{3. L'applauso}

✓ Terzo racconto
Scritto e ideato da VegliAura

•|L'applauso|•

Il rumore degli applausi era il suo battito cardiaco.

Lo scroscio timido, via via più prepotente. Il momento in cui le grida cessavano, le smorfie si distendevano e il signor Trask lo indicava, sorridendo al pubblico.

-Non abbiate paura, signore e signori. Questo è un mostro gentile.

Lo diceva tutte le sere, prima di dargli un colpo garbato sulla spalla con il bastone. Lo faceva su quella buona, quella dalla curvatura più umana.

Quello era il suo momento, l’istante che preferiva.

Azzardava un passo storto sulla pedana, allargava le braccia il più possibile e si inchinava al pubblico, alle bocche spalancate dal terrore, al disgusto rappreso sulle labbra.

Sorrideva, ma nessuno se ne accorgeva, nessuno lo vedeva.

C’era troppa pelle che copriva le labbra, troppo peso che soffocava i muscoli.

Eppure, sorrideva.

Lo faceva solo per lei.

Agnes era in mezzo al pubblico, c’era tutte le sere.

Seduta in disparte, sullo sgabello di legno, la figlia del signor Trask non aveva mai saltato una replica.

Batteva le mani più forte di tutti e a volte si alzava persino in piedi. Anche se conosceva i numeri a memoria, anche se assisteva a tutte le prove.

Lei applaudiva per lui, gli soffiava il suo affetto fin dentro l’anima.

Sei il mio preferito, Edmond.

I suoi applausi erano sguardi che lo accarezzavano, respiri che non lo temevano. Attraversavano la pelle spessa, la coltre deforme e gretta, l’agglomerato di carne che lo rendeva mostro, creatura orribile.

Si infilavano nel suo timore di essere schernito, nella sua solitudine disperata e riuscivano a toccarlo, riuscivano a vedergli l’anima.

Gli si muovevano nel cuore, gli applausi di Agnes, pompavano un ossigeno dolce, caldo. Umano.

Si conoscevano da quando erano bambini, da quando il signor Trask aveva salvato Edmond dalla banda di malviventi che lo costringeva a mendicare con la forza, usando la sua deformità per intimorire, per plagiare gli animi dei passanti.

Gli si era avvicinato con dolcezza e gli aveva teso la mano. Aveva pagato i delinquenti e se l’era portato via.

L’aveva fatto diventare l’attrazione principale del suo spettacolo.

Agnes era arrivata nella sua anima in punta di piedi, premendosi un libro sul petto con una mano e sfiorando l’aria con l’altra. Un giorno in cui la tristezza nel cuore di Edmond era troppo prepotente, troppo chiassosa.

-Leggereste per me? – gli aveva chiesto, quando il suo respiro si era infilato finalmente in quello di Edmond.

L’aveva guardata bene e se n’era accorto.

Aveva osservato i suoi occhi e gli erano sembrati pieni d’acqua brumosa, di un candore timido, bellissimo.

-Per favore – Agnes aveva sorriso, scrutando il proprio buio, sbattendo le ciglia sul vuoto e scivolando per sempre nel cuore di Edmond.

Avrebbe dovuto rispondere che non sapeva leggere e che sarebbe stato meglio chiedere a qualcun altro.

Eppure era rimasto in silenzio, a lasciarsi guardare senza essere visto, a farsi scoprire senza essere schernito.

-Va bene – era riuscito a mormorare infine, tastando lo spazio che lo separava da lei e sfiorandole appena le dita, per farle capire che poteva tendergli il libro.

Agnes era arrossita di una felicità talmente pura da echeggiare dolorosamente nel cuore di Edmond, fino a diventarne un riverbero naturale, una pulsazione aggiunta.

Lì, sotto il tendone, nella calma umida e polverosa di quel pomeriggio, Edmond aveva inventato per lei la storia della mongolfiera.

Sfogliando le pagine a casaccio, solo per farle sentire il rumore della carta, aveva raccontato le prime cosa che gli erano venute in mente, scoprendo con gioia che la facevano ridere.

Erano andati avanti per anni.

Nascosti tra le travi cigolanti, sotto gli spalti vuoti. Sdraiati sulla pedana silenziosa, nella calma polverosa della pista vuota.

Edmond inventava mondi per lei, che non poteva vedere, che non aveva mai aperto gli occhi su niente che non fosse il cuore deforme di Edmond.

Agnes sapeva che lui era un mostro, che la gente veniva a vederlo anche da fuori città, ma sembrava che non le importasse davvero.

L’accarezzava senza rapprendere le dita nel timore, senza smuovere le labbra in un disgusto malcelato, ma sentendolo davvero, toccandolo e respirandolo.

Si amavano di una timidezza potente e profonda, solcavano mondi che gli altri, i normali, non riuscivano a sfiorare.

Agnes gli prendeva la mano quando la realtà si faceva troppo dolorosa, quando l’immagine che gli rimandava indietro lo specchio gli pungeva l’anima così forte da fargli cedere la presa sul mondo.

-Ti vedo solo io, Ed – gli diceva, scontrando la sua guancia liscia contro la deformità del suo volto, sfiorandolo con la sua perfezione, la sua simmetria.

Ti vedo.

Quando la sera saliva sul palco e faceva la sua apparizione alla fine dello spettacolo, Edmond teneva fermo dentro l’anima il calore della pelle di Agnes, la forza della sua voce soffice.

Sopportava le grida, gli insulti e le smorfie di terrore. Era immune all’umiliazione, alla vergogna e al bisogno doloroso di essere accettato.

Perché sapeva che c’era lei seduta in disparte, sul suo sgabello di legno. E quando, alla fine del numero, il signor Trask lo colpiva gentilmente sulla spalla buona e lui faceva un passo avanti, Edmond sorrideva.

Anche se nessuno se ne accorgeva, anche se la pelle che gli ricopriva le labbra era troppo spessa, lui sorrideva.

Solo per lei, solo per il suo applauso, il più scrosciante di tutti.

FINE

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