Vittoria

 Emma

Ci vollero un po' di giorni per riprenderci. La stampa fu invasa da articoli sull' arresto di Russo. Bruno fu dimesso dall'ospedale dopo tre giorni dalla sua entrata: avrebbe dovuto restare quasi immobile per un mese per far in modo che le due costole rotte si rimettessero a posto. I lividi e gli ematomi vari sarebbero scomparsi nel giro di una settimana, massimo due. Cercammo di non chiuderci in casa, ma di affrontare la situazione a testa alta. Andai finalmente a parlare con Maria Boldrini: non solo mi disse che potevo iniziare a lavorare da subito, ma mi propose un contratto a tempo indeterminato, anche se mi sarei dovuta mettere in maternità pochi mesi dopo.

Io e Tommaso, con l'aiuto di Giada, trovammo una brava ginecologa. Ci diede appuntamento dopo la metà di Dicembre, il ventitré per la precisione. Ricordo quel giorno come fosse ieri. Tommaso mi tenne la mano per tutto il tempo. Avevo paura che dall'ecografia potesse risultare qualche problema, e gli avevo trasmesso la mia ansia già i giorni precedenti. Fu per via transvaginale, e non come Tommaso immaginava ( non per esperienza, ma perché lo aveva visto nei film). La ginecologa ci spiegò che in quel modo avrebbe visto più precisamente se la placenta e il liquido amniotico rispettavano i parametri, cosa che invece non sarebbe stato possibile per via addominale, essendo ancora una gravidanza di poche settimane.

"Allora, Emma, è entrata nella sesta settimana. È presto per avere un quadro completo, farei un'altra ecografia dopo le feste, ma da questo primo esame non mi pare ci siano problemi!", disse la ginecologa. "Facendo due calcoli veloci, il bambino dovrebbe nascere entro Luglio...ovviamente è presto per sapere il sesso!", disse sorridendo ad entrambi.

"Non vogliamo saperlo!", dicemmo all'unisono.

La ginecologa ci guardò un po' perplessa, ma continuando a sorridere.

"È vostro diritto anche questo...lo terrò per me quando sarà il momento!", rispose.

Avevamo parlato molto della gravidanza ,io e Tommaso, ed eravamo arrivati a quella conclusione, cioè di non conoscere se avremmo avuto un maschietto o una femminuccia, perché non era importante quale sesso avrebbe avuto, ma solo se stava bene o meno.

"Vediamo se si sente...", disse la ginecologa facendoci un sorrisino di sbieco.

Toccò qualche pulsante sull'ecografo, e subito dopo sentimmo un rumore veloce e potente.

"Bello forte il suo cuoricino, eh?", ci disse vedendoci perplessi.

"Si...si può già sentire?", chiese Tommaso scioccato.

"Sì, il cuore si forma dalla quinta settimana...", disse la dottoressa.

Mi portai le mani sul viso e iniziai a piangere. Si commosse anche Tommaso, che mi diedi un bacio sulla testa, mentre piangeva e rideva al tempo stesso.

"La nostra vittoria...", gli dissi cercando le sua mano.

