1. Ricordare senza dimenticare


Con la seguente one-shot ho vinto il Contest "Sfida di scrittura creativa" di @MaidireTEAM! Alla fine ne trovate anche il commento/recensione (ho omesso i vari consigli di correzione di refusi e simili perchè ho revisionato già il tutto e ormai sarebbero superflui).

Successivamente ho partecipato e vinto anche ad uno scambio di lettura organizzato da @TeamLinKIostro04, dedicato alle one-shot (trovate il bollino alla fine).

Buona lettura!


Esiste una leggenda che si accavalla nel tempo, tra le sabbia della memoria e gli anfratti del subconscio, secondo la quale ogni cosa dimenticata assume una nuova forma quando è destinata a essere ricordata.

Scáth[1] l'aveva sentita raccontare spesso, soprattutto da sua nonna prima di dormire, faceva parte di quella collezione di storie che nella terra in cui si trovava, quella di Tir na mBan[2] (l'isola verde che galleggia come una foglia sul mare) si potevano considerare come il sale in grado di condire ogni stilla del passato con le sue tradizioni e costumi. Ma era solo una delle tante, una di quelle che con gli anni si inizia a dimenticare, scordando pezzi di storia e ritenendone inutili altri, fino a quando non ne resta solo che il vago ricordo.

Arrivato ai suoi venticinque anni, infatti, Scáth credeva di non aver bisogno di doverla ricordare, e decise quindi di relegarla nell'angolo più buio della propria mente, lì dove si annidavano anche i pensieri più futili e irrilevanti. Crebbe così con la consapevolezza di lasciarsi alle spalle frammenti sparsi di cose che avrebbe potuto provare a ricordare, per mantenerne vivo il ricordo, ma senza preoccuparsene più del dovuto.

Crescendo, però, aveva sviluppato la malsana voglia di derubare gli altri dei loro ricordi, come se ciò potesse in qualche modo riuscire inconsciamente a compensare le proprie mancanze e colmare il vuoto dei propri ricordi persi nel tempo. Lo faceva arraffando in giro qualsiasi oggetto che potesse rievocarli, in modo involontario, come se fosse del tutto naturale. Un orologio, una spilla, una fotografia o un anello, monili di piccole dimensioni, senza che avessero necessariamente un valore economico, bastava che fossero in grado di essere associati a qualcuno o a qualcosa di particolarmente importante nella sfera affettiva dei loro proprietari.

 Per molti anni in tanti si chiesero che fine avessero fatto i loro oggetti, ai quali erano legati sentimentalmente per vari motivi (un amore perduto, il dono di familiare caro, un viaggio fatto anni prima) ma senza riuscire mai a scoprirne il colpevole. Almeno fin quando un dodicenne del posto non decise di indagare più a fondo in merito a chi potesse aver deciso di rubargli il ciondolo regalatogli dalla madre poco prima di morire.

Fu a quel punto che scoprì diversi indizi che portavano a Scáth, cosa che lo convinse a introdursi in casa sua. Ed è così che riuscì a scovare effettivamente nella cantina ogni oggetto che fino a quel momento era scomparso. Quando anche gli altri vennero a sapere della cosa, non ci fu compassione e nessuna ipotesi di cleptomania da poter curare, la rabbia e il risentimento di ogni persona derubata fu tale da non lasciare spazio ad alcun compromesso. Fortunatamente Scáth era abbastanza sveglio e agile da riuscire a fuggire in tempo. Solo un gruppo di sei ragazzi più o meno suoi coetanei riuscirono a tenere il passo, senza dargli tregua fino al bosco di Cuimhnigh[3], dove le cose presero una piega del tutto inaspettata.

La fuga fu estenuante, perfino Scáth, noto per la sua rapidità e leggerezza nella corsa, iniziò ad arrancare e incespicare lungo la strada, sempre più impervia e ricca di vegetazione. Il sentiero era stato lasciato già da tempo, iniziò a chiedersi da quanto stesse scappando via, mentre si inoltrava tra i cespugli fitti e ostili del bosco, facendosi spazio tra rami e tronchi caduti, superando radici di alberi secolari e arrampicandosi su cumuli di pietre abbandonati lì da tempo all'incuria e alle stagioni. Le urla dei suoi inseguitori alle spalle si facevano sempre più vicine, e fu quando ormai c'erano solo pochi metri a separarli che accadde qualcosa di straordinario.

