Mettersi a nudo
Emma
Poco dopo che Tommaso ebbe lasciato la mia stanza, venne il primario e mi disse che la mattina successiva mi avrebbe dimessa. Ero contenta, ma allo stesso tempo dispiaciuta: Tommaso sarebbe dovuto restare ancora in ospedale e sarebbe rimasto solo. Questa pensiero mi spaventò: cominciavo a provare nei suoi confronti una strana attrazione: mi piaceva la sua compagnia, sentirlo parlare, e mi piaceva quando mi accarezzava. Passai il pomeriggio ad interrogare le mie emozioni, consumando il corridoio tante furono le volte che lo percorsi avanti e indietro. Chiamai mia madre e fui costretta a dirle del malore che avevo avuto. Non la prese bene e mi chiese di tornare a casa, ma io la rassicurai dicendo che fosse stato solo colpa dello stress. Tirai un sospiro di sollievo quando riattaccò senza avermi accennato minimamente dell'articolo sulla rivista: iniziai a sperare che la notizia non arrivasse mai alle sue orecchie,o ai suoi occhi, anche se ne dubitavo. Poi mi stesi sul letto e ripresi proprio quella rivista: riaprii l'articolo soffermandomi sulla foto di me e Tommaso sotto il portico, mentre mi poggiava la giacca sulle spalle. Mi alzai velocemente e abbandonai il giornale sul letto. Proprio mentre uscivo dalla stanza incrociai l'inserviente che mi portava la cena. Gli dissi di lasciare il vassoio vicino il letto e che sarei tornata subito. Presi l'ascensore e scesi di nuovo al suo piano. Entrai nella stanza e notai il vassoio con i piatti ormai vuoti della cena. Sentii scorrere l'acqua nel bagno e attesi che ne uscisse. Restò sulla porta, non così sorpreso come mi sarei aspettata.
"Non sai che sollievo potersi lavare i denti...anche dopo aver mangiato poco e niente !", esordì dal nulla.
Sorrisi. Camminava lentamente e si teneva il fianco.
"Ti fa male?", gli chiesi.
"Mi tirano un po' i punti...oggi ho esagerato con gli spostamenti", mi rispose, facendomi l'occhiolino.
"Ti resterà un piccola cicatrice..."
"La tua è molto grande?", mi chiese, guardandomi serio.
"Si...", risposi solamente.
"Posso vederla?", mi domandò.
Spalancai gli occhi. Lo facevo spesso , mi spiazzava sempre a gesti e parole. Cominciai a sentire l'ansia crescere e un leggero calore colorarmi il viso. Si sedette sul bordo del letto, con i piedi poggiati a terra. Io lo fissavo, a debita distanza. Fuori era quasi buio, le giornate si accorciavano sempre più. La luce al di sopra del suo letto illuminava la parte destra del suo corpo, e a me la sinistra. Proprio la parte dove si trovava la mia cicatrice. Non so cosa mi spinse a farlo: abbassai lentamente la zip della mia felpa, cercando di controllare l'agitazione che mi squassava le viscere. Tommaso si alzò e mi intimorì ancora di più quando me lo ritrovai così vicino, che mi guardava dall'alto a causa della sua statura. Riuscivo a cogliere il profumo del dentifricio alla menta usato poco prima. Aveva la barbetta incolta di due giorni, che non gli stava affatto male. Non si mosse, aspettò che fossi io a proseguire. Presi il polsino della manica e la tirai via dal mio braccio, facendo la stessa cosa per l'altro arto. La felpa cadde a terra, ed io rimasi in reggiseno. Si risedette sul letto, afferrò le tasche dei miei pantaloni di tuta e mi avvicinò un po' più a se, ritrovandomi tra le sue gambe. Mi guardò un attimo negli occhi, prima di soffermarsi a guardare la cicatrice che correva al centro dei miei seni, scomparendo sotto la fascia merlettata al di sotto delle coppe.
"Posso?", chiese.
