Primi approcci
Emma
Fu tutto molto confuso: il viaggio in ambulanza, l'arrivo in ospedale. La stanchezza mi faceva chiudere gli occhi senza che io lo volessi, e alla fine mi addormentai per un bel po', credo. Quando ripresi conoscenza sentii come se la mia mano fosse tenuta al caldo da qualcosa. Mi accorsi ben presto che si trattava della stretta delle mani di Giada attorno alla mia.
"Ehi Emma! Come ti senti?", mi disse preoccupata e con gli occhi lucidi.
"A pezzi...", le risposi a fatica. "Che ho?" le chiesi subito dopo.
"Hai subito un forte stress e hai bisogno di riposo", mi rispose Giada.
"Ascolta Emma, io non sapevo che Tommaso avesse scelto Caterina per scrivere il tuo libro..."
"Dov è?"
"Chi?"
"Tommaso, tuo fratello!"
"Qui fuori..."
"Digli di entrare, devo parlargli!"
Prima che uscisse dalla stanza chiesi a Giada di non dire ai miei genitori di quello che mi era successo, ma le chiesi di mandare un messaggio a mia madre per avvertirla che non sarei più tornata a casa quel fine settimana , perché avevamo deciso di iniziare prima a lavorare sul libro.
Avevo ricordi confusi, ma ero sicura che la prima persona che avevo visto, dopo essere stata tirata fuori dal bagno in cui probabilmente ero svenuta, era stato lui. Era stato Tommaso a soccorrermi. Giada uscì e poco dopo dalla stessa porta ne entrò suo fratello. Si era tolto la giacca e allentato la cravatta. Aveva la camicia arrotolata sugli avambracci e la faccia smunta. Si sedette vicino a me.
"Mi dispiace..."
"No Tommaso, non è colpa tua! Anzi, grazie per quello che hai fatto. Non ero proprio svenuta, era come se una parte di me fosse ancora vigile. Sentivo la tua voce chiamarmi ,ma non riuscivo ad aprire gli occhi..."
"Lo avrebbe fatto chiunque"
"Non è vero! Il mio ex compagno ha pensato di aiutare prima la sua amante, peccato che gli sia andata male, visto che poi ci ha rimesso lui la pelle!"
Tommaso mi guardò in modo strano. Stava cercando di capire se stessi scherzando o se pensassi davvero ciò che avevo appena detto.
"Non ho mai gioito della sua morte, rilassati! Solo che con il senno di poi, ho pensato che il Karma abbia rimesso a posto un po' di cose...in modo drastico, ma le abbia comunque rimesse a posto!"
Fece un'espressione tra il divertito e lo scioccato. Poi estrasse dei fogli dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni e me li poggiò sulla pancia. Li presi e riconobbi subito il contratto firmato quella mattina.
"Puoi strapparlo. Così potrai tornare alla tua vita e dimenticarti di questa brutta vicenda. La tua salute è più importante del mio guadagno."
Mi sembrava sincero. Come mi era sembrato sincero quando mi aveva detto che non aveva secondi fini nei miei confronti. La voglia di strappare quei fogli era tanta. Ma non riuscii a farlo.
"Non sei l'unico che ci guadagnerebbe da questo libro: io otterrei molti più soldi di te, ricordi?"
"Mi stai dicendo che..."
"Che voglio ancora che il libro venga realizzato, ma niente più misteri da oggi in poi! Io vi racconterò tutto di me, e tu non mi terrai più nascosto nulla! O meglio nulla di quello che potrebbe ritorcersi contro di me! Solo così potremmo fidarci l'uno dell'altro, e non avere più problemi!"
Il suo volto si rilassò, fece un gran respiro e mi prese la mano in segno di ringraziamento. La sentii decisamente troppo calda, così allungai l'altra e gli toccai la fronte. Era bollente. Mi ricordai che Giada mi avesse detto fosse stato male la notte precedente.
"Vai a casa, mettiti a letto! Io qui ho già tanti medici a disposizione."
Gli feci un sorriso e lui ricambiò. Ci salutammo con una semplice alzata di mano. Poi tornai a riposare.
