Partire con il piede sbagliato
Raggiunsi mia madre in camerino. Una macchina ci stava già aspettando fuori dagli studi per riportarci all' aeroporto. Non vedevo l'ora di chiudere gli occhi e riposare. Il viaggio, l'attesa, l'intervista, mi avevano stancata non poco. Dormii per tutta la durata del volo che da Milano Malpensa mi riportò a Roma Fiumicino. Lì trovammo ad aspettarci mio padre. Ce ne andammo svelti. Non mi sentivo a mio agio tra la folla. Qualcuno mi riconosceva, restava a guardarmi da lontano, come se fossi un'attrazione del circo. Magari scambiava commenti con un amico, un parente che aveva vicino. Riuscivo quasi ad immaginare quelle conversazioni bisbigliate: 《...è quella dell'incendio di Frosinone , la Lisi, ne sono sicura! Non vedi ? ha anche la bombola dell'ossigeno!》.
In macchina mio padre fu taciturno per quasi metà del tragitto. All' inizio credetti fosse per lasciare riposare la mamma: si abbandonava al sonno solo quando sapeva di non lasciarmi incustodita, ma sotto la sorveglianza di qualcun altro, in quel caso di mio padre. Da quando ero tornata a vivere con loro le era tornata l'apprensione che dimostrava per me quando ero piccola. Ma io non ero più una bambina e per quanto fossi fragile fisicamente la mia testa non lo era affatto. Lo vidi più volte scrutarmi dallo specchietto retrovisore. Quando fui io a chiedergli se fosse tutto ok, si decise a parlare.
"... questa mattina ha chiamato il dottor Palladini. Mi ha chiesto di te e gli ho detto che eri andata a fare un'intervista a Milano. Non era d'accordo, mi ha detto di averti consigliato giorni fa di non andare, che per lui era uno sforzo eccessivo, e non solo fisicamente parlando'.
"Papà ti prego. Sono abbastanza grande per decidere da sola cosa fare della mia vita. Ho 35 anni. Non sono andata a scalare l'Everest! E ho la mia amica O2 sempre con me!".
Chiamavo così la mia bombola d'ossigeno. Credo per conferirle più importanza, più di quella che effettivamente aveva per me.
"Credo dovresti tornare a fare qualche seduta con il dottor Mura..."
"No, ne abbiamo già parlato! Sto bene..."
"Emma non stai bene! Continui a non voler uscire e rifiuti di stare in luoghi affollati. Credi non me ne sia accorto prima in aeroporto? Hai allontanato anche Federica, quella brava ragazza ti chiamava sempre..."
Basta era davvero troppo. Federica? Ancora? Gli dissi che non avevo più voglia di parlare, che se continuavamo non sarei riuscita a tenere la voce bassa e la mamma si sarebbe svegliata. Sbuffò e tornò a guidare, taciturno.
Devi scusarmi papà, ma non posso perdonare Federica, e preferisco tu non ne conosca il reale motivo. E poi è sparita, si è allontanata senza provare neppure a riallacciare il rapporto, dopo avermi raccontato tutta la verità. Evidentemente la sua coscienza pesava troppo. Io non la odio, non l'ho mai fatto. Ma non posso pensare di farla entrare di nuovo nella mia vita. Quando qualcosa si rompe, per quanto tu prova a ripararla, porterà sempre i segni delle crepe.
La mia intervista venne mandata in onda quattro giorni dopo. Fece registrare il picco di share alla trasmissione e io mi ritrovai, nel giro di poche ore, sommersa da email e messaggi in forma privata e pubblica. Non avevo né un profilo Facebook né uno di Instagram. Mi ero cancellata quasi subito dopo l'incidente, ma erano state create delle fan page su di me. E questi fantomatici fan mi riempivano di parole d'affetto. Per fortuna non avevo mai avuto a che fare con degli haters. Il mondo della rete mi spaventava. A dire il vero mi spaventava un po' tutto. Dopo l'incidente avevo perso qualsiasi certezza. E se quel clamore mediatico mi avesse schiacciata? Forse aveva ragione il dottor Palladini, non ero pronta. Cercai il biglietto da visita con il numero di Giada. Provai a chiamarla ma non rispose. Pensai allora di chiamare il dottor Mura. Dovevo assolutamente parlare con qualcuno. Ma prima che lo trovassi in rubrica il telefono squillò. Era il numero di Giada, mi stava richiamando. Mi affrettai a rispondere.
"Giada sono Emma Lisi. So che per voi l'intervista è stata un successo, ma io non sono pronta a tutto questo!Mi arrivano messaggi da parte di persone sconosciute che mi elogiano e provano a mettersi nei miei panni! Non dovevo fare quell'intervista, è stato un errore!"
Ero un fiume in piena. L'ansia mi stava mandando fuori di testa.
