Un passo avanti e due indietro

                                                                                 Tommaso

Mi piaceva vederla incerta e titubante su quali fossero le mie vere intenzioni. Si era cacciata nella borsa qualche compressa che aveva posto dentro una piccola scatolina di latta, e guardò quella bombola che giaceva accanto alla porta dell'ingresso. Senza lasciarla arrovellare ancora sul da farsi, la presi io al suo posto e uscii. In questo modo fu costretta a chiudere la porta e seguirmi. Durante il tragitto la vidi pensierosa.

"Che hai? Ansia?"

"Sì..."

"Mio padre è un uomo tranquillo Emma... e non ti presenterò come la mia ragazza se è questo che ti spaventa..."

"Non avevo dubbi su questo Tommaso, e non sono spaventata da tuo padre...è che non ho sentito più né mia madre né mio padre, e la cosa non mi piace affatto..."

"Perché non li chiami tu?"

"Ho mandato dei messaggi ad entrambi e mi hanno risposto in modo secco e coinciso ...sapendo quanto si preoccupano per me, e visto che mi hanno ricoverata in ospedale la scorsa settimana, è davvero uno strano comportamento il loro!"

"Pensi sia successo qualcosa?"

Mi guardò e lessi nel suo sguardo tutta la paura che quella mia ultima domanda aveva scaturito in lei. Lo conoscevo bene, quello sguardo. Lo avevo letto tempo fa sul viso di mio padre, su quello di mia sorella, e per quanto volessi negarlo, anche sul mio. Istintivamente le presi la mano sinistra, con cui continuava a lisciarsi la gamba, e gliela bloccai sotto la mia.

"Non hai modo di contattare qualcuno e scoprirne di più?"

La vidi riflettere un po', mentre lasciai la sua mano per cambiare marcia. Recuperò il cellulare dalla borsa e cercò un numero in rubrica, avviando la chiamata. Il telefono squillò a vuoto, finché non cadde la linea e fu costretta a chiudere la chiamata.

"Il dottor C. è il medico di famiglia...solo lui può sapere se c'è qualcosa che non va...mi richiamerà..."

Dopo altri dieci minuti di viaggio arrivammo nella mia vecchia casa, quella dove ero cresciuto. Emma mi seguiva guardandosi attorno in silenzio. Matilde, la domestica che avrebbe potuto tranquillamente andare in pensione, ma continuava a mostrare fiducia e attaccamento a mio padre, mi venne incontro e mi abbracciò non appena mi si ritrovò davanti. Le presentai Emma e lei le stampò due baci sulle guance, dandole il benvenuto . Le chiesi di accompagnarci da mio padre: ci condusse in salotto, dove lui se ne stava seduto sulla poltrona, con un plaid sulle gambe, davanti in caminetto acceso, a leggere uno dei suoi libri. Vestito in modo impeccabile e con i suoi occhiali da lettura calcati sul naso, si voltò non appena udì i passi di Matilde nella grande stanza. Gettò il libro e gli occhiali, si alzò e mi allargò le braccia, invitandomi a raggiungerlo. Dopo essermi sciolto dal suo abbraccio, invitai Emma, che era rimasta ad una certa distanza, ad avvicinarsi.

"Emma, ti presento mio padre Amedeo...papà, lei è Emma Lisi!"

Si strinsero le mani, mentre io mi avvicinai a Matilde chiedendole di prendersi qualche ora libera. Avrei pensato io al pranzo. Mi riavvicinai ad Emma e a mio padre, che si erano accomodati sul divano. Dopo le solito domande di rito su come ci sentissimo, mio padre si rivolse di nuovo ad Emma.

"Mia figlia mi ha parlato molto di te. Era davvero agitata per l'intervista. E so che mio figlio ti ha proposto di scrivere un libro e che poi qualcosa è andato storto. Io e Giada abbiamo un buonissimo rapporto, mi racconta praticamente tutto."

"Signor De Curtis, io voglio scusarmi per la nostra breve conversazione, quella mattina che Giada aveva lasciato il suo cellulare qui a casa e ho parlato con lei...le ho praticamente chiuso il telefono in faccia..."

"Non preoccuparti...e dammi del tu! Se mio figlio ha deciso di portare qualcuno qui, vuol dire che di sicuro non si tratta di un'amica...ma guardandovi non siete neppure amanti...non ancora almeno."

Guardai Emma arrossire, mentre io feci un sorriso, scuotendo la testa.

