L'emporio di Jackson


L'emporio di Jackson non era mai stato un luogo accogliente. Quel vecchio non era capace di prendersi cura di sé stesso, figurarsi di un negozio.

Quante volte, chi c'era entrato per comprare, aveva trovato prodotti scaduti sulle mensole ai lati dell'ingresso, per non parlare della polvere che, accumulata sulle latte più datate, sembrava lasciata lì apposta per conferire un tocco di insalubre invecchiamento.

La patina ingiallita, che copriva la vetrina come una sottile pellicola, contribuiva a rendere veritiera l'idea di malsano anticato.

Il pavimento in assi di legno, probabilmente datati a una cinquantina d'anni, recava i segni di innumerevoli passaggi.

L'unica cosa che al vecchio Jackson importava era di quella sua dannata vetrina refrigerata: l'unico pezzo di quel negozio che curava come una figlia, tenendola sempre tirata a lucido e impeccabile, come se ogni giorno fosse il suo primo giorno di scuola.

E come se la coccolava! Le metteva in pancia, ogni giorno, tagli di carne fresca di prima scelta ed era proprio per quei gioielli che brillavano attraverso il suo vetro, che le persone sorvolavano su certi dettagli igienici, non mancando di passare a comprare da lui almeno un paio di volte a settimana.

Era comunque anche merito del vecchio Jackson se la gente tornava e ritornava: ci sapeva fare con i clienti, aveva sempre la battuta pronta ed era capace di strapparti un sorriso anche in una giornata da dimenticare.

Avrebbero sentito tutti la sua mancanza, persino quella chiavica di Janine Sarandon che, da vegana convinta, non perdeva occasione per tentare di diffondere la sua "malattia" anche agli altri concittadini, attraverso sproloqui senza capo né coda che quotidianamente rifilava a più di un malcapitato.

Era sempre pieno di vita quel simpatico vecchio venditore. Vederlo lì a terra, ai piedi della sua amata vetrina, immobile, riverso in una pozza del suo stesso sangue, andava contro natura.

Ellie lo conosceva da quando era bambina, chiunque nato a Captive conosceva il povero Jackson e nessuno si sarebbe mai immaginato una fine simile per lui.

Nessuno si sarebbe figurato una morte così atroce perché, quanto stava accadendo là fuori, per le strade di quel paesino di cento anime scarse, abitualmente immerso nella quiete propria della vita di montagna, era inimmaginabile.

Eppure Jackson era la prova che quanto avevano visto con i loro occhi era reale; non si trattava di un incubo.

Seduta a terra, spalle al muro, le unghie istintivamente piantate nel legno consunto del pavimento, Ellie spostava lo sguardo irrimediabilmente attratto dal cadavere agli altri fuggitivi che, come lei, avevano trovato rifugio nell'emporio.

Due di loro li conosceva da una vita. Il terzo, invece, aveva avuto il piacere di incontrarlo per la prima volta solo un paio di giorni prima; di lui sapeva poco o niente ma dallo sguardo che le rimandava, stando seduto a terra come lei, dal lato opposto del cadavere, sembrava essere l'unico in quella stanza ad avere il sangue freddo e la mente lucida per poter decidere cosa avrebbero dovuto fare per sopravvivere.

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Desmond non avrebbe avuto bisogno di tastare il polso di quell'uomo sconosciuto per confermarne il decesso, ma lo aveva fatto comunque, mosso da quella che, abitualmente, veniva definita "deformazione professionale".

Negli anni in cui aveva prestato servizio al pronto soccorso del suo ospedale, ne aveva visti di corpi straziati da ferite dovute a incidenti di ogni tipo, ma non si era mai trovato di fronte a uno scempio di quel genere.

La quasi totalità del volto di quell'uomo sembrava essere stata letteralmente strappata via dalla sua testa.

I tre che erano con lui in quell'emporio asserivano per certo si trattasse di un uomo di nome Jackson e si stupì della loro sicurezza dato che naso, bocca e occhi non erano più sul suo viso e, al loro posto, c'era solo una voragine pulsante rosso vivo.