"Ha detto di essere Emma? Lei è quella Emma Lisi?"
Dall'altro lato della cornetta una voce maschile, bassa e profonda, con un tono di leggera sorpresa, mi chiedeva di confermargli che fossi davvero io. Ma chi avevo chiamato? Controllai il numero sul biglietto: nessun errore, lo avevo composto bene.
"...si, sono proprio quella Emma Lisi...cercavo Giada De Curtis, mi ha dato lei questo numero..."
"Giada ha dimenticato il cellulare a casa, le dico di richiamarla?"
"Lasci stare...forse era meglio se non chiamavo proprio. Arrivederci e scusi per il disturbo".
Chiusi la chiamata, senza lasciare che controbattesse qualcosa. Decisi di stendermi e di rilassarmi, ma mi addormentai. Quando mi svegliai notai sei chiamate perse. Il numero era quello di Giada. Prima che potessi richiamare il telefono squillò di nuovo.
"Emma finalmente! non ti decidevi a rispondere! Non sai quanto ho sperato che mi chiamassi: come stai?"
Quella voce mi tranquillizzò.
"Scusa Giada, mi sono addormentata e avevo il silenzioso. Mi ha risposto un uomo al tuo numero dicendomi che avevi dimenticato il cellulare a casa..."
"Mio padre, si... ma dimmi: come mai mi hai chiamata? È successo qualcosa?"
"Sono sommersa dai fan Giada...email e messaggi sui social, e questa cosa mi spaventa...'
"Ascoltami Emma: il mondo oggigiorno funziona così, quindi accettalo senza preoccupartene troppo. Alle persone piace scrivere dietro uno schermo, magari dal vivo ti lascerebbero camminare per strada senza fermarti per dirti anche solo una parola..."
"Ma ti guardano da lontano e confabulano in silenzio.."
"Si, è vero, fanno questo. Ma perché farti spaventare? Dopo quello che hai passato e la forza che hai dimostrato nel rialzarti, non puoi più nasconderti! Devi uscire, camminare a testa alta...non devi vergognarti di nulla! E a proposito di questo, ho una proposta da farti...ma te ne vorrei parlare a quattrocchi: pensi che potremmo incontrarci?"
"Vuoi che torni su a Milano? Non so se reggerei un altro viaggio così a breve..."
"Non è necessario che tu torni a Milano. Tra due giorni scenderò a Roma per un lavoro...potremmo incontrarci lì, è più vicino per te e meno stressante, no?"
Mi meravigliai di come accettai quell' invito senza pensarci troppo su. Giada mi disse che non sarebbe stata sola ma che avrebbe portato con lei qualcuno che voleva incontrarmi assolutamente. Immaginai fosse la persona che mi avrebbe proposto quello a cui accennava prima.
Quella stessa notte non dormii affatto bene. Sognai mio nonno, cosa che mi era successo davvero poche volte, dopo la sua morte. Lo consideravo una sorta di angelo custode, che mi vegliava dall'alto , aiutandomi in momenti di particolare bisogno. Gli prendevo la mano, nel sogno. Piangevo ed ero felice allo stesso tempo, perché potevo risentire la durezza di quella pelle rovinata dal lavoro e dall'età. Ma c'era una rete a dividerci, o forse delle sbarre, non ricordo bene. Per quanto lo sentissi vicino, c'era la vita a tenerci separati: la sua, bloccata dal destino della malattia che lo aveva ucciso, e la mia bloccata dalla mancanza di coraggio di affrontare quella stessa vita che mi era stata risparmiata, ma che mi aveva procurato non poco dolore.
I due giorni passarono velocemente. Giada mi aveva mandato l'indirizzo dell' albergo, dove avrei dovuto raggiungerla, dalle parti di Villa Borghese. Mio padre si era offerto più volte di accompagnarmi, ed ero stata davvero tentata di accettare. Ma, se davvero volevo che qualcosa cambiasse nella mia vita, dovevo iniziare dalle piccole cose. Quel giorno, dopo due anni, mi sedetti di nuovo sulla mia macchina, e guidai fino a Roma. Ero ansiosa, terrorizzata che potesse succedermi qualcosa. Ma non successe nulla e arrivai a destinazione. Dopo aver parcheggiato mi sentii serena, come forse non lo ero da tanto.
Alla reception feci il nome di Giada e mi dissero che la signorina mi stava già aspettando nella sala conferenze. Una di quelle gentili ragazze mi accompagnò, cercando di non farsi distrarre da O2 che trascinavo dietro di me. Non ne avevo ancora avuto bisogno quella mattina, segno che il mio fisico stava bene. La ragazza si fermò davanti una porta e bussò. Un 'avanti' squillante le consentì di aprire e mi fece cenno di entrare.
"Emma, finalmente!!!"
