{5. Il nostro domani}
✓ Quinto racconto
Scritto e ideato da elereg
•|Il nostro domani|•
- E ora, signore e signori, il gran finale... Venere.
La sua voce roca mi arriva dritta al timpano, creandomi quasi fastidio. Mi muovo sul posto nervosamente facendo qualche sospiro pesante, poi sposto la tenda di plastica ed entro nella pista circolare.
Il tendone bianco e rosso è gremito di gente: donne, uomini e bambini si accalcano sugli spalti eccitati in attesa del prossimo numero. Oggi per la prima volta sono nervosa, ho paura che qualcosa vada storto. Sarà per via del dolore alla spalla che non mi lascia un minuto, ed io, essendo una trapezista, con le braccia ci lavoro.
- Voglio andarmene, Don Pedro- gli ripeto per la centesima volta sbattendo le mani sul tavolo.
A questo mio gesto i suoi occhi neri come la pece sono su di me, accesi da un moto di rabbia improvviso. Così scatta sulla sedia facendola precitare a terra, e in due falcate mi raggiunge. Le sue sudice mani si appoggiano sulle mie spalle nude, e non posso che rabbrividire al quel contatto.
- Dove pensi di andare, orfanella? Ricordati che fuori da questo posto tu non sei nessuno- mi alita contro, prima di scaraventarmi lontano da lui.
Sono in cima alla scala e posso vedere tutto il pubblico rimpicciolirsi sotto il mio sguardo. Il tendone è calato in un silenzio totale. Tutti stanno con il naso all'insù in attesa dei miei salti.
Strofino le mani sporche di gesso e muovo in circolo la spalla mugolando di dolore. Spero solo di farcela; quindici metri di altezza mi separano dal suolo.
Guardo un'ultima volta a terra incrociando il suo sguardo. I suoi occhi color ghiaccio sono lì a fissarmi con un sorriso a piena faccia, un sorriso che resterei ore ed ore a guardare.
Ci siamo. Afferro la barra di metallo. Rullo di tamburi. Prendo la rincorsa e mi lancio.
Sento il pubblico sotto di me trattenere il fiato. La barra arriva a metà tendone, così mi lascio andare, svolgendo un carpiato che mi porta a raggiungere la barra opposta e torno in pedana.
La gente applaude euforica, tra fischi e urla. Faccio un inchino alzando le braccia, ma il dolore che poco prima infastidiva il mio arto, ora mi impedisce di alzarlo. E' così forte che mi sembra di avere una lama conficcata sotto la pelle. Qualche goccia di sudore mi imperla la fronte e un senso di vertiggini fa sdoppiare lo spazio che mi circonda.
Mi rimetto in posizione per un altro salto. Devo farcela. Conto mentalmente fino a tre e mi libro nuovamente nell'aria. Abbandono la prima barra di metallo, eseguendo un salto alla stregua del precedente. Ce l'ho quasi fatta, ma la spalla mi tradisce impedendomi di afferrare la seconda e così perdo l'equilibrio iniziando la mia discesa verso il basso.
Urla e grida si insinuano nella mia mente. Vedo la vita sfuggirmi dalle mani. Chiudo gli occhi nella speranza di poter sentire meno dolore. So che sono quasi arrivata a terra.
- Sono morta?- domando confusa aprendo di poco le palpebre, notando di essermi fermata.
- Mi hai fatto prendere uno spavento.
- Will- sussurro, - mi hai presa?
- Andiamo via di qua- sentenzia iniziando a camminare.
Non appena Will mi appoggia a terra, Giselle corre verso di me per assicurarsi che io sia tutta intera. Mi abbraccia ripetutamente, guardandomi con gli occhi fuori dalle orbite.
Contraccambio quel gesto seguendo con lo sguardo l'uomo che mi ha appena salvata.
Come un principe in sella al suo cavallo bianco si è tuffato per soccorrermi. Mi ha salvata molto tempo fa regalandomi il suo amore, e mi ha salvata oggi.
- Buona a nulla...- tuona la voce di Don Pedro alle mie spalle.
Mi giro in sua direzione notandolo con la frusta a mezz'aria, pronto a scagliarmela contro. Giselle si para davanti ricevendo il colpo al mio posto. L'esile corpo della mia migliore amica cade a terra e io mi precipito su di lei. Guardo ripetutamente lei e l'uomo davanti a me intento a ripetere il gesto.
- Tu, non vali nulla- rispondo fronteggiandolo.
I suoi occhi neri come la pece mi guardano carichi di odio. La sua mano si alza pronta a colpire il mio viso, ma ancora una volta Will mi salva stendendolo a terra con un destro. Mi prende per una mano e mi trascina con lui fuori di qui. Un'aria frizzante mi solletica il viso facendomi assaporare quella tanto attesa libertà, quella che ho sempre sognato e per cui ho lottato fino ad oggi.
Ci destreggiamo fra la folla che si accalca nel 'Parco Del Diamante', facendoci largo e correndo verso una meta che non so precisamente quale sia. Inizio a ridere fragorosamente sentendo la mia indipendenza farsi più vicina che mai.
Mi volto appena notando un Don Pedro tutto affannato ad inseguirci mentre sostiene con una mano il cilindro sulla testa e con l'altra la frusta.
- Will, corri- incito il ragazzo di fronte a me.
La presa aumenta, così come aumentano i nostri passi. La gente attorno a noi ci maledice, ma non ci badiamo. Alzo appena lo sguardo di fronte a me quando noto le mongolfiere di Martin muoversi nell'aria.
- Amico... ce ne serve una- chiede il moro al mio fianco al ragazzo dinoccoluto che ci guarda di sbieco.
- E' urgente...- lo prega voltando ripetutamente la testa per capire a che distanza sia il nostro inseguitore.
Dopo vari tentennamenti, Martin acconsente, notando un Don Pedro minaccioso poco distante da noi. Will mi afferra per i fianchi mettendomi all'interno del cesto e sale a sua volta andando ad accendere il bruciatore. Martin toglie i pesi che ancorano la mongolfiera a terra e a poco a poco il grande pallone si alza nell'aria.
Tiro un sospiro di sollievo sentendomi finalmente libera da ogni legame.
- Lo vedi quello?- mi chiede Will posizionandosi dietro di me e indicando un punto impreciso davanti a noi.
Annuisco appoggiando la testa sul suo petto.
- Quello è il nostro domani, Venere.
FINE
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