Giada
Una volta fuori cercai il medico con cui avevo parlato prima. Volevo essere sicura che Emma non avesse avuto nulla di grave, ma solo un forte stress come mi era stato detto. Dopo averlo trovato e aver ottenuto la sua attenzione, gli dissi chiaramente quali fossero le condizioni di Emma. Ma lui mi bloccò subito dicendomi che conosceva la storia della signora Lisi. In quel momento mi ricordai di quello che mi aveva detto Emma la prima volta che mi aveva chiamata, e cioè che non era pronta a questo ritorno mediatico. Ma lei era già troppo conosciuta, e quel libro non avrebbe cambiato nulla. L'avrebbero riconosciuta ovunque, comunque. Il dottore mi disse che Emma necessitava di riposo e di non stressarsi troppo, ma per il resto la sua condizione generale non era male. L'avrebbero tenuta in ospedale il fine settimana e il lunedì l'avrebbero dimessa. Tornai verso la stanza di Emma e ne vidi uscire Tommaso. Era parecchio provato, aveva la faccia sofferente.
"Ma che hai? Ancora la febbre? Hai mangiato qualcosa?"
"A dire il vero no...non ho fame, ho la nausea e mi fa male il fianco..."
"Quale fianco?"
"Il destro..."
Mi allarmai subito. E se non si fosse trattato di una semplice influenza? Lo convinsi a farsi visitare, visto che eravamo già lì in ospedale. E come volevasi dimostrare, il responso non fu quello di un'influenza, ma di appendicite. Venne ricoverato e operato nel giro di poche ore. Io andai a casa sua a prendergli un pigiama e della biancheria intima ,e passai anche dall'appartamento di Emma, per prendere anche a lei dei vestiti di ricambio. Poi avvisai in agenzia sia delle condizioni di Emma che dell'operazione di Tommaso, e tornai in ospedale. Avvertii anche mio padre, rassicurandolo di non preoccuparsi perché era andato tutto bene. Essere una giornalista mi permetteva di potermi trattenere oltre l'orario di visita senza che venissi rimproverata dalle infermiere. Ma non potevo passare la notte lì: mio padre era ormai settantenne e non mi fidavo molto a lasciarlo solo, anche se era ancora piuttosto arzillo e c'era la nostra fidata domestica Matilde a sorvegliarlo. Mi dispiaceva lasciare solo Tommaso, poiché di sicuro non avrebbero permesso neanche a Caterina di passare la notte con lui. Tornai a far visita ad Emma e la ragguagliai sulle condizioni di mio fratello.
"E tu che ci fai ancora qui? Non ti hanno cacciata? La solita raccomandata!", mi disse Emma, scherzosamente.
"Mi fa piacere vedere che stai meglio...non posso dire lo stesso di mio fratello..."
"Perché? Che gli è successo?", mi chiese un po' allarmata.
"Appendicite...è stato operato poco fa"
"Ci penso io a dargli un'occhiata, vai a casa, è tardi"
"Ma Emma, non stai bene neanche tu...e non credo che ti permetteranno di uscire dal reparto!"
"Ti dimentichi che anche io sono una raccomandata...vedrai che non muoveranno storie!"
"Ok, ma qualsiasi cosa chiamami, ed io corro qui!"
"Vedrai che andrà tutto bene! Ci penso io a Tommaso!".
Le presi il viso tra le mani e le scoccai un caloroso bacio sulla guancia. Vidi Caterina bussare al vetro della stanza di Emma e le feci cenno di entrare.
"Emma, come stai? Mi sono preoccupata tanto questa mattina...", disse Caterina.
"Sto bene, grazie...e scusa se ti ho fatta preoccupare!"
"Giada non vogliono farmi rimanere per la notte! Non voglio lasciare Tommaso solo!"
"Tranquilla Cate, vedrai che Tommaso starà bene...tornerai a trovarlo domattina...andiamo adesso, Emma deve riposare".
La portai fuori da quella stanza, facendo un occhietto a Emma, che ricambiò. Mi piaceva Emma, molto più di Caterina.
Tommaso
Mi avevano portato in stanza, dopo la sala operatoria, ed ero ancora stordito dall'anestesia. Mi avevano messo la flebo, per idratarmi, e somministrato un antibiotico. Caterina si era battuta per restare con me quella notte, e a dire il vero non mi sarebbe dispiaciuto. Ero sempre stato un po' fifone quando si trattava di malattie. Forse è una patologia comune a tutti gli uomini. Giada mi aveva portato pigiama e biancheria intima, ma per quella notte sarei rimasto con il camice dell'ospedale. Se ne era andata dicendomi solamente: ' ti lascio in buone mani!'. Evidentemente si fidava molto degli infermieri di quel reparto. Quando però sentii bussare delicatamente alla porta e ne vidi entrare Emma, capii che mia sorella non si riferisse agli infermieri con quella frase.