"Bene, visto che il ghiaccio è stato rotto, io andrei ad occuparmi del pranzo! Papà, non mi spaventare troppo Emma per favore!"dissi, facendole l'occhiolino e uscendo dalla stanza. Notai l'espressione preoccupata di lei, il suo sorriso tirato. Ma ero sicuro che poteva farcela ad affrontare il grande Amedeo De Curtis.

Emma

"Non ti fidi di lui...lo leggo dal tuo sguardo..."

Esordì così, non appena Tommaso lasciò la stanza. Io lo guardai, senza parlare. Quell'uomo pareva leggere le persone. Si alzò e si avvicinò ad un tavolo pieno di bottiglie di liquori. Si versò un dito di un liquido ambrato, probabilmente cognac , e tornò a sedersi al mio fianco. Mi chiese se ne volessi anche io, ma il ricordo dello champagne bevuto qualche ora prima mi acuì il dolore alla testa, quindi rifiutai decisa.Mi guardò , e tutta quell'attenzione mi mise in soggezione. Cercai di sorridergli e di guardarmi attorno per rilassarmi.

"Le assomigli...c'è qualcosa nel tuo sguardo, nel tuo modo di stare composta, di arrossire nei momenti di imbarazzo...somigli a Vittoria"

"Vittoria era..."

"Vittoria è... è e sarà sempre mia moglie, nonché la madre dei miei figli"

"Mi scusi io..."

"So che sei in soggezione e che starai mandando i peggiori rimproveri a mio figlio, per averti lasciata sola con me..."

'Oh no, davvero, io non farei mai una cosa simile!"dissi in modo poco convinta.

Amedeo scoppiò a ridere, contagiando in parte anche me. In quel momento rientrò Tommaso, dicendo che il pranzo era quasi pronto. Mi chiesi come avesse fatto ad essere così veloce, poi pensai che probabilmente Matilde aveva già preparato qualcosa. Dopo l'abbondante pasto e un buon caffè, Amedeo si ritirò nella sua stanza per riposare, mentre Tommaso mi fece fare un giro della casa. L'ultima stanza che mi mostrò fu la sua camera.

"Sono passati dieci anni da quando ho lasciato questa casa per andare a vivere per conto mio...ma non è cambiato assolutamente nulla."

Le pareti bianche, il letto a una piazza e mezza, le tende celesti e blu, i vecchi libri di scuola e dell'università. Poi la mia attenzione venne attirata da una foto incorniciata sulla scrivania: ritraeva un giovane Tommaso insieme ad una bellissima donna sulla quarantina.

"Risale ai miei diciotto anni...una delle mie foto preferite" disse Tommaso, affiancandomi.

"Come è morta?" gli chiesi

"Incidente stradale...provocato da un infarto in corso. Questo è stato il referto dell'autopsia."

"Tua madre aveva problemi cardiaci?"

"No...quelli li aveva e li ha tuttora mio padre. E questo è uno dei motivi per cui ha deciso di non guidare più: vuole evitare che possa accadere anche a lui qualcosa di simile."

"Ed è per questo che ieri non hai chiamato lui? Non avrebbe potuto raggiungerti, non guidando?"

"Anche...ma forse avevo bisogno solo di una scusa..."

"Una scusa per cosa? Per cercare me?"

"Esatto,potevo chiamare a casa e farmi passare Giada...ma mi dispiaceva il modo in cui ci eravamo lasciati e ho approfittato del fatto che invece il tuo cellulare squillasse per lasciare fare al destino..."

"Credi nel destino Tommaso?"

"Mio padre e mia madre si sono conosciuti in tribunale. Lui era già un avvocato, lei era stata presa per uno stage come segretaria. Aveva vent'anni, dieci anni in meno di mio padre. Si innamorarono subito, io nacqui 2 anni dopo. Mio padre ha sempre raccontato di aver capito fin da subito che lei sarebbe stata la donna della sua vita, e dopo averla conosciuta ha capito il vero significato della parola amore. Quindi si, credo nel destino Emma. E tu?"

"Io preferisco non crederci..."

"Il tuo passato è un capitolo pesante,ma non sei arrivata alla fine del libro e non sai cosa ti aspetta"

Credere al mio destino significava fare i conti con tutte le cose negative che mi erano successe. E poi continuavo ad avere quella strana sensazione di ansia che non mi abbandonava. Presi il cellulare che mi ero infilata nella tasca dei pantaloni: ancora nessun segno di vita da parte del dottor C. Riposi il cellulare e mi massaggiai le tempie. Il mal di testa non passava.