Epilogo _ Emma

Erano due giorni che ci pensavo e ripensavo. Tommaso aveva chiamato i miei e li aveva pregati di salire a Milano: ci teneva a festeggiare la vigilia di Natale tutti insieme. Da quando suo padre era partito sentivo che aveva bisogno di avere accanto a sé qualcosa che gli ricordasse la parola famiglia, e i miei genitori erano per lui l'esempio perfetto. Giada e Matilde mi avevano fatto fare lo stretto indispensabile, continuando con la cantilena del dovermi stancare il meno possibile. La sala da pranzo era stata apparecchiata e addobbata con cura : bicchieri da vino, da acqua e flute da spumante, piatto piano e piatto fondo, su cui erano stati arrotolati dei tovaglioli rossi,  e varie posate per le diverse portate. Un centro tavola fatto di agrifoglio, pigne e decorazioni rosse e bianche faceva bella mostra di sè, e attorno alle sedie erano stati passati dei drappi rossi. Candele dorate rischiaravano la tavola e la stanza, insieme al caminetto accesso e all'albero sotto cui i regali non aspettavano altro che essere scartati. Sorrisi all'idea di mio padre e mia madre alle prese con la pomposità di quella Vigilia di Natale fuori standard. Non che anche io fossi abituata a tanto sfarzo, ma quelle maniere altolocate non mi dispiacevano affatto. Erano stati invitati anche Luigi, il fratello di Bruno, e i loro genitori. Giada aveva deciso che Bruno sarebbe stato meglio alla villa piuttosto che nel suo appartamento, dove avrebbe dovuto passare intere giornate solo: il giorno si sarebbe occupata Matilde di lui, e la sera ci sarebbe stata lei a sua completa disposizione. La cena fu strepitosa: antipasti misti con salmone affumicato, vol au vent con mousse di tonno, insalata di mare, olive e alici marinate; come primi una lasagna con carpaccio di salmone e robiola e ravioli di pesce con ragù di gamberi e finocchi; per secondo spiedini di anguilla con contorno di patate; per finire dolci tradizionali, come pandoro, panettone, torrone ecc. quando ci alzammo da tavola non riuscivo quasi a camminare per quanto mi sentivo piena. Ci disponemmo sui divani e Giada iniziò a distribuire i suoi regali: per me e Tommaso aveva pensato ad un buono in un negozio di articoli per bambini, dove avremmo potuto cominciare a vedere qualcosa per la stanza; per Bruno pensò ad un nuovo cellulare, visto che durante l'aggressione il suo aveva fatto una brutta fine; e infine, per Matilde, un tablet con cui avrebbe potuto aggiornarsi sulle nuove ricette, leggere libri , guardarsi film e serie tv e ascoltare la musica durante le pulizie e i vari lavori di casa. Bruno non aveva avuto tempo e modo di comprare i regali, e ci disse che avrebbe recuperato in seguito. Mia madre mi regalò una copertina di lana, cucita e ricamata a mano: erano anni che non lavorava più ai ferri. Una morbida nuvola bianca con su un orsetto marrone e ricami gialli.Mio padre invece optò per una collana: mi disse che aveva fatto delle ricerche, e per le donne in gravidanza ce n'era una in particolare, chiamata Richiamo dell'angelo. Una lunga catenina con una pallina come ciondolo, dentro la quale un campanellino sprigionava un suono basso e soave al minimo movimento. Ne avevo viste molte di quelle catenine, che si adagiavano sulle pance delle donne in attesa, ma non pensavo che un giorno ne avrei indossata una anche io. Corsi ad abbracciarli e poi fu il mio turno. Avevo pensato di regalare a tutti la stessa cosa: una cornice con la scritta Family. Poi avevo acquistato una polaroid, sfizio che volevo togliermi da anni, e riuscii a far sistemare tutti sul divano, Matilde compresa, usando l'autoscatto per immortalare il momento. Ne presero tutti una copia e la inserirono nella cornice, entro cui ci stava a pennello. Infine fu il turno di Tommaso. Anche lui, come me, aveva deciso di regalare a tutti la stessa cosa: un quadretto con all'interno un albero della vita in legno, con una scritta che diceva Famiglia, dove la vita comincia e l'amore non finisce mai.  Senza consultarci avevamo pensato entrambi al tema della famiglia. A fine serata ci ritirammo: i miei genitori si sistemarono nella camera dei genitori di Tommaso, i genitori e il fratello di Bruno andarono nel suo appartamento, e io e Tommaso ci piazzammo nella sua stanza.

"Ho pensato che la mia stanza potrebbe diventare quella del bambino...magari scegliamo un colore neutro, che potrebbe andare bene sia per un maschietto che per una femminuccia...", mi disse Tommaso.

"Ho visto su internet un muro a strisce beige e bronzo, mi piaceva molto...", risposi io.

"Potremmo fare una parete in questo modo e beige le altre tre, che ne pensi?", mi chiese abbracciandomi.

"Mi piace!", dissi abbracciandolo a mia volta.

Fu in quel momento che il pensiero che da due giorni mi ronzava in testa tornò prepotentemente a prendere piede.

"Tom ascolta, so che è presto e che abbiamo tutto il tempo, ma nel caso fosse una femmina, a me piacerebbe un nome...", gli dissi abbassando leggermente lo sguardo. "Ti ricordi ieri, quando durante l'ecografia, dopo aver sentito il battito del cuore ho detto...", gli dissi cercando il suo sguardo concentrato.

"...la nostra vittoria...", concluse lui.

Feci di sì con la testa e gli rivolsi un sorriso, e lì lui parve capire.

"Vittoria? Il nome di mia madre?", mi domandò spalancando un po' gli occhi.

"Sì, mi piace come nome, è sinonimo di forza...e mi piacerebbe che tornasse a far parte della tua famiglia...".

Appoggiò la fronte alla mia e respirò ad occhi chiusi, mentre io gli passai le mani sul viso.

"Lo sai che ti amo tanto, vero?", mi disse tornando a guardarmi negli occhi.

"Sì, come tu sai quanto io ami te", gli dissi baciandolo.

Ci avvicinammo alla finestra: la luna rischiarava il giardino sul retro della villa. Un po' di neve avrebbe reso l'atmosfera più romantica , ma ci accontentammo di una serena notte stellata. Chissà dov'era la mia stella in quel momento, se era al solito posto o si era sposata. Di sicuro io ne portavo una dentro di me, e non vedevo l'ora di poterla tenere tra le braccia. La mia Vittoria.   
Finalmente avevo trovato il mio posto felice!

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