Resistere alle difficoltà

                                                                                          Emma

Restammo qualche minuto in silenzio, mentre la macchina usciva dal cancello di quella villa e si immetteva sulla strada.

"Che è successo Emma?"

"Mio padre ha un tumore alla prostata...devo tornare a casa!"

Si portò una mano alla bocca, guardandomi per qualche secondo tornando poi ad orientare il suo sguardo sulla strada.

"Mi dispiace tanto..."

"Non è colpa tua, non è colpa di nessuno! La vita è così!"

"Emma, per quello che è successo questa mattina invece, forse ti dovrei delle scuse..."

"Non le devi a me Giada, ma più a tuo fratello, credo!"

"Se sapessi cosa succede davvero tra di voi magari potrei chiarirmi un po' le idee, non pensi?"

"Hai mai pensato di fare la giornalista nella vita?"

Giada scoppiò a ridere, per poi pentirsene subito davanti al mio freddo e falso sorriso. Non riuscivo ad essere arrabbiata con lei, mi stava troppo simpatica, anche quando faceva l'impicciona. E io avevo bisogno di sdrammatizzare la situazione. Mi rincupii subito però, e mi tornò alla mente l'immagine di Tommaso sulla porta, demoralizzato.

"Dico davvero Emma, non dovevo parlarti in quel modo!"

"Se ti riferisci al fatto che una donna senza un polmone non è credibile come aiutante per trasportare la legna, ero e sono assolutamente d'accordo con te!"

"E allora perché ci sei andata? Non hai capito fosse solo una scusa banale usata per attirarti a casa sua?"

"Sì Giada, ma non me ne è importato nulla!"

"Quanto ti piace mio fratello? E soprattutto: quanto vi siete spinti oltre?"

Deglutii e aprii leggermente il finestrino. Mi ostinai a guardare fuori, mentre le lacrime iniziarono a rigarmi il viso. Arrivammo nei pressi della stazione e Giada si fermò nel primo posto libero. Mi prese per le spalle, obbligandomi a voltarmi verso di lei.

"Ehi, non sentirti obbligata a parlarmene, io vorrei solo cercare di capire, perché non voglio che tu soffra e perché conosco mio fratello!"

"Io non posso dire di conoscere Tommaso, come lui non conosce me, ma di una cosa sono sicura: credevo che non avrei più provato quello che provo per lui! O forse la realtà è che non ho mai provato per nessuno quello che provo per Tommaso! E non me lo so spiegare Giada, perché lo conosco da pochissimo, ma lasciarlo oggi, mentre mi guardava afflitto davanti quella porta, è stato terribile!"

"La sua faccia non piaceva neanche a me...non vorrei dirlo, ma credo che anche Tommaso abbia preso una bella sbandata per te! Forse questo distacco vi farà bene...vi schiarirà le idee!"

"O forse ci allontanerà definitivamente, lasciando campo libero a Caterina...ma io adesso sono obbligata a pensare a mio padre! Giada...?"

"Sì?"

"Credi che prima o poi per me arriverà un po' di felicità? O il mio destino è ormai segnato?"

Mentre continuavo a singhiozzare, Giada mi attirò a sé e mi abbracciò. Sentii il suo petto sussultare: si era commossa anche lei. Restammo così per alcuni minuti, poi decisi che fosse il momento di andare: prima me ne tornavo a casa, meglio era. Più tempo passava più il dovere a cui la vita mi richiamava mi pesava. In silenzio, dopo esserci asciugate gli occhi, andammo a leggere il tabellone delle partenze e acquistai un biglietto. Il treno sarebbe partito a minuti: il destino mi stava dando chiari segnali che partire era la scelta giusta da fare. Allora perché mi sentivo così male? Arrivate al binario abbracciai di nuovo Giada.

"Non ci siamo spinti così oltre: il cellulare ci ha interrotti, destino avverso!", le sussurrai in un orecchio.

"La seconda volta in pochi minuti che mi parli di destino...", mi rispose lei.

"Tommaso ci crede... sarebbe bello se ci credessi anche io!".

