L'amore non è bello se non è litigarello

Emma

Avevamo quasi finito di fare colazione, quando gli occhi mi caddero sul calendario attaccato accanto al frigo. Da quando mi ero trasferita a Milano mi sembrava fosse passata un'eternità, invece erano trascorsi solo pochi giorni. Quello che però mi colpì fu la data di quella mattina: 3 Novembre. Mi bloccai qualche secondo ed il mio umore cambiò repentinamente.

"Emma, tutto ok? Che succede?", mi chiede Tommaso leggermente preoccupato.

"Oh, ecco...oggi è un giorno particolare per me..."

Lo vidi guardare verso il calendario. Non dovette riflettere più di tanto per capire a cosa mi riferissi. Quel giorno, due anni prima, la mia vita era drasticamente cambiata. Mi sentii spostare lo sgabello e mi ritrovai ruotata verso di lui. Aveva appoggiato le mani sulle mie ginocchia, esercitando una leggera pressione verso il basso.

"Prova a vederla in questo modo: non a tutti è consentito cambiare vita. Tu hai avuto questa possibilità, pagandone di sicuro un caro prezzo, ma con la possibilità di ricominciare! Quindi, io dico che ci vuole un brindisi, perché questa data, il tre novembre, segna la tua rinascita, come se fosse un secondo compleanno!"

Lo vidi alzarsi e tirare fuori dal freezer una bottiglia di spumante.

"Non credi sia presto per bere? E poi non so se accettare quest'offerta di festeggiare due compleanni l'anno...in questo modo arriverò ai settanta prima del previsto!"

"Te li porterai benissimo allora!".

Facemmo tintinnare i bicchieri e buttammo giù tutto d'un fiato quel bicchiere di bollicine. Per poi svuotare tutta la bottiglia. Non fu una grande idea. Un'euforia ci pervase, facendoci ridere senza un reale motivo. Tommaso mise della musica, sembrava reggere l'alcool meglio di me. Io sentivo la testa leggera, talmente leggera da non riuscire a mantenermi ferma sul posto.

'"Brutta idea quella di bere a colazione...", dissi con un tono di voce che suonava stonato persino ai miei sensi narcotizzati.

Tommaso mi afferrò le mani e mi tirò verso di lui. Le note di 'Let her go' iniziarono a diffondersi nell'ambiente. Sentii la sua mano ancorarsi alla base della mia schiena e, forse a causa dell'alcool in circolo nel mio sangue, non mi diede affatto fastidio. Tutt'altro. Guidò le mie braccia dietro il suo collo, e io le lasciai ricadere a peso morto, senza forze. Poi fu la volta della testa: il mio collo non riusciva a reggerne il peso e fui costretta a reclinarla sulla sua spalla. Avevo chiuso gli occhi e mi ero abbandonata completamente contro di lui. Mi spostava ciocche di capelli dietro l'orecchio, mi accarezzava la guancia, il mento. Lo avevo fatto anche io quella mattina, mentre dormiva...o meglio faceva solamente finta di farlo. Non mi mossi neppure quando depositò sulla mia guancia un casto bacio. Scese ad annusare il mio collo, sfiorandolo con le labbra. La canzone era finita, ma nessuno dei due ci fece caso. Portai le mie mani dietro il suo collo. Lui risalì verso il mio orecchio, ne leccò il lobo e poi lo morse. Una sensazione di calore divampò in me, facendomi stringere di più le dita nella sua carne.

"Sei bella Emma..."

Quelle parole appena sussurrate mi fecero spalancare gli occhi. Come se mi fossi svegliata da un bel sogno, rialzai la testa per guardarlo negli occhi e cercare di capire se quello che avevo sentito era vero oppure era solo frutto della mia immaginazione e della lieve sbornia. Prese il mio viso tra le mani e, come se mi avesse letto di nuovo nel pensiero, ripeté di nuovo quel complimento. Quanti anni erano che qualcuno non mi diceva che ero bella? Non ricordavo neanche l'ultima volta che me lo avesse detto Marco. I miei occhi divennero lucidi e li chiusi istintivamente. Lui li baciò entrambi, prima uno e poi l'altro. Baciò la punta del mio naso, gli zigomi, per poi avvicinarsi pericolosamente alle mie labbra. Sentii un lieve bacio proprio all'angolo della mia bocca. I pochi freni che mi erano rimasti , e che l'alcool non aveva fatto cadere completamente, mi fecero schiudere la bocca per ordinargli di fermarsi.

