Sì
Tommaso
Dopo aver letto il messaggio di Giada non ero riuscito a resistere ed ero corso negli studi televisivi della sua agenzia. Ero riuscito a seguire solo il suo discorso finale, e mi stava bene così. Non avevo, infatti, ancora voglia di ascoltare le parole registrate da mio padre, nostro padre.
"Non eri mai venuto qui, non avevi mai visto questi studi!", mi disse saltando a terra e sorridendomi con gli occhi.
"E non sai quanto mi dispiaccia non averlo fatto! Ma forse per questo devo ringraziare nostro padre, che ha di sicuro rafforzato il nostro rapporto con la sua dipartita!", le dissi accarezzandole il volto.
"Promettimi che tu non mi lascerai mai, Tommaso!", mi disse guardandomi preoccupata.
"Mai, Giada!, le risposi prendendole una mano e baciandola.
Mi guardai un po' attorno, studiai il suo camerino, pensieroso. Il mio cellulare squillò: sapevo bene chi fosse, e non sapevo cosa dirle. Non potevo affrontare quella conversazione per telefono. Sconsolato lo guardai per avere la conferma che fosse Emma a chiamarmi, e lo riposi di nuovo in tasca.
"Devi parlarle, potrebbe aver visto la diretta!", mi disse Giada.
"Devo affrontare questo discorso faccia a faccia, non per telefono! E non posso lasciare Milano, ho paura che dei giornalisti possano seguirmi!".
"Forse una soluzione c'è...magari potresti usare un'altra macchina...".
Giada prese la sua borsa e ne estrasse le chiavi dell'auto di Emma.
"Ha lasciato la sua auto parcheggiata dalle parti di casa tua, e mi ha dato le chiavi nel caso avessimo avuto bisogno di spostarla : potresti usarla per tornare a Frosinone e lasciare la tua auto a casa mia...o meglio nostra! In questo modo i giornalisti si apposterebbero fuori dalla villa credendo di vederti uscire da lì, prima o poi!".
Mi piaceva quando ragionava in quel modo. La sua idea poteva funzionare.
"Come torno a casa? Mi accompagni tu?", le chiesi, immaginando avesse una soluzione anche per quello.
"Non io, ma Bruno! Caso vuole che mi stia aspettando alla villa. Domani mattina presto, quando i giornalisti si saranno stancati di aspettare, uscirete di casa e ti accompagnerà a prendere la macchina di Emma...e tu sarai libero di andartene a Frosinone da lei!".
Poteva funzionare. Doveva funzionare. Uscimmo dagli studi e ce ne andammo alla villa. Come previsto trovammo dei giornalisti appostati per strada, fuori dal cancello.
«Signorina Giada, dove è andato suo padre? Farete entrare anche Gabriele Russo nella vostra famiglia? Signor De Curtis, che fine ha fatto Emma Lisi? ».
Io e mia sorella ci coprimmo i volti e velocemente entrammo in casa, dove tirammo un sospiro di sollievo. Cenammo insieme a Matilde e Bruno, e spiegammo a quest'ultimo cosa avevamo, o meglio cosa Giada aveva, pensato di fare per permettermi di raggiungere Emma. Bruno si dimostrò d'accordo e convinto che la cosa potesse funzionare, quindi programmò la sveglia per le quattro del mattino. Ci ritirammo nelle nostre stanze: Giada usò la scusa della levataccia mattutina per cui Bruno avrebbe dovuto riposare. Ma quando la mattina dopo mi raggiunse in salotto, dove io lo stavo già aspettando da mezzora , con gli occhi gonfi di sonno, capii che avesse dormito ben poco.
"Ce la fai a guidare? Fuori pare non ci sia nessun giornalista appostato, ma io sarei più tranquillo se mi allungassi sui sedili posteriori della tua auto...", gli dissi.
Mi sbadigliò in faccia e mi fece un cenno con la mano e con la testa, che presi come una specie di conferma che fosse abbastanza vigile. Gli feci comunque bere del caffè, che avevo preparato anche per me, e uscimmo di casa. Girammo un po' attorno al mio appartamento fino a che non scorsi la macchina di Emma. Ringraziai Bruno e gli consigliai di andare a dormire. Prima però gli consegnai un foglio che avevo scritto durante la notte.
"Ho deciso di chiudere l'agenzia per qualche giorno...ci pensi tu ad avvisare tutti?".
"Certo Tommaso, vai adesso!".