Scáth inciampò, mise le mani a terra per attutire la caduta, ma lo sguardo si alzò e vide una figura stagliarsi davanti a sè, si innalzava da terra, come se fosse stata generata dall'ombra sul terreno, ed era effettivamente plasmata da quell'unico elemento, un'ombra densa e scura dalla fisionomia femminile, avente vita propria. Con un singolo gesto della mano davanti a sè, quell'entità misteriosa e sovrannaturale riuscì a generare anche dei lupi della sua stessa consistenza, che si misero tra Scáth e i suoi inseguitori, ringhiando e correndo verso quest'ultimi, facendoli trasformare presto da cacciatori a prede. Rimasto solo con quella figura, Scáth era terrorizzato, si alzò lentamente e con la giusta cautela, mentre osservava l'ombra davanti a sé

«Che cosa sei?»

domandò, incapace di poter dire altro, sgranando lo sguardo e arretrando anche di un passo in attesa della risposta, la quale non ci mise troppo ad arrivare

«Sono un ricordo, ma non ricordo quale»

La curiosità fu troppa, Scáth iniziò a non averne più timore mano a mano, ma piuttosto a esserne attratto, come lo si è di un pensiero piacevole e accogliente, pronto a insinuarsi nella sua testa e a non volerne uscire più

«Posso aiutarti a ricordarlo?»

Fu una domanda della quale a sua volta si stupì, non sapeva perchè lo avesse chiesto, ma l'istinto gli suggeriva che era la cosa giusta da fare, un modo come un altro per sdebitarsi, ma anche per redimersi da quanto fatto, per risanare il suo senso di colpa e rimediare ai propri errori. E fu così che la proposta venne accettata.

Dapprima non sapeva come poterla aiutare. Provò a fare domande, a chiedere quale fosse l'ultima cosa che ricordava, qualche indizio utile così da avere un punto di partenza, ma non ci fu nulla in grado di farla ricordare. Così Scáth iniziò a pensare al modo che solitamente usava a sua volta per riuscire a ricordare qualcosa, e lo propose anche a quell'ombra avente intelletto e vita propria

«Passeggiamo, qualcosa ti verrà in mente, alle volte basta fare anche solo qualche passo per riuscire a rievocare ricordi passati»

E così iniziarono a camminare, avanzando lentamente lungo il bosco fino a raggiungerne il limitare, lì dove iniziava la costa e il manto erboso lasciava spazio poco alla volta alla sabbia fine di una spiaggia bianca e solitaria. Le onde del mare accarezzavano dolcemente la terra ferma, lasciandone traccia come fa il calore di una mano che accarezza la pelle fredda di un corpo stanco, arrivando a riva e ritirandosi ritmicamente. Il suono dolce e che giungeva dalla distesa d'acqua venne interrotto solo dalla voce cristallina dell'ombra, che iniziò a dire qualcosa mentre Scáth la seguiva lentamente

«Provengo dalla terra dei Ricordi, anche i lupi arrivavano da lì, e noi come altri siamo tutto ciò che viene dimenticato, le ombre del passato che circondano ogni cosa e attendono di assumere una nuova forma»

A quelle parole qualcosa nella mente di Scáth tornò a risvegliarsi, come se fosse appena stato investito da una scarica di adrenalina, in grado di percorrerne le membra e riscaldarlo di un calore soffuso e familiare, una sensazione piacevole che lo portò a rivivere una scena del proprio passato, nella propria cameretta, al sicuro e al caldo

«Perchè prima mi hai aiutato?»

«Mi ricordavi qualcuno, anche questo posto ci riesce a dire il vero... tu come mai mi hai portato qui?»

chiese l'ombra, sempre più incuriosita dal luogo nel quale si trovavano


«Mia nonna mi ci portava spesso, raccoglievamo conchiglie sulla sabbia e mi faceva rincorrere le onde sulla riva, mentre mi raccontava aneddoti del suo passato. Ma spesso ero distratto, e ora ne ricordo a tratti solo alcuni, per quanto mi sforzi di ricordare... sfuggono via »

A quel dire qualcosa mutò nella fisionomia dell'ombra, iniziò infatti a perdere le forme snelle e agili di una giovane ragazza, assumendo invece quelle di una giovane donna, mentre continuava a proseguire lungo la riva. Ogni passo sembrava corrispondere a un anno di età in più, fino a incurvarsi e diminuire anche di statura, rallentando il passo e avanzando in modo sempre più incerto. Fu proprio quell'andamento nel camminare, così familiare, che risvegliò in Scáth un ultimo lontano ricordo