Entrai velocemente nella cabina, e cercai il posto più isolato che ci fosse, sperando che nessuno occupasse quello a me vicino. Mi ricordai in quel momento di aver lasciato O2 in macchina di Tommaso. Non potevo piangere di nuovo, dovevo cercare di rilassarmi e chiusi gli occhi iniziando a respirare. Il treno partì, estrassi il telefono e chiamai mia madre. Non appena rispose la mia voce venne di nuovo inclinata dal pianto.

"Mamma, sto tornando a casa..."

"Emma che succede? Piangi?Hai saputo di papà?"

"Sì..."

"Oh,è tutto ok Emma, si sistemerà tutto! Ti vengo a prendere in stazione appena arrivi, chiamami ok?"

"Ok..."

Chiusi la chiamata e gettai il cellulare sul tavolino, passandomi le mani sul viso e tra i capelli. Si sistemerà tutto (diceva mia madre). Non ci credevo affatto. Il nome di Tommaso apparve sul display del mio cellulare. Non gli risposi e spensi l'apparecchio.

Giada

Me ne tornai velocemente a casa, con la speranza che Tommaso non fosse già andato via. Dovevo assolutamente parlargli. Mi dispiaceva per la discussione avuta con lui quella mattina, e mi dispiaceva prendere le parti di Emma, invece che le sue. Ma lui era molto più forte di lei, meno emotivo, e il fatto che non si fosse mai innamorato di nessuna donna lo rendeva ai miei occhi assolutamente sbagliato per potersi far carico di una come Emma Lisi e del suo passato. Quando entrai nel cancello della villa e vidi la sua auto tirai un sospiro di sollievo. Entrai velocemente in casa e Matilde mi venne subito incontro. Le chiesi dove fosse mio fratello e mi disse di averlo visto andare nel giardino sul retro. Uscii velocemente e andai a cercarlo. Lo trovai seduto sotto la grande quercia, quella dove da ragazzini eravamo soliti rincorrerci, girando in circolo attorno al suo tronco.

"Che ci fai qui fuori? È quasi buio e fa freddo!", gli dissi piazzandomi davanti a lui.

"Se ne è andata?"

"Sì, c'era un treno in partenza per Roma..."

Il suo cellulare, abbandonato al suo fianco, continuava a squillare. Lo presi e lessi sullo schermo il nome di Caterina. Tommaso aveva il viso girato dalla parte opposta, fregandosene di rispondere.

"Tommaso?"

"La richiamerò, adesso non ho voglia di parlarle!"

"Tommaso, guardami...", gli dissi inginocchiandomi accanto a lui e ruotando il suo viso nella mia direzione.

"Che vuoi sapere Giada?"

Volevo domandargli se Emma era una della tante, un'altra relazione aperta senza futuro. Ma quando lo guardai negli occhi, lucidi e rossi, come se avesse pianto da poco, non ne ebbi il coraggio.

"Ti sei innamorato Tommaso?! Davvero?!", dissi ridendo e attirandolo tra le mie braccia.

Tommaso

La solita esagerata mia sorella. Non ero innamorato. Non credevo di esserlo. Mi scostò dal suo corpo e mi guardò con quel suo strano sorriso.

"Comunque voglio scusarmi con te per questa mattina..."

"Ti scuso, ma la chiave non te la restituisco!'

"L'hai già data ad Emma?"

"Smettila Giada! Non è aria!"

"Non devi preoccuparti di nulla Tom!"

"Se ne è andata sorella, ricordi? L'hai portata tu in stazione! E ho provato a chiamarla al cellulare e non mi ha risposto!"

"Tornerà, vedrai!e se non dovesse tornare..."

"Se non dovesse tornare?", chiesi con sguardo incupito e voce preoccupata.

"Potresti sempre andare tu da lei!", rispose lei con sguardo sbarazzino.

"E adesso smamma, ho sonno e devo preparare delle cose per domani!", mi disse alzandosi e dandomi delle pacche sulla spalla.

"Dormo qui stanotte, non ho voglia di tornare a casa..."

Giada mi guardò, quasi scioccata. Poi si portò le mani sul viso e iniziò a piangere. Mi alzai e la raggiunsi.

"Che hai?", chiesi poggiandole le mani sulle spalle.

