Tutti i nodi vengono al pettine
Bruno
Quando lessi il messaggio di Giada, in cui mi comunicava che non sarebbe rientrata a Milano prima della mattina successiva, tirai un sospiro di sollievo. Ebbi tutta la notte a disposizione per cercare altre informazioni sulla vita di Russo: ormai mi era chiaro che l'odio verso Tommaso affondava le radici in qualcosa di più vecchio. Non poteva essere solo invidia per la fortuna che Tommaso aveva avuto grazie all'agiatezza, che per giunta si era anche costruito da solo, o con le donne. C'era qualcos altro, doveva esserci. Scaricai sul mio pc le foto fatte quel pomeriggio : dalla targa riuscii a risalire al nome del concessionario in cui la macchina di Russo era stata acquistata. Feci un'altra breve ricerca e scoprii che quel concessionario era intestato ad un certo Paolo Russo. Non poteva essere anche quella una coincidenza: si trattava di sicuro del padre di Gabriele. Guardai l'ora, erano le otto. Mi feci un panino e bevvi una coca cola, mio fratello Luigi non sarebbe tornato essendo andato a trovare i nostri genitori. Decisi così di tornare a casa di Tommaso, per controllare in che condizioni fosse. Lo trovai ancora a letto, ma aveva cambiato posizione e di sicuro si era alzato: teneva tra le mani qualcosa, e solo dopo essermi avvicinato capii si trattasse di un test di gravidanza. Il cellulare posato sul comodino continuava a squillare: lessi il nome di Emma nella chiamata in arrivo, che si andava a sommare a tante altre chiamate senza risposta, sue e di Giada. Me ne tornai a casa e mi addormentai. La mattina mi svegliai presto e , prima delle otto, arrivai al concessionario. Attesi che aprissero ed entrai. Con la scusa di voler cambiare la mia auto venni guidato da una giovane ragazza verso alcuni modelli: ma non era lei con cui volevo parlare. Iniziai a guardarmi in giro, finché un ufficio al secondo piano non attirò la mia attenzione.
"È possibile far valutare la mia auto, signorina? Sa, di questi tempi se si riesce a risparmiare qualcosa..." .
"Certo, ma per questo deve parlare con il direttore...", mi rispose.
"E adesso non c'è?", chiesi.
"Sì ma è impegnato con un altro cliente...", mi disse sorridendo.
"Aspetto, non ho fretta!", le risposi sedendomi su un divanetto.
Mezz'ora più tardi la stessa ragazza venne a chiamarmi per comunicarmi che Russo poteva ricevermi. Un uomo alto, snello e dai capelli brizzolati mi diede la mano, ci presentammo e mi fece accomodare. Si fece consegnare il libretto di circolazione, lesse un po' di dati e fece un rapido calcolo, dicendomi che la mia vecchia auto sarebbe stata valutata circa mille euro.
"Ha qualche idea , le piace qualche modello in particolare?", mi chiese appoggiandosi allo schienale della poltrona.
"Audi A6, possibilmente nera!", risposi prontamente.
"La stessa che ha acquistato mio figlio pochi mesi fa, gran bella macchina!", mi rispose sorridendo.
Bingo. Ero sulla strada giusta, dovevo continuare a restare su quel sentiero.
"Peccato che mio padre non abbia un concessionario, magari mi avrebbe fatto un regalino, tolto qualcosa in più sul prezzo...", dissi sospirando.
"Purtroppo il mercato automobilistico è calato, e noi dobbiamo pur lavorare! Ma ci sono tanti incentivi e la possibilità di pagare in piccole e comode rate...lei che lavoro fa, posso darle del tu?"
"Certamente, può chiamarmi Bruno senza problemi! Io sono laureato in informatica e ho un buon lavoro, non proprio prettamente inerente al mio campo, ma mi piace!", dissi tenendomi sul vago.
"Bene, quindi potrebbe aprire tranquillamente una finanziaria", mi disse strofinandosi le mani.
"Potrei, si...se non avessi un fratello minore che aiuto con l'università e una ragazza con cui pensare ad un futuro insieme!", dissi appoggiandomi allo schienale della sedia e grattandomi la testa.
"Matrimonio e figli?", chiese sorridendo.
"Beh, non è quello che vogliono tutti?", risposi guardandolo in viso e cercando di carpirne qualcosa.
