal momento che il film le è a dir poco piaciuto e che il suo lato da fangirl è emerso più prepotente del previsto.
Per un brevissimo lampo di tempo, ha shippato Bagheera e Baloo; è sicuramente una cosa non consentita dalla legge e di cui potrebbe vergognarsi.
Tu sei fuori, dice a se stessa, stringendo quella cosa argentata nella mano destra. Sa che deve usarla su un albero, su una storia; nessuno gli dice niente, ma sa da sola che deve fare. Ed è davvero forte, perché ha delle risposte che nessuno gli ha mai dato direttamente. La spillatrice serve per prendere l'acqua dal tronco dell'albero e, anche se lei non ha sete, pensa proprio che seguirà l'informazione nella sua testa che le dice di farlo.
Barcollando su gambe che le sembrano ancora troppo instabili, la infila con un gesto secco nel tronco verde. Si incastra alla perfezione, come se un foro invisibile avesse aspettato il suo semplice gesto. L'attimo resta sospeso per un po' – un arco di tempo nel quale Rebecca tiene gli occhi fissi sui solchi che decorano il tronco e aspetta. Sa che deve attendere qualcosa che succederà da solo, senza bisogno di una sua forzatura. Per questo, accoglie il fumo che comincia a uscire dalla spillatrice con un sorrisino divertito; lo sfiora con la punta delle dita e lo guarda circondarla completamente, mentre i rami dell'albero si alzano, animati di vita propria, e arrivano a toccare il cielo.
Dopo tutta una serie di improbabilità – come il fumo verde che le entra in bocca, il disegno geometrico che si espande e la chiama a sé, le voci che aumentano di intensità e le trafiggono la testa –, cade lunga distesa in mezzo a erba secca e radici muschiose.
A parte un brutto graffio sulla coscia destra, non si è fatta male. La testa ha persino smesso di girarle e questa volta è sicura di trovarsi nella giungla proprio perché sa cosa ha scelto. Poteva scegliere di andare da Thomas, Newt e compagnia, ma – per quanto ami Maze Runner – non l'attira molto l'idea di trovarcisi in mezzo. E poi, non si è fermata molto a pensarci: da che è uscito, ha visto Il Libro della Giungla qualcosa come dieci volte.
L'ha adorato, le è apparso davanti e fine della storia.
Avrebbe però dovuto pensare ai lati negativi, già.
"Ma che—"
Qualcosa le colpisce in pieno il fianco sinistro. Rebecca rotola di schiena con un gemito e maledice la madre del responsabile, facendo subito forza sulle gambe per alzarsi in piedi.
"Dico... Un po' di—" Mi prendi in giro? "Oh. Merda."
Non berrà mai più. Non toccherà mai più un goccio di alcol in vita sua perché i risultati le stanno scombussolando la vita... Ok, forse berrà ancora, ma non se ne andrà in giro da sola perché sta maledettamente guardando Baloo e Bagheera.
Ha. Ha. Che ridere.
"Lo vedi anche tu un altro cucciolo d'uomo?"
E capisce anche che cosa dicono.
Ma ti diverti?!
Rebecca trattiene l'isterismo che le preme nel retro della gola. "Sono una ragazza" ribatte, puntando i pugni sui fianchi. "Al massimo, cucciola d'uomo." Non che le piaccia, ma meglio di niente.
Baloo alza gli occhi al cielo e "Scusa tanto" borbotta.
"Baloo."
Ecco. Bagheera le fa decisamente più paura. Basterebbe un niente alla pantera per mangiarsela. Tanto più che lei è il nemico, più o meno.
L'animale la guarda storto. "Tu sai parlare?"
"Siete voi che non dovreste saper parlare."
Quando di preciso è diventata così velenosa nel rivolgersi ad animali parlanti che sono sempre stati i suoi miti?
Ma che cavolo sta dicendo!
Bagheera si avvicina ringhiando. "No. Tu riesci a capirci?"
"Sì... Credo" Rebecca risponde, indecisa su ciò che sta confermando.
Non sa nemmeno lei per quale assurdo motivo riesce a parlare con loro.
"Non vorrei interrompere questo divertente teatrino, ma." Baloo si interpone tra di loro e la guarda con quello che è sicuramente un sorriso divertito. "Mowgli."
"Dobbiamo andare."
Sta rallentando la storia. Se ne ricorda appena mette insieme gli indizi e capisce a che punto si trovano.
"Mowgli" ripete a bassa voce, mentre la pantera si volta e l'orso continua a guardarla con curiosità. "Oh merda!" Baloo si volta. "Aspettate!" Rebecca comincia a correre e "Fatemi venire con voi" strilla, agitando le braccia e cercando di ignorare il fatto che non ha ancora dato un senso a niente.
Ma le informazioni. Ci sono delle informazioni di base che le dicono cosa fare e che le danno delle certezze.
Bagheera inchioda di colpo e le ringhia contro. "Shere Khan ucciderà anche te." Lo dice come se fosse scontato.
E per lei, lo è.
La ragazza incrocia le braccia al petto. "Io vengo con voi."
Esilarante.
L'attimo dopo, è sopra a Baloo, nel disperato tentativo di non perdere la presa.
Ok, Rebecca, ragiona. Nel film, Baloo e Bagheera raggiungono Mowgli giusto in tempo per vederlo gettare via la fiaccola e schierarsi in sua difesa, ma lei li ha fermati con la sua comparsa. Ci manca solo che causo la morte del protagonista e poi siamo a posto. Stringe la pelliccia di Baloo tra le dita e si china in avanti, per evitare i rami bassi degli alberi. Vede un serpente fissarli indisturbato, il corpo per buona parte avvolto intorno a un albero, e pensa a Kaa – prima di ricordarsi che è già bello che morto. O morta... Chissà perché hanno dovuto farlo diventare una femmina!