"E così...anche tu qui dentro! come ti senti?", mi chiese avanzando lentamente verso il mio letto.
"Domanda di riserva?", sorrisi, cercando con una smorfia di raddrizzarmi.
Emma si venne a sedere ai piedi del letto. Pensai che non eravamo così diversi come potevamo sembrare poche ore prima.la salute precaria rendeva tutti uguali.
"Non vedo l'ora di uscire da qui!", le dissi spazientito.
"Ci dovrai restare per almeno 4 o 5 giorni, credo...e se fossi in te non mi lamenterei: hai una camera tutta per te!"
"Scherzi, vero? Io non posso, devo lavorare!"
"Devi pensare a rimetterti, hai una bella squadra che può occuparsi di tutto!"
"Ma io non ci resisto qui dentro!! Tu come hai fatto a rimanerci per due mesi?" chiesi, senza quasi rendermene conto.
"Per quanto possa sembrare strano, in quel periodo non avevo nessun bisogno del mondo esterno. Anche se dentro quella stanza mi mancasse spesso l'aria, non avevo neppure voglia di uscirne. Avevo paura di affrontare la vita, dopo quello che mi era successo. Quindi finché mi tenevano lì , non avevo necessità di pensare al futuro".
"Per questo sei tornata a vivere dai tuoi?"
"Anche! Di sicuro loro si sarebbero occupati di me senza che io dovessi pensare a nulla"
"Hai mai pensato a...darti un'altra possibilità?" le chiesi ancora.
"Intendi provare a stare di nuovo con qualcuno? costruire un qualcosa insieme, fare progetti?"
Feci sì con la testa, non aspettando altro che continuasse a parlarmi. Si sedette meglio, incrociando le gambe e abbassandosi il camice nel centro, evitando che rimanesse aperto tra le gambe.
"No...non sono uscita molto negli ultimi anni, se togli visite mediche e qualche lezione in piscina. E poi chi si prenderebbe una come me?".
"Perché? Cos'hai che non va?", dissi convinto.
"Scherzi Tommaso? Un polmone in meno, che non mi permette di correre e affaticarmi troppo, e il peso del mio passato...è più di una cosa che non vada, non pensi?".
La osservai di fronte a me. Si era leggermente alterata, e forse non era un bene visto quello che le era successo la mattina a causa dello stress. Notai una cosa che mi era sfuggita nei giorni scorsi: quando respirava si alzava solo una spalla, probabilmente quella della parte dove era ancora presente il polmone. L'altra era ferma. Di quante cose non ci accorgiamo soltanto perché diamo un'occhiata veloce, invece di soffermarci a guardare bene? Allungò le gambe verso di me, stirò le braccia sopra la testa e la reclinò all'indietro. Abbandonò le braccia a peso morto dietro la pediera e, ad occhi chiusi, iniziò a respirare. Io, senza riuscire a controllarmi, le accarezzai il collo del piede, salendo sulla caviglia. La sentii sussultare leggermente e la vidi tornare con lo sguardo su di me, seria.
"Hai problemi con il contatto fisico?", le chiesi.
"Diciamo che non sono mai stata incline agli slanci d'affetto e negli ultimi anni, isolandomi, il problema è peggiorato", mi rispose.
"Me ne sono accorto la sera della cena a casa di Maria: ti ho sfiorato la schiena per due volte, ed entrambe ti ho sentita irrigidirti..."
Ma continuai ad accarezzarla. Non riuscivo a smettere, era più forte di me.
Emma
Era una sensazione strana. Mi infastidiva e mi piaceva allo stesso tempo quel contatto.
"Vuoi che smetta?" mi chiese Tommaso,senza però l'intenzione di farlo davvero.
"No..." gli risposi abbastanza convinta.
"Usi la respirazione per rilassarti ,magari posso aiutarti con un massaggio..."
"Ho detto a Giada che mi sarei occupata io di te, non il contrario...", gli dissi sorridendo.
"Lo stai facendo:mi sono dimenticato di essere all'interno di un ospedale, e ti assicuro che non è una cosa da poco!".