"Perché?", mi chiese.

"Perché non possiamo, perché tu stai con Caterina...", gli dissi prendendogli il mento e allontanandolo dalle mie labbra.

"Emma..."

"Tommaso tu non mi vuoi veramente...e poi non potrei mai darti quello che invece una Caterina potrebbe...".

Il rumore delle chiavi che giravano nella serratura fuori dalla porta ci fecero voltare entrambi verso la sua direzione. Ci guardammo di nuovo negli occhi, con lo sguardo colpevole di qualcosa che poteva succedere e non era successo. Tommaso non domandò neanche chi fosse. Solo una persona possedeva le chiavi di casa sua, oltre lui ovviamente. Ci staccammo e recuperammo le distanze, prima che Giada irrompesse nell'appartamento. Mi accarezzai vigorosamente un braccio. Mi sentivo a disagio. Quando Giada entrò ed incrociò i miei occhi, l'unica cosa che mi venne in mente di dire fu: "Buongiorno Giada...".

Giada

Buongiorno Giada? Non mi aspettavo di trovarla lì, credevo che dopo aver soccorso mio fratello, se ne fosse tornata a casa. Mi guardai attorno, gettando la borsa a terra: delle tazze vicino il caminetto, cuscini a terra, l'isola della cucina con i residui della colazione. Incrociai le braccia al petto e mi sedetti sul tavolinetto del salotto, facendo cenno a quei due di sedersi sul divano davanti a me. Mi dovevano delle spiegazioni.

"Quindi?", chiesi rivolta ad entrambi.

"Quindi cosa?", rispose Tommaso restando in piedi.

"Che è successo qui?", chiesi ancora.

Guardai Emma, tremendamente in imbarazzo. Mio fratello invece pareva semplicemente scocciato.

"Smettila di fare la mamma chioccia Giada!"

"E' QUELLO CHE SONO STATA COSTRETTA A FARE DA QUANDO LA MAMMA CI HA LASCIATO!", gli gridai alzandomi in piedi.

"IO NON TI HO MAI CHIESTO NULLA GIADA...ANCHE PERCHE' NESSUNO PUO' SOSTITUIRE NOSTRA MADRE! MA SI PUO' SAPERE ADESSO COSA C'ENTRA QUESTO DISCORSO ?"

"PERCHE' NON HAI CHIAMATO A CASA?"

"NON VOLEVO FAR PREOCCUPARE PAPA', TUTTO QUI!"

"QUANDO ANDRAI A TROVARLO EH?"

"TI RICORDO CHE SONO STATO IN OSPEDALE FINO A IERI,GIADA... DACCI UN TAGLIO!"

Emma ci raggiunse e provò a placare gli animi. Mi appoggiò una mano su una spalla e tentò di farmi un sorriso, scendendo ad accarezzarmi un braccio. Poi guardò mio fratello, e parvero comunicare senza parlare, soltanto scrutandosi.

"Ve lo richiedo in modo più calmo: che cazzo c'è tra voi due?"

"Non c'è nulla Giada: tuo fratello mi ha chiamata perché era rimasto senza corrente e con la caldaia fuori uso. Sono arrivata con un taxi, zuppa da capo a piedi. Mi ha quindi prestato una sua tuta, siamo scesi in garage e mentre lui mi faceva luce con la torcia del cellulare io ho preso della legna e l'ho portata in casa. Abbiamo acceso un fuoco, ha messo i miei vestiti ad asciugare vicino al camino, ci siamo fatti un thé e poi, visto che il maltempo non accennava a smettere, mi ha chiesto di fermarmi qui. Non è successo nulla, abbiamo dormito, e questa mattina abbiamo fatto colazione!".