Tolse la mani dagli occhi e io le asciugai le lacrime.

"Io non so cosa ti stia facendo Emma, ma se è riuscita a riportarti in questa casa e a fartici rimanere a dormire...beh, spero che continui ad influenzarti in questo modo!"

Le passai un braccio sulla spalla ed entrammo in casa. Mio padre fu felicissimo di avere entrambe i suoi figli a cena con lui. Quando ci ritirammo nelle nostre stanze tornò lo sconforto. Il letto ancora disfatto, come lo avevamo lasciato quel pomeriggio. Provai a richiamarla, ma il suo cellulare era ancora spento. Mandai un messaggio a Caterina e le scrissi che dovevo parlarle, dandole appuntamento a casa mia la mattina successiva. Mi rispose che aveva provato a cercarmi a casa, e così fui costretto a confessarle che ero da mio padre e che vi sarei rimasto a dormire, tralasciando tutto quello che era successo con Emma. Mi gettai sul letto: tra le coperte c'era ancora il suo odore. Che mi stava succedendo? Mi addormentai per qualche ora, ma mi svegliai di soprassalto dopo aver sognato una stazione vuota e un treno in corsa senza capotreno , che non riuscivo a fermare. Decisamente stare in quella casa, in quel letto, non era stata una buona idea. Sul cellulare non c'era nessuna chiamata persa da parte di Emma, né un messaggio, niente di niente. Mi risistemai, presi la giacca al piano di sotto e uscii: dovevo tornare a casa. Ma non appena aprii lo sportello della mia auto ed entrai nell'abitacolo, la luce che si accese mi mostrò la bombola dell'ossigeno di Emma. Era partita senza? E se ne avesse avuto bisogno? Feci una foto e gliela mandai su whats app scrivendole: ' la tengo in ostaggio... se ne dovessi proprio aver bisogno puoi sempre chiedermi di riportartela, o potresti venire a prenderla tu...' . Non aspettai risposta, misi in moto e partii. La radio accesa trasmise una canzone, e mai come quella notte sembrava facesse al caso mio. Era un pezzo di Ultimo, come diceva shazam, dal titolo Ti dedico il silenzio. Lasciai che mi accompagnasse a casa. Poi spensi l'auto e la cercai su youtube. La ascoltai altre 2, forse 3 volte, inviai il link ad Emma e poi mi addormentai.

Emma

Riaccesi il cellulare solo una volta arrivata a Roma. Trovai qualche chiamata di Tommaso, ma non ebbi la forza di richiamarlo. Avvisai invece mia madre che il mio treno per Frosinone sarebbe partito da lì a mezz'ora e che sarei quindi arrivata all'incirca alle 9. Feci un altro biglietto e mi comprai un panino e una bottiglietta d'acqua. Andai al binario e mi sedetti su una panchina. Era freddo, ma non come Milano. Diedi qualche morso svogliato alla mia cena e poi mi misi ad osservare i pendolari e i turisti che pullulavano nella stazione: una coppia di ragazzi mano nella mano, un imprenditore con tanto di valigetta e il telefono all'orecchio, una famiglia tedesca formata da madre, padre e due figli maschi. Dagli altoparlanti si diffuse l'avviso del treno in transito sul mio binario, con la precauzione di allontanarsi dalla linea gialla. Poi un'emittente radiofonica trasmise il messaggio di un ascoltatrice che chiedeva di poter ascoltare una canzone di Michele Bravi, Il diario degli errori, mentre era in macchina e tornava a casa dopo una giornata di lavoro. Le parole di quella canzone mi entrarono dentro, come se si riferissero proprio alla mia situazione. Involontariamente presi il cellulare e aprii i messaggi. Cercai il suo numero e iniziai a scrivere le frasi che parevano fare al caso mio: " Ho lasciato troppi segni sulla pelle già strappata, non c'è niente che si insegni prima che non l'hai provata. Ho sempre fatto tutto in un modo solo mio, e non ho mai detto resta se potevo dire addio. Poche volte ho dato ascolto a chi dovevo dare retta, ma almeno tu rimani fuori, dal mio diario degli errori, da tutte le mie contraddizioni, da tutti i torti e le ragioni, dalle paure che convivono con me, dalle parole di un discorso inutile! Almeno tu rimani fuori...'. Il treno arrivò. Non ebbi neanche questa volta il coraggio di inviare il messaggio, rimase salvato tra le bozze. Mi alzai, aspettai che le porte si aprissero e, una volta seduta, esausta, mi addormentai. Mi svegliai a Frosinone. Trovai mia madre ad attendermi al binario. Corsi ad abbracciarla.