Non aveva provato nausea nell'osservarlo più da vicino, a differenza dell'unico altro uomo presente in quella stanza che, dopo un paio di secondi, non era riuscito a trattenere in corpo l'ultimo pasto, liberandosene malamente a pochi passi da loro.

Desmond aveva istintivamente sfoderato in fretta la freddezza che abitualmente indossava tra le corsie del suo reparto. Doveva restare lucido per far lavorare la mente, lo sapeva bene, ci era abituato dalle innumerevoli ore passate in sala operatoria. Solo che ora era diverso, mantenersi saldi pareva impossibile perché la sua razionalità era stata messa duramente alla prova. Aveva visto, con i suoi occhi, qualcosa, un essere che non poteva essere umano, ma che non sapeva come spiegarsi.

Anche la donna che lo fissava dall'altra parte di quel corpo martoriato lo aveva visto.

Ellie si chiamava, era stato Bastian a presentargliela, quando erano arrivati a Captive un paio di giorni prima.

Rilassarsi e godersi i nipoti: questo era il toccasana con cui il compagno lo aveva convinto a staccare dal lavoro per recuperare il sé stesso che, dopo l'incidente, faticava a tornare.

Di certo, non si aspettava di trovarsi in fuga, rintanato in un emporio con un cadavere e tre sconosciuti terrorizzati mentre in lontananza, oltre la vetrina squallida di quel negozio malcurato, avvertiva grida sommesse che facevano presagire che, quanto era accaduto lì dentro, molto probabilmente si stava replicando anche là fuori.

Il pensiero corse rapido a Bastian, a Michael e alla piccola Susy.

Non aveva idea di dove fossero, poteva solo sperare che anche loro avessero trovato un luogo sicuro in cui rifugiarsi.

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Si era ripulito come meglio aveva potuto, usando la manica della giacca di flanella.

Avrebbe potuto fare un salto al cesso dell'emporio ma aveva le gambe paralizzate dalla paura e non ci teneva a farlo capire agli altri.

Il puzzo del suo vomito cominciava a farsi sentire e ne era certo, a breve, avrebbe saturato l'aria di quel cazzo di posto.

Voleva uscire, anche se non aveva idea di cosa lo aspettasse là fuori, ma di una cosa era certo: non sarebbe rimasto abbastanza a lungo da sentire quel puzzo crescere, rinforzato dall'olezzo che Jackson, a breve, avrebbe iniziato a far sentire.

Si costrinse a non fissare più quel tronco avvizzito senza testa che occupava il centro esatto della stanza, non ci teneva a dare spettacolo di nuovo, così si focalizzò su Ellie.

Aveva sempre avuto un debole per lei, fin dalle elementari, ma nonostante fosse sempre stato grande e grosso, non aveva mai avuto le palle per chiederle di uscire.

Lei, con gli anni, era diventata sempre più bella. Anche adesso, che aveva il terrore dentro, per lui era una visione capace di accendergli quel qualcosa sotto la cintola.

La guardò scivolare carponi accanto al cadavere, fino a raggiungere lo straniero che solo un paio di giorni prima era arrivato a Captive con quel frocio di Sebastian Ross.

Li osservò confabulare qualcosa, parlavano a voce troppo bassa per lui che, posizionato accanto agli scaffali di sottoli dell'ingresso, non riuscì a cogliere nemmeno una virgola del loro discorso.

Quel tipo doveva avere circa la loro età, sulla quarantina, un viso di quelli che piace alle donne perché mette sicurezza e ti accende allo stesso tempo. Le voci di paese erano corse veloci e dicevano che fosse primario di un reparto in un grosso ospedale, nella metropoli in cui Ross si era trasferito a vivere dopo essere scappato da Captive.

Dicevano anche che stesse con lui, nel senso che ci scopava e la cosa gli aveva fatto accapponare la pelle, dato che per lui, Gabriel Michael Norton, gli uomini dovevano scopare solo con le donne e con nessun altro. Eppure a vederlo così non sembrava "diverso", non come quella fichetta di Ross che aveva preso a pugni e calci chissà quante volte dopo la scuola e che alla fine non aveva comunque imparato a comportarsi da uomo.