"Quindi io dovrei credere che mio fratello ha chiamato te , senza un polmone ,per farsi aiutare a trasportare per ben tre piani della legna, invece di chiamare un qualsiasi cazzo di vicino!? O magari la sua ragazza Caterina?"

"Anche Caterina aveva il cellulare fuori uso!", disse Tommaso che mi guardava in modo sempre più accigliato.

"Che botta di culo fratello! E poi tu, Emma, non eri arrabbiata con lui? Mi pare che ieri in macchina non vi parlavate neanche!"

"Lo ero Giada..."

"Quindi adesso non lo sei più?"

"Lo sono meno...molto meno..."

"Perché, che ti ha promesso?"

"NON MI HA PROMESSO NULLA GIADA! MA PER CHI MI HAI PRESA?"

"CHE CAZZO è SUCCESSO DENTRO QUELL'OSPEDALE?"

"NON SONO COSE CHE TI RIGUARDANO GIADA...E SMETTILA SE NON VUOI CHE TI CACCI DI CASA!", gridò Tommaso.

"Ma dove vuoi andare a parare? Credi che io e tuo fratello abbiamo...?"

"DIMMELO TU EMMA...!"

"IO NON RIUSCIVO NEANCHE AD ALZARMI DAL LETTO, MA CHE CAZZO VAI A PENSARE?", continuò a gridare Tommaso.

Conoscendo mio fratello sapevo che lui non avrebbe mai parlato. Emma invece si. Se riuscivo a toccarla nel profondo, a far leva sulla sua coscienza, lei sì che avrebbe parlato, è per questo che continuavo a fissarla e a rivolgermi a lei.

"Ecco cosa penso: tra di voi è successo qualcosa, Emma si era già immaginata che potesse esserci un seguito. Poi invece ha sentito parlare te e Caterina, e di sicuro tu cercavi di mantenerla buona e di rassicurarla che tra di voi non fosse cambiato nulla! Quindi tu, Emma, ti incazzi e decidi di strappare il contratto del libro...è andata così, vero?"

"EMMA NON DEVI SENTIRTI OBBLIGATA A DIRE NULLA! È LA TUA VITA, NON LA SUA!", gridò mio fratello.

Dallo sguardo accigliato e triste di Emma capii di aver fatto centro. Emma aveva gli occhi lucidi. Mi dispiaceva, ma avevo bisogno di sapere.

"VATTENE GIADA...FUORI!"

"Con molto piacere Tommaso...ma Emma viene con me!"

Emma alzò un po' la testa e mi guardò. Io avevo già ripreso la borsa e mi ero avvicinata alla porta.

"Mi chiamo un taxi Giada...'

"Come vuoi...comunque io non ce l'ho con te...volevo solo farti aprire gli occhi! Mio fratello sta cercando di riportarti dalla sua parte per convincerti a firmare di nuovo il contratto per il libro...!"

"VAFFANCULO GIADA! VATTENE! E SE QUESTA è L'OPINIONE CHE HAI SU DI ME, RESTITUISCIMI LE CHIAVI, ADESSO!! ALMENO EVITIAMO CHE TI INTRUFOLI IN CASA MIA QUANDO VUOI!".

Tolsi le chiavi che erano rimaste infilate nella serratura e gliele gettai addosso. Guardai entrambi per qualche secondo, scuotendo la testa e ,sbattendo la porta , me ne andai.

Tommaso

Ero furioso. Se avessi potuto me ne sarei andato a fare una corsa, per scaricare la tensione. Mi passai le mani tra i capelli e mi voltai a guardare Emma. Trafficava con il telefono, probabilmente per chiamare il servizio taxi, come aveva detto a mia sorella.

"Ti accompagno io a casa", le dissi.

"No, meglio se non ti sforzi..."

"Non mi sforzo, non devo portarti in spalla..."

"Non fa niente , davvero, ho già composto il numero..."

Prima che riuscisse a portare quel telefono all'orecchio, glielo strappai dalla mano, chiusi la chiamata e me lo misi nella tasca dei pantaloni della tuta.

"Se arriva la tua ragazza che le dirai?"