Mi ruotò una cornice con la foto della sua famiglia. Era di qualche anno prima, lui aveva i capelli meno brizzolati e Gabriele era più giovane. Notai la donna e pareva Gabriele al femminile. Era lui che stonava in quel quadro, non riuscivo a scorgere somiglianze tra quei due uomini.
"Oddio ma...lei è il padre di Gabriele Russo, il giornalista?", chiesi fingendo sorpresa.
"Sì sono io...", mi disse sorridendo.
"Mi scusi, scusi davvero...le sto parlando di famiglia invece so che sua moglie, insomma...", dissi dispiaciuto, e quella volta ero serio.
"Sì, mia moglie è venuta a mancare un anno fa...io e Gabriele ne abbiamo sofferto molto! Era lei che ci teneva legati...ma torniamo a noi Bruno: allora lo facciamo questo preventivo? E poi si prende qualche giorno per pensarci?".
"Sì! Perfetto, grazie!".
Dopo dieci minuti uscii da quel concessionario. Una frase mi era rimasta impressa: «era lei che ci teneva uniti...». Cosa voleva dire? Che dopo la morte di quella donna i rapporti tra padre e figlio si erano inclinati? Dovevo trovare informazioni su quella donna: chi era, che lavoro faceva. Mentre ero perso tra i miei pensieri mi arrivò un messaggio da Giada: <che fine hai fatto? Devo preoccuparmi?> . Mi serviva ancora un po' di tempo, ma non potevo continuare ad evitarla. Le scrissi di vederci per pranzo, l'avrei aspettata a casa mia. Dovevo andare ad aprire l'agenzia, fingere che andasse tutto bene e rassicurare gli altri dipendenti su Tommaso.
Giada
Trovai una delle poche interviste fatte a Russo. Parlava della morte di sua madre. Il nome di questa donna era Emanuela. Feci una ricerca negli archivi dei necrologi dell'anno precedente e trovai una certa Emanuela Calò, morta il quattro dicembre. Scrissi il suo nome sul motore di ricerca e uscì un articolo su un premio alla miglior tesi di laurea risalente a quaranta anni prima. Emanuela si era laureata con il massimo dei voti e aveva ricevuto subito la proposta di lavoro da parte di uno studio legale importante. Quando ne lessi il nome una strana sensazione mi chiuse lo stomaco: era lo stesso studio dove mio padre aveva lavorato per anni. Quindi si conoscevano? Avrei potuto andare a parlare con lui, magari sarebbe stato in grado di chiarirmi le idee. Ma continuavo a sentirmi strana, come se la bomba non fosse ancora scoppiata. E io ne ero spaventata a morte. Nel corso degli anni, prima che mio padre andasse in pensione, avevo conosciuto dei suoi colleghi. Uno in particolare sembrava aver avuto sempre un buon rapporto con lui: Filippo Cartasegna. Anche lui era in pensione, aveva qualche anno in più di mio padre e si era ritirato fuori Milano occupandosi di orto e animali vari. Ci ero stata qualche anno fa con Matilde, per prendere uova e verdura. In un modo o in un altro sarei riuscita a ricordare la strada. Senza avvisare nessuno uscii dall'agenzia. Un'ora dopo ero arrivata a destinazione. Una donna sulla settantina innaffiava dei fiori, un cane correva cercando di bere dal budello della padrona. Era Rita, la moglie di Filippo.
"Buongiorno ...", dissi attirando la sua attenzione e facendola voltare verso di me.
"Buongiorno, come posso aiutarla?", mi disse chiudendo il rubinetto dell'acqua, per dispiacere del cane.
"Non so se ti ricordi di me, Rita...", chiesi avvicinandomi. "Io sono Giada, la figlia di Amedeo De Curtis!", dissi porgendole la mano.
"O santo cielo, Giada!! Adesso mi ricordo di te, come sei cambiata...saranno cinque anni che non ci vediamo!", mi disse abbracciandomi. "Sei più bella di come ricordassi! Posso offrirti un caffè?".
"Ecco Rita, io a dire il vero avrei bisogno di parlare con Filippo...è in casa?", le dissi con faccia dispiaciuta.
"Filippo è andato a comprare del mangime per gli animali, ma tornerà a momenti! Entra dai, ti faccio un caffè e lo aspetti!".