L'unica chance che poteva avere di uscire e sopravvivere, era di non uscire da solo.

Se quei cosi erano ancora là fuori doveva affrontarli portando sottobraccio un agnello sacrificale, di certo non Ellie. Si sarebbe accontentato benissimo dello straniero o di quella bigotta della Perkins che, in ginocchio, davanti agli scaffali dei prodotti in scatola, dal lato opposto al suo, non aveva ancora smesso di blaterare i suoi dannati rosari.

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Alla fine era arrivata. L'Apocalisse, il giudizio e punizione di Dio per tutti i peccati perpetrati dagli uomini sulla Terra.

Si era fatta attendere, lei stessa l'aveva spesso invocata nelle sue preghiere, mai però si sarebbe aspettata arrivasse in quel modo.

Le sacre scritture parlano di un Dio vendicativo e ora lei, Mary Elizabeht Perkins, stava vedendo quanto aveva per anni solo potuto credere.

Dio alla fine era giunto sotto forma di un esercito di esseri dalla forma simile a quella dell'uomo, ma molto più terribili per natura.

Lei li aveva visti, attraverso la vetrina dell'emporio, riversarsi lungo le strade di quel paese di peccatori, qualche istante prima che quei tre facessero irruzione: esseri incredibilmente alti e dai corpi sottili, nudi ma senza la vergogna di esibire genitali di cui non erano provvisti, la pelle tanto sottile da sembrare intangibile e così lucente da parere uno specchio.

Ne aveva visto uno bene, da vicino, si era fermato, come ad annusare l'aria, proprio davanti l'ingresso dell'emporio, quando lei aveva già la mano sulla porta e stava per rincasare con i suoi acquisti.

Era rimasta basita da tanta perfezione e non aveva provato timore nel vederne il viso che, alla luce del lampione che debole iniziava a farsi vedere sulla strada, si era rivelato dotato di minuscoli occhi neri come la pece, totalmente vacui e inespressivi, della larghezza di un bottone. Il naso pressoché inesistente.

La bocca però era stato l'elemento che le aveva fatto presagire l'inizio della fine: era priva di labbra, apparentemente una mera apertura che una volta spalancata si era tramutata in una voragine nera su cui sfilavano una calca fitta di denti terribilmente aguzzi.

Dietro quell'essere ne aveva visti altri passare correndo, almeno una ventina ed era stato a quel punto che aveva preso coscienza di quanto stava per accadere.

Devotamente si era fatta il segno della croce e aveva aperto la porta, rimanendo sulla soglia, di lato, lasciando libero il passaggio. L'essere era entrato, leggero, con un passo insonoro.

Lei non aveva tremato, ma si era subito inginocchiata in segno di rispetto, abbassando lo sguardo a terra, non prima però di aver notato che anche le dita lunghe oltre modo, culminavano in sottili artigli che immaginò taglienti come rasoi.

Il vecchio Jackson era di spalle in quel momento ed era proprio nella sua direzione che l'essere si era incamminato. Lei avrebbe potuto avvisarlo, ma a quale scopo? Nessuno può mettersi contro il volere di Dio e per rispettarlo rimase in silenzio, senza emettere fiato alcuno, nemmeno quando la creatura divina aveva afferrato il vecchio mordendogli la faccia rugosa e trascinandolo a morire su quel logoro pavimento.

Sapeva che era giusto così, in fondo Jackson aveva sempre fatto una cresta troppo alta su ciò che vendeva, approfittando della buona fede dei suoi clienti. Aveva meritato quella punizione, ne era certa.

Ora si trovava in ginocchio a invocare l'angelo di Dio che aveva da poco conosciuto, affinché proseguisse la sua missione.