"Sei stanca?"

"Un po'...dormire per terra e poi ubriacarti di prima mattina non è il massimo!" gli risposi sorridendo.

Mi indicò il letto alle nostre spalle. Vi si gettò sopra, ricordandosi solo dopo dei punti. Fece una smorfia unita ad una risatina nervosa, incrociò le gambe e passò le braccia sotto la testa, continuando a guardarmi. Mi avvicinai ai piedi del letto, mi tolsi le scarpe, che iniziavano davvero a farmi male, e appoggiai prima un ginocchio e poi l'altro sul materasso. Restai per un po' interdetta se stessi facendo o meno la cosa giusta, ma, come era successo con la bombola dell'ossigeno prima di uscire da casa, Tommaso non mi diede il tempo per riflettere: si alzò il tanto che bastava per afferrarmi il polso e tirarmi sul cuscino. Ci stendemmo sul fianco e ci scrutammo per qualche minuto. Poi Tommaso si infilò sotto le coperte, e io lo seguii. Ci addormentammo quasi subito.

Tommaso

Mi svegliai di nuovo prima di lei. In meno di un giorno avevo dormito due volte con una donna, la stessa donna, senza farci assolutamente nulla al di fuori della pura contemplazione. La cosa mi preoccupava. Il mio petto contro il suo e i nostri respiri sincronizzati.Avevo letto qualcosa in merito, tempo prima: quando due corpi giacciono insieme, vicini, il respiro di uno si adatta a quello dell'altro, espirando ed ispirando all'unisono. Ma non mi era mai capitato di sperimentarlo prima di quel giorno.Mi dava le spalle, il mio braccio gli passava sotto il seno e il suo vi era poggiato sopra. La sua mano sulla mia. Mi sporsi con la testa sopra la sua spalla: ruotai il polso e con esso la mano, facendo così in modo che le sue dita potessero intrecciarsi alle mie. Il suo corpo rispondeva, anche se il sonno la rendeva incosciente. Tracciai con il naso la linea del suo collo, l'incavo della spalla. Risalii al suo orecchio, lo baciai e lo morsi, come avevo fatto quella stessa mattina. Si mosse e si voltò supina. Le nostre bocche erano troppo vicine. Per non cedere alla tentazione di baciarle, di approfittarmi di quel momento, sollevai la testa con il braccio.

"Fallo!"

Le sue labbra si erano mosse, facendo uscire quel suono, quella parola, quelle cinque lettere. E ciò significava che era sveglia, che aveva solo finto di dormire, come avevo fatto io poche ore prima. Aprì gli occhi: mi sembrò di non averne mai visti di più belli.

"Permetteresti ad uno di cui non ti fidi di baciarti?" le dissi, sistemando la mano intorpidita sotto la testa.

"Per avere la risposta a questa domanda dovresti provarci..."

"Mi stai mettendo alla prova? Se ti bacio sono un approfittatore come tanti, e se non ti bacio vuol dire che non mi piaci?"

"Forse..."

Non mi mossi di un millimetro, cercando di non cedere alla tentazione e alla provocazione.

"So che mi baceresti Emma: me lo dicono i brividi sulla tua pelle non appena ti sfioro, il respiro leggermente affannato, il petto che si alza e si abbassa più velocemente del dovuto..." dissi, mentre accarezzavo il suo viso, le sue labbra, il suo petto.

"Ma c'è Caterina, non è vero?"

Caterina . E chi ci aveva più pensato a lei? per quanto mi rifiutassi di ammetterlo, a me stesso e ad Emma, da quando l'avevo conosciuta Caterina era pian piano sparita dai miei pensieri. Ma era presto per confessarle questo pensiero.

"E se fossi io a farlo Tommaso...che faresti?"

"Per avere la risposta a questa domanda dovresti provarci Emma..."

Sollevò una mano e mi accarezzò la guancia, delicatamente. Imitò la mia stessa posizione, si fece leva con un braccio e puntò il gomito sul cuscino. Eravamo a pochi centimetri di distanza, occhi negli occhi. Emma avvicinò le sue labbra alle mie.

"Mi fido poco di te, Tommaso De Curtis...ma non posso non ammettere che tu sia la cosa migliore che mi sia successa negli ultimi due anni della mia vita" mi sussurrò, soffiandomi sulle labbra.