"Che sono uscito un attimo per riportarti a casa...e comunque Caterina non è la mia ragazza"

"Io cosa sono? Tra noi cosa c'è Tommaso?"

"Una simpatia..."

"Una simpatia...e tu provi a baciare tutte quelle per cui provi una simpatia?"

"Vuoi litigare di nuovo Emma? Le accuse di mia sorella hanno fatto breccia nella tua coscienza vedo..."

"Non mi fido di te Tommaso... e non è per colpa di ciò che pensa tua sorella!"

"Lo so...ma mi sembrava che le cose stessero migliorando tra noi, prima che arrivasse l'uragano Giada!".

La vidi sbuffare e incrociare le braccia al petto, dandomi le spalle e dirigendosi verso la vetrata. Era combattuta e avrei dato qualsiasi cosa per sapere cosa le passasse per la testa. Mi avvicinai anche io. Avrei voluto farle una carezza, ma immaginando che si sarebbe irrigidita, come alzai la mano, la ritirai.

"Guarda che ti vedo!", mi disse fissandomi attraverso il vetro.

"Le situazioni si invertono spesso tra di noi...", le dissi.

"Magari riuscirò a diventare un po' egoista come te allora, fregandomene delle conseguenze delle mie azioni, persone comprese!"

"Questo e' ciò che pensi di me? Che sia un'egoista?"

"Penso che tu non sia abituato a lasciare la strada vecchia per quella nuova, se prima non capisci che la nuova è migliore di quella precedente!"

Si era avvicinata al mio viso, guardandomi negli occhi. Le braccia non erano più conserte e me le appoggiò sulle mie braccia, accarezzandole dall'alto verso il basso. Quell'intraprendenza mi parve strana. E quando sentii una mano infilarsi nella tasca dei pantaloni e sfilarne il cellulare, capii che aveva giocato d'astuzia. Mi superò, prese la sua borsa e ricompose il numero del servizio taxi. Io me ne restai lì, a fissarla. Mi aveva sorpreso, ed era una cosa che non mi succedeva spesso. Poi chiuse la chiamata , aprì la porta e mi fissò per qualche secondo, prima di richiuderla, senza dire una parola.

Mi gettai sul divano. Mi dispiaceva per la discussione che avevamo avuto io e Giada. Ma ero troppo orgoglioso per richiamarla subito. E poi aveva davvero esagerato ad attaccarmi in quel modo. Non era vero che volevo ingraziarmi Emma per convincerla a scrivere quel dannato libro. Mi piaceva stare in sua compagnia, senza il fine di ottenerne qualcosa in cambio. Avrei dovuto dirglielo, ma conoscendola, dovevo permetterle di smaltire la rabbia. Poi mi alzai e recuperai il cellulare. Avevo messo il silenzioso e avevo delle chiamate perse di Caterina. Non la richiamai. Composi invece un altro numero, un numero fisso a me familiare.

"pronto, papà?...si sto bene...lo so, è per questo che ti chiamo: cosa stai preparando per pranzo?...no, non mi sto autoinvitando...non preparare nulla, ci penso io...ci vediamo tra un'oretta!".

Presi la giacca, le chiavi della macchina e scesi in garage. Appena mi immisi sulla strada vidi Emma che aspettava ancora il taxi. Accostai.

"Dai sali..."

"Il taxi è a momenti..."

"Devi venire con me"

"Questo tono autoritario non mi piace affatto...dove dovrei venire?"

"Da mio padre..."

"Siamo passati dalla simpatia alle presentazioni in famiglia?", mi disse con un sorrisino ironico stampato in faccia.

"Dai Emma, smettila di tirartela per oggi e sali in macchina!"

Sbuffò di nuovo, picchiettando il tettino della macchina con le dita . Poi aprì lo sportello ed entrò nell'abitacolo.

"Devo passare a casa...voglio farmi una doccia e cambiarmi...e devo prendere delle pasticche..."

"Quello che vuole signorina Lisi!", le dissi facendole un gesto di reverenza con la mano.

"Ti odio!", mi disse con un'espressione che pareva dire tanto, ma che di sicuro non mostrava odio nei miei confronti.