Era la stessa cosa che mi aveva chiesto anche la mattina, quando aveva pulito la mia faccia dal rossetto lasciato da sua sorella. E quella richiesta presagiva un contatto. Difatti afferrò il mio braccio destro, abbandonato lungo il fianco, e lo accompagnò sul mio seno, dicendomi di tenerlo fermo lì. Si alzò e si mise alle mie spalle. Lo sentii sganciare il reggiseno e poi tornò davanti a me, riposizionandosi sul letto. Passò due dita sotto la cucitura merlettata, sollevandola leggermente con l'altra mano, e seguì il corso di quella cicatrice. Mi prese il fianco destro e lo spinse all'indietro, facendomi voltare di lato e potendo così continuare a seguire quella pelle di un colore più roseo fin dietro la mia schiena. Si bloccò su un punto preciso, circolare e convesso, dove la mia pelle era leggermente più fina.
"E questo cos è?", mi chiese accarezzando quel punto.
"Lì c'era il tubo del drenaggio, per fare in modo che liquidi e sangue non si accumulassero nel mio corpo obbligando i medici a riaprirmi di nuovo per aspirarli".
Sentivo il suo respiro su di me. Il suo tocco mi aveva fatta rabbrividire, ma non mi mossi di un millimetro. Erano due anni che non venivo toccata da un uomo.
Tommaso
Sentivo la contrazione dei suoi muscoli. Era tesa, ma quella volta aveva tutte le ragioni per esserlo. Era per metà nuda, davanti un uomo, ossia io, che conosceva poco. Sentii il suo stomaco brontolare e mi scappò un sorriso, che lei non colse avendo il viso nascosto dietro la sua schiena. Tolsi la mano dal suo fianco e, senza alzarmi, le richiusi i gancetti del reggiseno dietro la schiena. Poi raccolsi la sua felpa da terra e gliela passai. Dopo averla indossata di nuovo iniziò a rilassarsi.
"Hai cenato?", le chiesi.
"A dire il vero no..."
"Il tuo stomaco reclama cibo", le dissi, puntando un indice proprio su di esso.
"Domani esco, mi dimettono...", disse d'un tratto.
"Non sembri felice... non sai cosa darei io per tornarmene a casa!"
"Per questo non sono contenta...tu non ci vuoi restare qui, se io esco non potrò venirti a fare compagnia a qualsiasi ora del giorno!"
Mi fece tenerezza, troppa per uno come me. Continuavo ad avere quel sorrisino stampato sulle labbra.
"Vorrà dire che quando uscirò recupereremo questo tempo!", le dissi.
La vidi sorridere. Se ci fosse stata più luce avrei di sicuro notato il suo viso colorarsi di rosso. Poi mi alzai, le tirai su la zip, fin sotto il mento, e le consigliai di andare a mangiare la sua cena, che ormai doveva essersi freddata. Si diresse alla porta e prima che ne uscisse la richiamai, obbligandola a voltarsi.
"Grazie..."
"Per cosa?", mi chiese curiosa.
"Per uno dei momenti più intimi che abbia mai condiviso con una donna!"
Fece un altro dei suoi sorrisi, dando una pacca alla porta, e poi scomparve per il corridoio. Una volta solo, contemplando il soffitto, feci i conti con me stesso. Avevo dovuto trattenermi molto con Emma. Se non mi fossi trovato in un ospedale, con dei punti a tirarmi sul fianco, e non avessi avuto a che fare con una donna come lei, spaventata dalla vita come dal semplice contatto fisico, non mi sarei di certo fermato ad accarezzare quella cicatrice. Per quanto all'inizio la sua situazione fisica mi spaventasse, più la conoscevo e più qualcosa in lei mi attirava. E non parlavo del suo aspetto. Avevo avuto donne più belle di lei, Caterina ne era un esempio. Era quel suo modo restio di approcciarsi a me, quel suo arrossire nel momento in cui si sentiva in imbarazzo e quel suo far trasparire velatamente la voglia di lasciarsi andare e la paura di farlo, a sollecitarmi nel tentarla. Accesi la tv e iniziai a fare zapping, continuando a pensare a lei.
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