Giada mi si buttò letteralmente addosso, abbracciandomi. Quando si staccò e mi diede modo di guardarmi attorno, notai altre persone. Erano di sicuro della sua troupe. Dovetti sembrarle assolutamente a disagio, difatti chiese a tutti di uscire e di lasciarci sole. Mi prese per mano e ci sedemmo su un divanetto.
"Come stai? Tutto ok il viaggio?"
"Ho ripreso la macchina dopo 2 anni...un grande traguardo per me!"
Lo dissi senza pensarci, come se avessi avuto bisogno di confessare questo grande passo in avanti a qualcuno. Un sorriso, dolce, nacque sul volto di Giada, contagiando anche me. Mi offrì un thè e parlammo un po' del più e del meno.
"Allora: di quale proposta volevi parlarmi?", chiesi, sorprendendomi della mia curiosità.
"Aspettiamo che arrivi l'interessato..."
Passarono altri dieci minuti, e senza bussare, entrò nella stanza un uomo alto, molto alto, vestito in modo elegante e con un fascicolo tra le mani. Giada si alzò e gli diede due baci sulle guance, mentre con le mani gli accarezzò le braccia.
"Emma, ti presento Tommaso...mio fratello".
Mi alzai e tesi la mano verso di lui. In modo elegante, tolse gli occhiali da sole dal suo viso con la mano sinistra e li ripose nel taschino della sua giacca, mentre con la mano destra, quella libera, strinse la mia. Non parlò, e non dissi nulla neppure io. Si limitò ad alzare un angolo di bocca che somigliava più ad un'espressione furba che ad un sorriso. Si sedette sulla poltrona, di fronte a me. Giada servì anche lui, portandogli però un caffè, e poi prese di nuovo posto al mio fianco.
"Vorrei scrivere un libro sulla sua storia Emma..."
Non mi guardò neanche. Disse quella frase aprendo la cartellina che portava con sé, prendendone dall'interno dei fogli e spostandoli verso di me, lasciandoli scorrere sul tavolo basso che ci divideva. Poi gli squillò il cellulare e si alzò a rispondere, avvicinandosi alla finestra. Lo guardai mentre mi dava le spalle. Dovevo avere una faccia strana, tra lo scioccato e l'incapacità di mettere insieme due pensieri. Sentii Giada alzarsi, mentre si scusava e raggiungeva suo fratello. Si mise a braccia conserte, guardandolo accigliata, mentre aspettava che terminasse la chiamata. Io presi in mano quei fogli e provai a leggere. Era una specie di contratto, si parlava di diritti d'autore, di guadagni, di pubblicità e promozioni. 'ti avevo detto di andarci piano con lei, di mostrare un po' di tatto Tommaso!'. Quando le parole di Giada giunsero al mio orecchio tornai a rivolgere lo sguardo verso di loro. Discutevano animatamente, ma io non li stavo più ascoltando. Cominciai a sentirmi esausta. E avevo un assoluto bisogno di aria. Mi alzai da quel divano, presi O2 ed uscii dalla stanza. Mi portai i tubicini al naso e lasciai che l'ossigeno iniziasse a circolare nel mio corpo. Riattraversai la hall e uscii fuori da quell'hotel. Mi sedetti su una panchina, al sole. Poco dopo sentii la voce di Giada. Non mi voltai neanche a guardarla, aspettai che si avvicinasse lei.
"Emma, mi dispiace! Mio fratello è un povero idiota, ha davvero poco tatto!".
"Non posso farlo Giada, non sono pronta!"
Giada mi abbracciò. Io rimasi tra le sue braccia, ma senza ricambiare la stretta. Con lo sguardo intercettai Tommaso che usciva dalla porta dell'hotel e veniva verso di noi. Lo guardai impassibile. Allontanai Giada, uscendo da quell' abbraccio, e mi alzai.
"Rifiuto la sua proposta. L'ultima cosa che voglio è spiattellare la mia vita su di un libro ed essere compatita da tutti!".
Mi ero già avviata verso la mia auto, con tutta l'intenzione di tornarmene a casa il prima possibile, quando la sua voce alle mie spalle mi fece bloccare.
"Posso offrile un caffè? Le ruberò pochi minuti, mi dia modo di scusarmi...".
Avrei voluto voltarmi per mandarlo a quel paese, ma la mia estrema gentilezza mi impedì di farlo. Mi voltai a guardarlo. Si era avvicinato, ci separava una distanza inferiore ad un metro.
"Venga, andiamo con la mia macchina..."
Non riuscivo a dire nulla. Mi voltai verso Giada, ancora seduta su quella panchina, che ci fissava. Mi guardava con un sorriso mesto. Poi rivolsi un breve sguardo a Tommaso, che mi fece un cenno con il braccio, probabilmente ad indicarmi la direzione da prendere per raggiungere la sua auto. Lo affiancai e ,senza guardarlo in faccia, ci incamminammo in silenzio.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top