"E la tua bombola?"

"Oh, è rimasta a Milano..."

"Ecome farai se..."

"Se non permetto all'ansia di avere il sopravvento non ne avrò bisogno, tranquilla mamma!"

In macchina ci riflettei: da quando avevo conosciuto Tommaso avevo usato molto meno la mia bombola, come se lui riuscisse a calmarmi, a non farmi prendere dall'ansia che mi lasciava spesso senza respiro. Iniziai a piangere di nuovo. Mi sembravo una cretina. Quando arrivammo a casa mia madre mi bloccò in salotto, prima che mi dirigessi verso la mia camera dei miei per dare un bacio a mio padre.

"Emma, dimmi la verità: che succede? Non è solo per tuo padre che stai così, non è vero? Qualche problema con il libro?"

"Non c'è più nessun libro..."

"Ti ho visto piangere in macchina, dimmi che succede, ti prego!"

"LA ODIO!"

"Chi? Di chi stai parlando?"

"DELLA VITA!"

Mia madre corse ad abbracciarmi, cullandomi tra le sue braccia.

"Vedrai che prima o poi troverai qualcosa per cui ti tornerà la voglia di sorridere amore mio!"

"L'avevo trovata mamma...ma non so se avrà la forza di aspettarmi!"

"Ehi, guardami: andrà tutto bene Emma!"

Andrà tutto bene. Mi restava davvero difficile credere a quelle parole. Cercai di calmarmi, mi staccai dalle braccia di mia madre e raggiunsi mio padre. Si era addormentato, la tv accesa su rai tre, il programma Carta Bianca in sottofondo. Mi avvicinai, gli rimboccai le coperte e gli tolsi il telecomando dalle mani, spegnendo la tv. Mi allungai al suo fianco, alzandogli un braccio e passandomelo dietro la testa. Si svegliò quasi all'istante.

"Emma, ciao...che bello vederti!"

"Dovevi essere tu a dirmelo, e non il dottor C.!"

"Lo avrei fatto..."

"E quando? Dopo l'operazione?"

"Emma, erano due anni che non prendevi un'iniziativa, in nulla! Di punto in bianco ti trasferisci a Milano e mi pare ci stessi anche bene...non volevo che tu fossi obbligata a tornare!"

Lo abbracciai. Lo amavo troppo.

"Non farmi scherzi, hai capito?", gli sussurrai in un orecchio.

Le sue braccia forti mi strinsero e io mi abbandonai sul suo petto. Sentii la porta della stanza scricchiolare, e subito dopo il corpo di mia madre si plasmò dietro il mio. Un sandwich familiare. Mi addormentai di nuovo, e quando mi svegliai era notte fonda. Mia madre si era girata di lato, io ero ancora addormentata sul braccio di mio padre. Mi alzai, posai una coperta sul corpo di mia madre e andai a recuperare la mia borsa. Trovai l'icona di whats app che mi segnalava messaggi da parte di Tommaso. Mi sedetti sul divano e aprii la chat: la foto della mia bombola, con un invito ad andarla a riprendere o l'offerta di riportarmela, e un link. Sorrisi e aprii quel collegamento: mi allungai e ascoltai quella canzone con attenzione, cercando di capire da quelle parole lo stato d'animo di quell'uomo, ancora in parte a me sconosciuto ma a cui mi sentivo già molto legata. Me lo immaginai davvero in macchina, come cantava Ultimo, mentre se ne tornava a casa con pensieri confusi in testa. Decisi così di farmi coraggio e di mandare quel messaggio salvato nelle bozze dei messaggi qualche ora prima. Poi strinsi il cellulare al petto, mi girai sul lato e mi addormentai, pensando a quanto fossero stati belli i momenti passati con lui.

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