Non ebbi il coraggio di dirle ancora di no, e poi comunque dovevo aspettare suo marito. Dopo venti minuti il rumore di un camioncino sul sentiero sterrato mi fece sperare fosse lui. Difatti Rita uscì e lo invitò ad entrare. Non parve sorpreso nel vedermi, e la sensazione di ansia che da quella mattina mi stringeva lo stomaco si acuì. Filippo mandò sua moglie a scaricare il mangime, aiutata da un ragazzo che probabilmente si occupava dei lavori di fatica. Si mise accanto a me e mi baciò una mano.
"Mi fa piacere tu sia qui, ma non credo che questa sia una visita di piacere, non è vero Giada?".
"No, sono qui perché ho bisogno di sapere una cosa: nel vostro studio legale lavorava una certa Emanuela. È morta lo scorso anno. Era la madre di un giornalista, che dopo la sua scomparsa ha iniziato a prendersela con mio fratello. Che sai dirmi di lei?".
Filippo si alzò e si versò del caffè. Era strano, mi dava le spalle come se non riuscisse a sostenere il mio sguardo.
"Ti prego Filippo, sto cercando di aiutare mio fratello! Non dovrei dirti questa cosa ma domani uscirà un'intervista su di lui, e sono sicura che quel Russo non ci andrà giù leggero! Ho bisogno di trovare qualcosa di concreto con cui poterlo mettere a tacere!", gli dissi alzandomi e raggiungendolo.
"Anche se questa cosa dovesse stravolgere la tua vita e la tua famiglia?", mi chiese continuando a darmi le spalle.
Si voltò verso di me e mi guardò negli occhi.
"Sei una ragazza intelligente, non farmi rovinare anni di amicizia con tuo padre, ti prego! Perché non vai a parlare con lui, Giada?!", mi disse poggiandomi le mani sulle spalle.
"Ok, allora mi costringi a fare il mio lavoro di giornalista! Ti faccio delle domande e tu mi rispondi sì o no, ok?".
"Giada, ti prego!".
"Mio padre e questa Manuela avevano una relazione?", gli chiesi cercando di mantenere un po' di autocontrollo.
"Sì...", rispose Filippo abbassando la testa.
"E questa relazione è finita dopo l'arrivo della mamma?",domandai con la voce un po' inclinata.
"Sì...tuo padre se ne innamorò a prima vista".
"E Emanuela? Che fine fece?"
"A questa domanda non posso rispondere sì o no, Giada...", mi disse. Ma il mio sguardo supplichevole lo incitò a proseguire. " Emanuela si licenziò due mesi dopo...".
"Perché?"
"Ti prego Giada, basta. Parlane con tuo padre, ti supplico!".
"Era incinta?", gli gridai contro.
"Non ne ho mai avuto la certezza, tuo padre ha sempre tenuto per sé questa storia. Ma l'idea che ci eravamo fatti tutti noi dello studio era questa, sì. Che lei fosse incinta...".
Un crampo mi colpì allo stomaco, e istintivamente strinsi gli occhi dal dolore. Recuperai velocemente borsa e giacca e uscii. Filippo mi seguì dicendomi di non mettermi in viaggio in quelle condizioni, ma io non lo ascoltai neppure. Iniziai a respirare e me ne andai da quella casa. Mezzora dopo, non sbagliando di nuovo la strada, ero sotto casa di Bruno. Sperai che fosse già rientrato, iniziai a bussare alla porta di continuo, ma nessuno mi aprì. Mi accasciai a terra, con le spalle poggiate sul legno duro. Iniziai a piangere e abbracciai le ginocchia. Dopo una decina di minuti sentii alzarmi di peso. Bruno mi abbracciò e mi fece entrare in casa.
"Giada che hai? Che succede?", mi chiese facendomi sedere sul divano.
"Russo...", dissi solamente, prima di ricominciare a piangere.
"Ti giuro che ne vengo a capo di questa storia, stamattina sono stato nella concessionaria dove lavora il padre! Ho visto la foto, non si somigliano affatto, potrebbe essere stato adottato..."
"No! No Bruno, Gabriele non è stato adottato!", gridai continuando a piangere. "Gabriele è un De Curtis, come me e Tommaso!", confessai portandomi le mani sul viso.
Bruno mi abbracciò e restai avvinghiata a lui per minuti, ore.
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