In quella stanza c'era più di un peccatore. Tutti sapevano che Ellie Morrison viveva nel peccato, fornicando con uomini diversi, senza vincolarsi in matrimonio e che quel buono a nulla di Gabriel Norton si accompagnava a meretrici a pagamento, spendendo i soldi della pensione del padre morente. Per non parlare poi di quello straniero venuto dalla metropoli, che stando con Sebatian Ross era come lui sessualmente deviato.

Dalla sua posizione di serva devota li teneva tutti e tre sotto controllo. Ora confabulavano qualcosa, ma a lei poco importava. Conosceva il luogo segreto in cui l'angelo si annidava in attesa e sapeva che avrebbe lasciato a lei l'onore di dare il via alla nuova esecuzione.

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"Cosa facciamo?" chiese Ellie a Desmond non appena gli fu di fronte.

L'uomo attese qualche istante prima di parlare, consapevole del peso legato alla risposta.

"Non possiamo restare qui" rispose secco "Ma dobbiamo essere certi che quei cosi non siano appostati qui fuori prima di uscire."

"Dalla vetrina la visuale è limitata, non possiamo esserne certi senza uscire" ribatté lei in tono concitato.

Desmond si passò rapido una mano sulla faccia per celare una smorfia di frustrazione.

"Restiamo qui e aspettiamo" concluse Ellie dopo aver fissato nuovamente il cadavere di Jackson e la pozza di sangue che ora le sembrò anche più densa.

"Non posso aspettare" disse l'uomo.

"Sebastian e i ragazzi" capì subito lei.

L'uomo annuì.

"Anche se trovassimo qualcosa qui dentro da usare come arma hai visto quanto sono veloci quei mostri e come..."

"Hai ragione ma io non posso restare perciò andrò per primo" concluse l'uomo e fece per alzarsi.

La donna lo trattenne afferrandogli il braccio.

"Se ti lascio andare da solo e ti succede qualcosa, Bastian non me lo perdonerà mai. Non uscirai da solo."

"Ehi! Avete in mente qualcosa?" chiese Gabriel avvicinandosi.

"Sì, uscire da qui" rispose Ellie mettendosi in piedi. I due uomini fecero lo stesso.

"Da dove ero seduto, per quello che potevo vedere, la strada mi è sembrata libera" disse Gabriel sistemandosi nervosamente il berretto in testa.

"Sono estremamente silenziosi quei cosi, hai visto a casa tua..." proseguì il medico rivolgendosi alla donna.

"Ne avete affrontato uno?!" chiese basito l'ultimo arrivato.

"Sì...e se non fosse stato per Desmond a quest'ora non sarei qui."

"Come siete riusciti a scappare?" chiese ancora Gabriel terribilmente sorpreso.

"Non ci ha visto. Credo non abbiano una capacità visiva così sviluppata oppure la vista non si adatta bene alla luce" ipotizzò Desmond.

"Già...sembra si affidino più all'olfatto" disse Ellie ritornando con la mente a meno di un'ora prima, nella testa l'immagine inquietante di quell'essere dalla bocca carica di lame che fiutava l'aria in cerca della preda.

"Con Jackson ci hanno visto benissimo..." commentò Gabriel con tirato sarcasmo.

"Lei come sta? La conoscete?" chiese Desmond riferendosi alla Perkins totalmente assorta nella preghiera.

"Sta più che bene se ha ancora voglia di pregare dopo quello che ha visto" rispose Ellie sprezzante.

La Perkins parve non udire le sue parole proseguendo nel suo parlato sommesso.

"C'è solo quell'ingresso giusto? Non c'è una porta sul retro?" chiese Desmond analizzando la situazione.

"Non esiste un retro in questo cazzo di posto, è tutto qui" tagliò corto Gabriel.

"Guardiamo in giro, cerchiamo qualcosa che possa esserci utile" li spronò Desmond dirigendosi dietro la vetrina.

"Se speri di trovare un'arma cerchi per niente, il vecchio non ne aveva" lo smorzò Gabriel

"Ma era un macellaio, avrà coltelli di un certo tipo" ribatté Desmond cercando negli spazi sotto la vetrina della carne.

"Devi saperli usare se vuoi ammazzare senza farti ammazzare."