«N-nonna?»

lo chiese timidamente, come se fosse in imbarazzo per quella ipotesi azzardata, ma che sentiva provenire direttamente dal proprio cuore. Voltandosi l'ombra non aveva perso la sua consistenza, restava una figura nera e oscura, ma nella sua fisionomia appariva come una sagoma familiare, quella di una docile anziana che osservava il nipote

«Scáth, ma certo... sono un tuo ricordo. Ora rammento, sono arrivata fin qui per cercarti e rievocare nella tua mente qualcosa che avevi perso, perchè per quanto tu abbia provato da giovane a tenerti stretto ciò che ti avevo donato, poi hai deciso di lasciarlo andar via. Ma non si dovrebbe mai consentire ai propri ricordi di sfuggire via, sono ciò che ci consentono di far vivere in noi quello che abbiamo perso »

E con queste ultime parole tornò a guardare il mare davanti a sè, non c'erano lineamenti visibili, ma qualcosa nel cuore di Scáth riusciva a suggerirgli che quell'ombra stesse sorridendo

«Ora posso andare »

E con queste ultime parole, sotto lo sguardo attonito e interdetto di Scáth, l'ombra tornò a scivolare sul terreno fondendosi con la sabbia, fino a raggiungere la riva e divenire spuma del mare, la stessa che restava sul bagnasciuga a ogni onda concedendo nuove carezze.

Da allora Scáth non derubò più nessuno dei suoi ricordi, riconsegnò ogni oggetto e si fece perdonare iniziando a raccontare ovunque storie e leggende che aveva a sua volta sentito da sua nonna e da chiunque altro ne avesse una da condividere con lui. Continuò a recarsi spesso sulla riva di quella spiaggia, lasciando che lo sguardo corresse sulla riva per intravede la spuma del mare, la stessa che ogni volta riusciva a ricordargli qualche nuovo frammento di ricordo perso da tempo e l'insegnamento ricevuto, quello di non dimenticare mai che il ricordo va conservato gelosamente, come un tesoro prezioso, cercando di non farlo sfuggire via.


note:

1 scáth m (genitive singular , nominative plural ): dall'antico irlandese "ombra".

2 Per il nome del luogo mi sono ispirata a quello descritto a questo link: https://ilmanifesto.it/a-spasso-col-fantasma-della-regina-dei-mari

3 "Ricordare" in irlandese e in gaelico scozzese.


Recensione di  MaidireTEAM:

Per questa one shot hai usato una metafora molto bella. L'immagine poteva portare a scrivere trame banali, invece ne hai tratto ispirazione per raccontare una storia originale e delicata, che riguarda tutti e che potrebbe benissimo essere una fiaba. Da bambini molte volte i nonni ci crescono e diventano punti di riferimento, ma quasi sempre non vengono ascoltati i loro insegnamenti, oppure vengono dimenticati. Non è strano, l'umanità in generale non sa né ascoltare né ricordare. Le loro storie di vita e le frasi sagge, forgiate dal tempo e testimoni delle loro rughe, finiscono spesso per annoiarci e vengono confuse per sfoghi di anziani che hanno bisogno di compagnia. Ci accorgiamo quanto erano importanti, dell'amore e del tempo che ci hanno donato, soltanto quando non ci sono più. I ricordi vanno custoditi perché sono capaci di farci sorridere e piangere con la stessa facilità, ci evocano momenti che si stampano nel cuore come un'incisione che non viene erosa dal vento e dalle piogge. Hai creato una storia di una tenerezza infinita che merita di essere letta. Come detto, lo stile di narrazione e il lessico semplice, ma non banale, la rende quasi una fiaba ed è molto piacevole e scorrevole da leggere. Bella anche la scelta dei nomi che richiamano il tema principale dei ricordi, piccoli dettagli che arricchiscono ancora di più il testo. Anche a livello grammaticale è molto curata, non ci sono refusi e ciò denota l'impegno che ci hai messo. Detto questo non ci resta che farti i nostri più vivi complimenti e augurarti buona scrittura!


L'immagine che mi è stata assegnata per trarre ispirazione è la seguente: 



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