Gli diedi una pacca sulla spalla e corsi nella macchina di Emma.
Emma
Il dottor C. mi fece un gran sorriso quando gli comunicai la notizia di essere incinta. Mi prescrisse le analisi e mi disse di farle al più presto, per avere la certezza che non ci fossero problemi. Poi mi diede il numero di una ginecologa, sua amica, da contattare a nome suo. Ma per quello avrei aspettato ancora un po'. Me ne andai al laboratorio di analisi e riuscii a farmi prelevare il sangue quella stessa mattina. Poi me ne tornai a casa, tenendo per me la cosa. Mia madre si era accorta del mio malumore: credo che pensasse che tra me e Tommaso ci fosse stata una discussione o qualcosa di simile, e che la mia apatia dipendesse da quello. La nausea continuava ad essere presente, soprattutto la mattina, ma non avevo più dato di stomaco, il che era un bene, perché quel disturbo non avrei potuto nasconderlo. Le analisi furono pronte la mattina dopo: lessi i referti online e li stampai, tornando dal dottor C. per farli controllare. Mi rassicurò che era tutto ok e mi feci prescrivere qualcosa per la nausea.
Erano passati tre giorni e non avevo avuto più notizie di Tommaso. Continuavo a chiamare e il suo cellulare squillava a vuoto. Mi cresceva sempre più il nervosismo. Quel suo atteggiamento non riuscivo a comprenderlo: perché mi evitava così?. Mi sentivo tagliata fuori e non sapevo cosa fare. La mattina del quarto giorno , i miei andarono a Roma: mio padre aveva un controllo da fare e sarebbero rientrati la mattina dopo, fermandosi a dormire dai miei zii. Mi ero alzata e mi ero quasi convinta a chiamare quella ginecologa per prendere un appuntamento, cominciando a credere che se aspettavo Tommaso sarebbe arrivato il giorno del parto senza fare neanche un'ecografia. Presa da questi pensieri un po' estremi mi preparai una camomilla e mi sedetti sul divano, ancora in pigiama anche se era ormai metà mattinata. Dei colpi ripetuti alla porta mi fecero sussultare, tanto che quasi mi cadde la tazza dalle mani. Mi alzai velocemente raggiungendola, quasi spaventata dall' aprirla.
" Chi è?", chiesi contro il legno.
"Io...". Quel pronome, pronunciato in modo così flebile, mi scosse: non aveva niente a che fare con l'irruenza mostrata nel picchiare la porta poco prima.
Aprii e me lo ritrovai davanti: la barba incolta, i capelli spettinati, gli occhi cerchiati dalle occhiaie. Gli diedi le spalle, senza dirgli nulla, e me ne tornai in salotto. Lo sentii chiudere la porta e raggiungermi.
"Emma, ascoltami...", mi disse poggiando le mani sulle mie spalle.
Le mossi per liberarmi da quella presa e mi voltai verso di lui.
"Tre giorni Tommaso...sei sparito per tre giorni: non una chiamata, un messaggio, nulla!!", gli dissi, sentendo la rabbia aumentare.
"Lo so, hai ragione...ma sono successe delle cose, non so se hai visto...", mi disse con sguardo triste.
"Non ho voluto vedere niente, volevo che fossi tu a dirmelo! Non volevo leggere delle notizie scandalistiche come se fossi una fan che si impiccia della vita del suo personaggio famoso preferito, Tommaso!", gli gridai contro.
"Mi dispiace...", mi disse avvicinandosi al mio viso.
Non riuscii a controllarmi. Gli tirai un rovescio che lo colpì in pieno volto, facendogli ruotare la testa. Si portò subito la mano sulla guancia e abbassò il capo, iniziando a piangere. Mi fece pena quando cadde in ginocchio a terra, attaccandosi alle mie gambe. Quasi mi sentii in colpa e la rabbia mi abbandonò. Mi inginocchiai anche io e lo abbracciai. Quando mi chiese come stavo, accarezzandomi la pancia mentre continuava a piangere, mi commossi. Lo feci alzare da terra e sedere sul divano, chiedendogli di raccontarmi tutto. Si appoggiò allo schienale, cercando di respirare e di smettere di piangere. Gli accarezzai il petto, mi faceva male vederlo in quelle condizioni.
"Russo è mio fratello!".
Bloccai la mano all'altezza dello sterno e lo fissai in volto, aspettando che continuasse e mi desse delle spiegazioni su quella sua ultima affermazione.