In quell'affermazione di Gabriel, Desmond percepì più di una punta di scetticismo.

Un rumore, uno scricchiolio lento e ligneo, riempì improvvisamente la stanza.

Ellie, Desmond e Gabriel si bloccarono all'unisono, reciprocamente consapevoli di non averlo provocato.

Tutti voltarono lo sguardo sulla Perkins che però non si era mossa dalla sua posizione pia.

"Il pavimento è vecchio" sentenziò rapida Ellie.

Il silenzio che segui le sue parole parve interminabile.

"Continuiamo a cercare" lì incitò Desmond con maggiore slancio di prima.

"Qui!" esclamò Ellie dopo aver aperto il primo cassetto accanto alla vetrina refrigerata.

"Ottimo" disse Desmond esaminando rapido il contenuto della scoperta.

Più di una decina, tra coltelli e mannaie, tintinnarono incontrando le lame.

Ne presero uno a testa, ma non si sentirono più sicuri di prima.

"Bene, chi va per primo?"

"Gabriel, usciamo tutti insieme" gli rispose la donna.

"Meglio" ribatté leggermente sollevato "Una volta usciti dove andiamo?"

"Direi di trovare qualcuno degli altri, capire la situazione. Magari come sono comparsi se ne sono già andati" rispose Ellie.

"lo non sento nulla da parecchio" disse Gabriel riferendosi alle grida in lontananza udite fino a poco prima.

Un nuovo rumore sordo interruppe la conversazione. Il sangue gelò loro nelle vene.

Trattennero il fiato. Solo il brusio fitto del pregare della Perkins rimase vivo nell'aria.

"C'è qualcosa..." commentò Gabriel stringendo il palmo sul manico del coltello.

"Ma è impossibile, abbiamo sprangato l'ingresso e chiuso a chiave..." rispose Ellie con un filo di voce.

Nuovamente un suono di legno sforzato, un chiaro e netto scricchiolare, si fece udire, questa volta più ravvicinato. Istintivamente i tre portarono lo sguardo a terra, sotto i loro piedi.

"Viene da sotto" sentenziò Desmond.

Quel rumore crepitante parve sposarsi verso la porta d'ingresso e un brivido involontario corse loro lungo la schiena.

"Cosa c'è sotto?" chiese muovendo lentamente oltre la vetrina refrigerata per ricongiungersi con Gabriel.

"Niente..." bisbigliò l'uomo "Che io sappia..."

Desmond si guardò rapido intorno, e fece mente locale: gli scaffali, la vetrina per la carne, il banco con la cassa.

"Se non c'è un retro dove teneva le scorte?" chiese poi.

Ellie spostò rapida lo sguardo su Gabriel, sperando in una risposta diversa da quella che aveva il terrore di sentirgli dire.

L'uomo sbiancò di colpo, gli occhi gli si spalancarono quando la memoria gli restituì in automatico il ricordo della soluzione al quesito.

Di scatto, voltò la testa in direzione dell'ingresso, rendendosi conto solo in quel momento che la litania della Perkins era cessata da un pezzo.

Fu solo in quell'istante che tutti e tre notarono la botola sul pavimento, in una posizione che fino ad allora era rimasta coperta dalla figura inginocchiata della donna.

La Perkins si trovava eretta, davanti all'unica via d'uscita, la botola sul pavimento aperta ai suoi piedi.

Mosse lenta lo sguardo giudicatore su ognuno dei tre, per poi allargare un sorriso di appagante soddisfazione: "Preparate ciò che resta della vostra anima. Il giorno del giudizio è arrivato."

Una sorta di mano adunca, dalle dita terribilmente affusolate e inquietanti, emerse lentamente dal profondo di quella buca. Le unghie sottili e orribilmente affilate scintillarono alla luce scarsa della stanza, insieme alla pelle talmente sottile e tirata da far trasparire la rete di capillari che dovevano alimentare quell'essere.

L'unica via d'uscita era bloccata. Non avevano via di scampo. Non rimase loro altra scelta se non quella di prepararsi a lottare per sopravvivere.

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