Guarda affascinata Bagheera correre poco più avanti e, per un minuscolo istante, perde di vista il quadro generale.
Sei in un film; non fare cazzate.
Quando arrivano – e se lo aspettava – metà del branco dei lupi è a terra; molti animali stanno scappando e tanti altri continuano ad assistere alla scena. Rebecca vede Shere Khan azzannare una animale, per poi scaraventarlo lontano, e si affretta a scendere da Baloo – la bocca spalancata nel vedere quello che sta accadendo. Mentre l'orso e la pantera ricominciano a correre, lei vede il piccolo Mowgli scomparire in mezzo agli alberi e ricollega velocemente i pezzi.
Pensa, pensa, pensa... "Pensa!"
Nessuno può battere Shere Khan senza un po' di astuzia. E lei può fare qualcosa per dare una mano... Forse. Comincia a correre appena vedere la tigre mordere Baloo all'altezza del collo e il terrore – che prova ogni singola volta in cui succede, sia nel cartone che ne film – le annebbia la vista. Non fa caso a tutti gli animali che si girano a guardarla, e si va vedere da Shere Khan giusto un attimo prima che lui si accorga di Mowgli. Risce a darsi della stupida giusto un istante prima che la tigre le sia addosso; l'impatto con il terreno le fa mancare il fiato.
Ruggiti, ululati e altri versi esplodono nell'aria.
Sta seriamente fissando uno dei cattivi Disney, che più ha odiato in vita sua, negli occhi. E la bestia la sta guardando – il sinistro devastato dal fuoco – come se non importasse poi molto la sua presenza.
"Un altro cucciolo d'uomo."
Non sa dove trova il coraggio, ma sente di avere la forza per fare qualsiasi cosa voglia.
Perciò, "Sono una ragazza, idiota" sibila, nello stesso istante in cui sente lo schianto secco della sua gamba destra.
L'urlo che le sfugge di gola, non lo percepisce nemmeno.
Shere Khan ringhia imbestialito e Rebecca avverte il suo fiato caldo contro il volto. La zampa che le preme sul petto la schiaccia sempre di più nel terreno e sente gli artigli stracciarle lentamente il tessuto della canottiera.
Guarda con decisione negli occhi felini della tigre e ghigna, decisa a non far emergere la paura che ha cominciato a sentire già da un po'. Vede i lunghi denti affilati e non può fare altro che immaginarseli mentre la riducono a brandelli, ma, mentre lotta per scacciare l'immagine dalla testa e pensa a come far andare le cose nel verso giusto, guarda Bagheera arrivare alle spalle del nemico, furtiva, mentre i lupi ululano in sottofondo.
"Perderai sempre" Rebecca dice, con un sorrisino divertito.
Nell'istante in cui la tigre ringhia e fa per azzannarla, lei vede uno dei migliori amici di Mowgli spiccare il balzo decisivo e atterrare con le fauci spalancate sul collo di Shere Khan. Quattro artigli le graffiano la pelle, ma rimanda il problema a un altro momento e si trascina velocemente all'indietro, mentre Bagheera stringe maggiormente la presa e il sangue comincia a colare sulla pelliccia dell'altro animale.
"Porca troia."
Questa è follia.
"Porca troia!" ripete, guardando con gioia malata Shere Khan morire.
"Rebecca?"
L'ha fatto.
Lei ha—
"Rebecca!"
Il nero della notte non scompare, ma cambia le sue vesti e una sorta di vortice porta via Il Libro della Giungla dalla sua testa, lasciandola senza fiato contro un vecchio albero segnato dalle intemperie e con le scarpe sporche di fango. Rebecca scatta in avanti, in un gesto automatico, ma qualcuno la spinge di nuovo indietro e la testa le manda una fitta assurda che le fa mancare il fiato.
"Ahia!" piagnucola, rendendosi conto di star stringendo tra le dita terra e foglie secche. "Eh?!" Le forme pian piano vengono associate a dei nomi e tutto il resto perde di importanza, mentre quello che ha fatto si seppellisce nei ricordi della sua mente. "Oh, ma che—" Si interrompe, facendo correre lo sguardo tra le due ragazze di fronte a lei. "Che ci fate voi qui?"
Mi sono seriamente addormentata? Davvero?!
"Noi? Che ci fai tu qui! Sei impazzita?" Cinque dita si scontrano con la sua guancia e si accorge che Asja – perché questa è senza dubbio Asja – sta singhiozzando. "Come ti viene di uscire e andartene in giro da sola!" strilla, afferrandole la mano destra. "Sei ubriaca!" Comincia a tirarla per farla alzare da terra; lei le da retta più perché è stordita che per seria motivazione a tornare indietro.
Sembrava così reale...
Si tocca la fronte e serra con forza gli occhi. "Senti da che pulpito viene la predica."
Asja sta per ribattere, ma la seconda persona – Denise, ovviamente – la interrompe e si avvicina. "Tutto ok?" domanda, guardando con neanche tanto velata preoccupazione Rebecca. Ha le pupille dilatate e le guance rosse, ma è senza dubbio più presente di lei.
"Oh, sì." Rebecca strofina gli occhi contro il palmo della mano e si appoggia alle amiche; la mente ancora lotta tra due universi che – senza ombra di dubbio – l'alcol ha contribuito a mischiare. Si lascia andare a un'altra risata e scuote la testa, mentre cominciano a camminare per uscire dal boschetto. "Penso di aver fatto un sogno a cui non crederete mai."
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