A quel punto non resistetti oltre. Mi sporsi con il busto su di lei, obbligandola a tornare in posizione supina.  L'osso del suo bacino mi puntava proprio sulla ferita e sui punti. Anche Emma si accorse della mia posizione sofferente, mi sollevai con le braccia e lei si spostò leggermente sotto di me. La mia gamba destra trovò spazio tra le sue. Mi passò le mani tra i capelli, mentre io, ad occhi chiusi, come lei, appoggiai la mia fronte alla sua. Le nostre labbra si unirono. Fu dapprima uno scoprirsi, poi iniziammo ad assaggiarci. Quelle labbra morbide, quel retrogusto di caffè unito a quel sapore solo suo. Mi strinse le braccia attorno al collo, io rilassai le braccia e mi appoggiai di nuovo sul suo corpo. Infilai le mani al di sotto del suo maglioncino verde: le accarezzai i fianchi, la schiena. Era magra, da quella posizione riuscivo a sentirne ogni singola costola che componeva la gabbia toracica. Mi feci spazio tra le sue gambe, e lei non mi rifiutò. Piegò le sue ai lati del mio bacino. Non so quanto ancora avrei resistito: desideravo Emma come non mi era successo con nessun'altra donna . Le nostre lingue continuavano ad accarezzarsi, le nostre mani a percorrere strade inesplorate al di sotto dei nostri vestiti. Emma mi aveva sbottonato la camicia e tolto la giacca: il suo maglione, sollevato sopra al seno ,e i miei addominali che si adattarono perfettamente all'incavo del suo stomaco. Le sue mani aggrappate dietro la mia schiena, che poi fece scendere pericolosamente fino alla cintura dei miei pantaloni.

                                                                                     Emma

Dovevamo fermarci. Dovevo fermarlo. Stavamo correndo troppo. Non mi fidavo di lui, glielo avevo ripetuto anche pochi minuti prima. Allora perché il mio corpo non lo rifiutava? Perché permettevo che mi toccasse, che mi baciasse, e soprattutto: perché io ricambiavo? Non riuscivo a staccarmi da lui. Sentivo la sua erezione crescere mentre il mio bacino si adattava al suo. Ero spaventata al pensiero che qualcuno potesse entrare dalla porta : nessuno dei due aveva pensato di chiuderla a chiave. O forse era solo la paura che qualcuno potesse entrare mettendo fine a tutto, a spaventarmi? Non lo sapevo neanche io cosa volevo. Ero combattuta: lo desideravo ma volevo respingerlo. La mia testa mi diceva una cosa e il mio corpo me ne suggeriva un'altra. Tommaso abbandonò le mie labbra per qualche secondo, giusto il tempo di sussurrarmi: ' se vuoi che mi fermi dimmelo adesso Emma, o potrei non riuscirci più!'. Cercavo di concentrarmi, di comandare la mia voce, far uscire dalle mie labbra quella semplice parola: FERMATI!. Invece nessun suono ne uscì, se non il mio respiro affannato e ansimato, dopo aver sentito le sue mani sbottonarmi i pantaloni e le sue dita giocare con l'orlo delle mie mutandine. Ma fu il destino a scegliere per me: il cellulare, che non so come era rimasto nella tasca posteriore dei miei pantaloni, iniziò a vibrare, provocando al mio corpo già parecchio scosso ed eccitato, una nuova scarica di adrenalina. Lo estrassi mentre Tommaso mordeva il mio fianco sinistro.

"...è il dottor C.!", dissi ,forse con un tono di voce troppo alto.

Tommaso si bloccò e si sollevò leggermente con le braccia, dandomi modo di sgusciare via da sotto il suo corpo e mettermi a sedere. Cercai di recuperare un po' di contegno, e di respirare a pieni polmoni ( o forse sarebbe meglio dire a pieno polmone) per rispondere alla chiamata.

"Pronto, dottore ..."

"Sì?"

"Sono Emma Lisi, scusi se..."

"Emma! Aspettavo la tua chiamata! Se mi stai chiamando per tuo padre sta tranquilla, l'ho spedito a Roma da un mio collega che si occuperà di lui al meglio!"

Il mio viso era ancora accalorato, ma cominciai a sentire uno strano freddo alle ossa. Tommaso se ne accorse, mi strappò il telefono dalle mani, mise il vivavoce e si sedette al mio fianco.