"Mio padre aveva una relazione con un'altra donna prima di conoscere mia madre. Lei restò incinta, ma mio padre si era già perdutamente innamorato di mia madre, quindi accettò di pagarle gli alimenti senza però riconoscerlo mai come suo figlio legittimo. Gabriele ha scoperto questa storia pochi giorni prima che sua madre morisse: ecco perché mi odiava tanto."
Continuavo a non capacitarmi di quello che mi stava dicendo Tommaso. Mi sembrava tutto così assurdo.
"Mio padre se ne è andato. Ha lasciato un video in cui raccontava tutta la storia, e Giada lo ha mostrato ieri nella puntata della sua rubrica. Ho dovuto chiudere l'agenzia per qualche giorno. Devo starmene lontano dalla scena...Caterina ha rilasciato un'intervista, ma non quella che voleva Russo: si erano messi d'accordo, ma poi lei ci ha ripensato, e non ha parlato male nè di me nè di te...Qualche giornalista ti ha importunata? si è presentato qui a Frosinone?"
Gli accarezzai il volto e gli chiesi scusa per lo schiaffo, rassicurandolo che nessun giornalista mi avesse importunata in quei giorni.
"Non so che fare Emma, vorrei scomparire, essere dimenticato! L'idea di venire a Frosinone usando la tua auto è stata di Giada : mi ha detto che le avevi consegnato le chiavi e ho colto l'occasione al volo. Sono uscito nascosto nell'auto di Bruno e ho recuperato la tua auto per raggiungerti, perché anche in mezzo a tutto il casino che è scoppiato a Milano tu mi mancavi troppo, e io non riuscivo più a restarmene chiuso in casa!", mi disse accarezzandomi il viso.
"Ti ho provato a chiamare centinaia di volte! Perché non hai mai risposto?", gli chiesi accigliata.
"Come avrei potuto raccontarti queste cose per telefono? E poi sentire la tua voce mi avrebbe reso più nervoso, sapendo di doverti tenere a distanza!".
Gli consigliai di farsi una doccia. Gli diedi dei vestiti di mio padre e gli preparai qualcosa da mangiare. Gli chiesi di farmi leggere tutto: l'intervista di Caterina, gli articoli usciti sul suo conto e di farmi vedere la diretta del programma di Giada. Mi spiegò che era stato Bruno a fare il lavoro maggiore: era stato lui a trovare le informazioni su Russo, a far parlare suo padre che lavorava in un concessionario a cui era risalito tramite la targa della sua auto. E poi Giada aveva scoperto della relazione tra il padre e la madre di Russo chiedendo conferma ad un vecchio amico di famiglia, nonché ex collega del padre. Mi fece male leggere come i vari giornalisti parlavano male del mio uomo e della sua famiglia: in tutta quella storia l'unico che aveva sbagliato era stato Amedeo, non di certo suo figlio. La faccia di Tommaso era stanca e smunta. Lo feci stendere sul mio letto e si addormentò quasi subito. Avvisai Giada che Tommaso era arrivato a Frosinone quella mattina, immaginando che non avesse più dato sue notizie dopo essere andato via da Milano. Restai a guardarlo per un po': non era forte e tutto d'un pezzo come pensavano gli altri. Il vero Tommaso De Curtis lo conoscevamo solo io, sua sorella e il suo braccio destro Bruno. Mi stesi al suo fianco e mi addormentai anche io. Quando mi svegliai lo trovai a contemplarmi.
"Io non ti merito Emma, vali troppo per uno come me!".
"Ma che dici?".
"Ci sono troppi pensieri negativi che mi girano in testa...", disse mettendosi a sedere sul letto. "...soprattutto su mio padre! si è giustificato dicendo che lui voleva la famiglia perfetta del mulino bianco! Ma alla fin fine ha solo fatto impazzire mia madre!"
Gli massaggiai le spalle, cercando di alleviare la tensione muscolare causata dallo stress.
"Domani andiamo a Milano e affrontiamo Russo una volta per tutte, insieme!", gli dissi cingendogli i fianchi da dietro e appoggiando la testa sulla sua schiena.
Si voltò, mi guardò con occhi disperati e spenti.Mi prese il viso e accostò la sua fronte alla mia.