Mi passò uno dei suoi cuscini, lo poggiai alla pediera e scivolai leggermente sul letto per appoggiavi la testa. Alzò delicatamente le mie gambe e poggiò i miei talloni sul suo petto, stando attento a fare meno movimento possibile. Mi chiese di chiudere gli occhi. Cercai di fidarmi e feci come diceva. Appoggiai le mani sul mio ventre e mi concentrai sul tocco delle sue mani. Dalla pianta del piede, con movimenti circolari del pollice, salì ad accarezzare il collo, la caviglia, infilò le mani sotto il mio pigiama, accarezzando il polpaccio, fino ad arrivare alla parte posteriore del ginocchio, per poi compiere lo stesso tragitto a ritroso. Mi rilassai davvero, forse troppo. Mi ritrovai a fissarlo troppo intensamente, e cercando di recuperare un po' di autocontrollo, ritirai le gambe verso di me e mi raddrizzai, cingendomi le ginocchia tra le braccia e mordendomi il labbro inferiore.
"Ehm...grazie Tommaso, sei davvero bravo con i massaggi"
"Quando vuoi sono a tua disposizione!", mi disse sorridendo.
"Ok, credo sia meglio che me ne torni in stanza e ti lasci riposare", dissi alzandomi dal letto e riporgendogli il cuscino.
"Potresti aiutarmi a risistemarlo dietro la schiena?", mi chiese con una faccia addolorata.
Ripresi quel cuscino e mi avvicinai a lui. Quando si sporse in avanti per permettermi di inserire il guanciale notai che il camice gli si era aperto e glielo dissi.
"Potresti chiuderlo tu? Sai com' è, per quanto sia caldo in questo ospedale è comunque fine ottobre...non vorrei beccarmi anche una bronchite!".
Richiusi quei due laccetti dietro il collo, e poi altri due a metà schiena. Sfiorai lievemente con le dita la sua pelle: da quando era morto Marco non avevo più toccato un uomo. Sistemai i cuscini e aspettai che vi poggiasse su la testa. Restai ancora un po' lì, mentre si tirava la coperta fino al mento e chiudeva gli occhi, vinto dalla stanchezza. Poi mi diressi alla porta, quando mi soggiunse alle orecchie un flebile: 'grazie Emma...' . Mi voltai di nuovo verso di lui e lo sentii respirare pesantemente. Mi uscì un sorriso e gli dissi: 'grazie a te Tommaso '. Uscii dalla stanza e mi scontrai con lo sguardo truce di un'infermiera, che mi squadrò dalla testa ai piedi prima di proseguire nella direzione opposta alla mia. Gli feci una smorfia alle spalle e me ne tornai in camera. Quella era stata di sicuro una della serate migliori che avessi mai passato in un ospedale, e mi addormentai beatamente.
La mattina dopo mi svegliai bella pimpante e all' alba. Andai in bagno, mi lavai, misi una tuta che mi aveva portato Giada, mi pettinai alla meglio e sgattaiolai fuori dalla stanza approfittando del cambio turno. Tornai al piano di Tommaso e guardai nella sua stanza: dormiva ancora beatamente. Mi ricordai delle pasticche che mi avevano dato in ospedale: tornai in camera a prenderle e poi scesi di nuovo. Sopraggiunta sulla porta del reparto notai da lontano Caterina: usciva dalla stanza di Tommaso con il telefono all' orecchio dirigendosi verso i bagni. Avvicinandomi vidi che lui dormiva ancora, e non so cosa mi spinse a seguirla . Di fatto ascoltai tutta la sua conversazione:
"...tranquilla, non mi sente nessuno. Sono riuscita a corrompere un infermiere che stava staccando dal turno, non c'è nessuno ancora, non sono neanche le sette....sta ancora dormendo, non so come sta....si c'è anche Lei ricoverata qui, ma sta due piani sopra, medicina generale, io sto nel reparto di chirurgia...non mi fido a lasciarlo troppo solo, e se questa scendesse? Non me la racconta giusta neanche Giada, sbava troppo dietro a questa Emma...no, tu non capisci! Questa sono anni che non vede un uomo, e Tommaso è decisamente un boccone allettante!...ma non sono insicura di me, solo che non mi pare il caso di abbassare la guardia! E per di più devo fare buon viso a cattivo gioco, perché nei prossimi mesi dovrò lavorarci a stretto contatto con la Lisi!...ok ,va bene, adesso vado a vedere se Tommaso si sveglia...ci sentiamo dopo!ciao, baci!".
Mi infilai nel gabinetto accanto al suo, prima che uscisse e mi vedesse. Aspettai qualche secondo, per essere sicura che fosse andata via, e poi uscii. Decisi in quell'esatto momento che io e lei non avremmo assolutamente lavorato insieme.
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