"Purtroppo, il tumore alla prostata è molto comune negli uomini. Quindi adesso gli faccio fare varie analisi, vediamo cosa dice questo mio collega, se è il caso di operare, e se questo basta oppure bisogna aggiungere un ciclo di radio. Ma sta tranquilla : io sono fiducioso, tuo padre è forte! Emma ci sei? Mi senti?"

Mi veniva da vomitare. Mentre io mi divertivo con Tommaso mio padre e mia madre combattevano una nuova sfida: perché non mi avevano detto nulla? Non mi credevano in grado di aiutarli? Ero troppo debole per loro? Oppure mi credevano egoista, in grado di pensare solo a me stessa dopo quello che la vita mi aveva riservato?. Tommaso mi accarezzò un braccio, incitandomi a dire qualcosa.

"Sono qui...la ringrazio per quello che sta facendo...verrò da lei il prima possibile, per parlare di persona sul da farsi!"

"Quando vuoi Emma, ti aspetto!"

Tommaso chiuse la chiamata. Io mi alzai e andai ad affacciarmi alla finestra. Avevo bisogno di aria. Il freddo tagliava il viso. Strinsi con le mani la soglia, incassando la testa e iniziando a piangere. Tommaso mi raggiunse, abbracciandomi. Mi accasciai contro il suo petto, mentre lui mi sorreggeva per impedirmi di cadere a terra.

"Non servo a niente Tommaso! Non mi hanno neanche chiamata per dirmelo!" dissi singhiozzando.

"Emma non è vero! Avranno solo capito che tu hai già i tuoi problemi da affrontare, e poi vorranno farti godere un po' la vita!"

"NON è VERO! CREDONO CHE NON POSSA AFFRONTARE UN'ALTRA SFIDA, E' QUESTA LA VERITA'!" gridai.

Gli diedi una spinta, mi risistemai i vestiti, ripresi il telefono dal letto disfatto e uscii dalla stanza. Sentivo Tommaso camminare a passo svelto dietro di me e chiamare il mio nome, mentre io scendevo al piano di sotto prendendo le scale. Cercai tra la lista delle chiamate il numero del taxi, e con lo sguardo sullo schermo del telefono quasi mi scontrai con Matilde.

"Signorina Lisi..."

"Matilde potrei riavere la mia giacca per favore? Vado un po' di fretta..."

"Certo...subito!" mi rispose incamminandosi verso il guardaroba.

Tommaso mi raggiunse e mi bloccò. "Che vuoi fare?" mi disse.

Non gli risposi, attendevo che dall'altro lato del telefono qualcuno si degnasse di rispondermi. "Sì, avrei bisogno di un taxi..."

Non ebbi modo di finire la frase, che Tommaso mi strappò di nuovo il telefono dalle mani e chiuse la chiamata.

"SMETTILA! DEVO ANDARMENE, DEVO TORNARE A CASA! DEVO ANDARE IN STAZIONE E PRENDERE IL PRIMO TRENO!"

"Posso accompagnarti io Emma!posso venire con te!"

"NON SE NE PARLA! DEVO ANDARE SOLA!"

"CERCA DI CALMARTI! IO NON TI MANDO DA NESSUNA PARTE IN QUESTE CONDIZIONI!"

"E INVECE CREDO PROPRIO CHE LO FARAI!"

"CHE SUCCEDE QUI? CHE DIAVOLO è TUTTA QUESTA CONFUSIONE?" disse Giada, comparendoci davanti.

Probabilmente era rientrata da poco, aveva ancora la borsa in spalla, la sciarpa attorno al collo e il naso rosso per il freddo.

"Giada potresti darmi uno strappo in stazione? Devo tornare a casa, mio padre non sta bene!"

"Ma certo, mi racconti tutto in macchina!"

"Emma fermati, ti prego! Aspetta un attimo, parliamone!"mi supplicò Tommaso.

"Lasciami andare, ti prego!" gli dissi, tirando via il polso che teneva stretto tra le sue mani.

Matilde tornò, mi consegno la giacca e la borsa e mi salutò con un'espressione preoccupata sul volto. Seguii Giada e velocemente ci incamminammo verso la sua macchina, lasciando la porta aperta. Mi voltai un istante, prima che la macchina partisse: Tommaso era sotto l'arco, mentre si reggeva allo stipite con una mano, e mi fissava sconsolato. Forse stavo rinunciando alla mia felicità. Caterina sarebbe tornata all'attacco con me fuori dai giochi e lo avrei perso per sempre. Ma mio padre era più importante della mia felicità.

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