"Sai che io senza di te non sarei nulla, vero? Tu sei il mio porto sicuro, la mia ancora, il mio faro nella notte. Io non posso perderti, Emma! Mi impegnerò ad essere un uomo migliore e un buon padre per nostro figlio!", mi disse strofinando il naso contro il mio.
Presi il suo viso per distanziarlo un po' dal mio e poterlo guardare negli occhi. L' elettricità tra di noi era altissima. Non potevo resistere oltre e lo baciai con trasporto. Tommaso passò una mano dietro la mia nuca e una dietro la mia schiena, mi attirò più vicina a sé, stringendomi al suo corpo.
Tommaso
Le tolsi la maglia del pigiama e la feci stendere sotto di me. Le baciai il collo, il seno, le mani. Avevamo entrambi voglia l'uno dell'altra ma prima dovevo fare una cosa importante. Le baciai la pancia e dovetti far leva su tutto l'autocontrollo che possedevo per non toglierle il pezzo di sotto del pigiama e la biancheria intima.
"Ehi, scricciolo, mi senti? È il tuo papà che ti parla. Mancano ancora un po' di mesi prima che tu possa conoscermi, ma ti prometto che cercherò di risolvere tutti i problemi che hanno colpito la mia famiglia, prima della tua nascita!".
Fece leva sui gomiti e si tirò su: le accarezzavo la pancia, parlando quasi attaccato al suo ombelico, cercando di immaginarlo come un condotto per amplificare il suono.
"Ti prometto che io amerò sempre te e la tua mamma ,anche se si presenteranno altri problemi in futuro, e che nella nostra casa non mancherà mai l'amore!", continuai guardandola e incrociando i suoi occhi lucidi. "Quindi oggi inizio a risolvere il primo problema, il più semplice e meno complicato!", dissi alzandomi e uscendo dalla stanza.
La lasciai su quel letto, si era messa a sedere dubbiosa su dove fossi andato e a fare cosa. Scesi di sotto, recuperai i miei pantaloni ed estrassi dalla tasca l'anello che mi aveva consegnato mio padre pochi giorni prima. Per quanto in quel momento non avessi molta stima di lui, il pensiero di mia madre, forse morta di crepacuore per aver scoperto che mio padre aveva avuto un altro figlio con un'altra donna, mi aveva tolto il sonno e l'appetito. Quel gioiello meritava di prenderlo Emma, per la forza, il coraggio e la gioia che aveva portato nella mia vita. Perché io non sarei stato come mio padre, io non le avrei nascosto nulla, non l'avrei fatta più soffrire, e avrei combattuto per vederla sempre felice. Tornai velocemente in camera, dove la trovai a fissare la porta con i piedi poggiati a terra. Mi guardò perplessa , mentre mi avvicinavo al letto e mi inginocchiavo ai suoi piedi. Un pensiero parve balenarle, una luce le attraversò lo sguardo. Aprii la mano e le mostrai l'anello, un solitario in oro rosa, con una pietra rosa e tempestata di brillanti. Spalancò gli occhi e la bocca, mentre le prendevo la mano, pronto ad infilarle quel cerchietto all'anulare.
"Questo era di mia madre, e per quanto stia rivalutando la persona che glielo ha messo al dito, sono sicuro che lei sarebbe felice di sapere che lo porti tu! Quindi, Emma, che ne dici di diventare mia moglie e la futura signora De Curtis?".
Una lacrima scivolò sulla sua guancia, mentre un sorriso sempre più grande si allargava sul suo viso.
"Emma Lisi in De Curtis...non suona male!", mi disse, tanto per prendere tempo.
"Quindi? Cosa rispondi?", gli chiesi con quell'anello a mezz'aria.
"Sì, Tommaso! Sì, sì, cento volte sì!!". Le infilai quell'anello e lasciai che lo contemplasse per qualche secondo.
Si alzò in piedi e tirò su anche me, sollevandomi dalla felpa. Mi abbracciò e mi disse in un orecchio: "Ti amo, Tommaso!".
Ci guardammo per pochi secondi, poi ci baciammo e riprendemmo da dove avevamo interrotto.
Forse fu merito della proposta, o dei giorni di distanza, oppure ancora era merito della gravidanza: ma quella volta fare l'amore con Emma era stato fantastico. Si era accasciata sul mio corpo e io l'avevo tenuta stretta a me, accarezzandole la schiena mentre entrambi cercavamo di riprendere fiato. Mi bastava averla accanto per trovare la forza necessaria per non lasciarmi abbattere.
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