"E tu sei bella quando fai la finta arrabbiata!"

Mi guardò, con la bocca leggermente schiusa, senza riuscire a dire nulla. Mi dispiaceva per lei, ma se aveva deciso di giocare con me non avrebbe avuto vita facile. Sapevo come giocare le mie carte. Quello che non sapevo era che i miei stessi giochetti si sarebbero ritorti su di me, facendo mettere in discussione tutte le mie idee.

Emma

Lo odiavo davvero. Odiavo il modo che aveva di spiazzarmi, di mettermi spalle al muro senza avere la minima idea di come riportare la situazione a mio vantaggio. Mi misi la cintura e non dissi più nulla. Lui fece lo stesso. Arrivati sotto casa, parcheggiò e scendemmo. Entrò nell'appartamento, dietro di me, e si sedette sul divano, come fosse a casa sua, accendendo la tv e chiedendomi di non metterci troppo , facendomi l'occhiolino. Salii sul soppalco, presi uno dei miei nuovi outfit, maglioncino verde e pantalone elegante nero, e discesi nuovamente al piano di sotto, dirigendomi in bagno e chiudendomici dentro. Volevo evitare di fargli venire strane idee in testa. Dopo venti minuti scarsi ero pronta. Legai i capelli in una piccola coda, misi un filo di ombretto e di mascara e un lipgloss rosso ciliegia. Uscii a piedi scalzi, e notai Tommaso con la testa reclinata sul divano. Mi avvicinai e mi accorsi che si fosse addormentato. Spensi la tv e mi sedetti a gambe incrociate al suo fianco: gli sistemai una ciocca di capelli che gli era caduta sugli occhi, senza pensarci, e questo semplice tocco lo fece svegliare. Mi guardò e si stropiccio gli occhi, assonnato.

"Ci hai messo così tanto che mi sono addormentato..."

Presi un cuscino e glielo tirai in faccia. Lo riafferrò e prima che me lo rilanciasse contro, mi alzai e iniziai a scappare per la casa. Fu una breve corsa, Tommaso mi riacciuffò dopo pochi secondi, inchiodandomi tra il suo corpo e l'isola della cucina. Le sue mani poggiate sui miei fianchi, i miei palmi a stringere il marmo freddo, cercando di mantenere il busto ad una debita distanza.

"Hai della pellicola?"

"Della pellicola?", chiesi titubante

"Sì, quella alimentare, trasparente...che si usa per incartare gli alimenti"

"Che ci devi fare?", continuai a chiedergli, sempre più stupita.

"Posso farmi una doccia, visto che la mia caldaia è fuori uso? Devo coprire i punti, e l'unica idea che mi viene in mente è quella di usare della pellicola!".

Spalancai gli occhi. Sentivo il suo bacino premere contro il mio, e di nuovo quella sensazione di calore, come poche ore prima. Dovevo ritrovare un po' di sangue freddo.

"Se mi...permetti di muovermi...magari potrei cercarla...", gli dissi, cercando di fingere sicurezza.

Si allontanò da me giusto quel poco affinché potessi sgattaiolare fuori dalla sua stretta. La trovai e gliela passai.

"Tranquilla...non ti chiederò di aiutarmi!", mi disse, dirigendosi verso il bagno.

Mi versai un bicchiere di acqua, per cercare di ristabilire il battito cardiaco. Dopo cinque minuti, che io usai per infilarmi le décolleté nere indossate la sera della cena da Maria Boldrini e prepararmi un caffè, rigorosamente amaro per far passare definitivamente la sbornia mattutina, vidi uscire Tommaso dal bagno. Si era avvolto nel mio accappatoio, decisamente troppo corto e stretto per lui. Mentre lo fissavo, cercando di non ridere vedendolo avvolto in quella spugna lilla, bussarono alla porta. Feci appena due passi che venni bloccata dalla sua voce che mi diceva che avrebbe aperto lui. Gli consegnarono un jeans, una camicia e una giacca.

"Sono riuscito a chiamare la lavanderia mentre ti lavavi...e ho dato il tuo indirizzo per farmi consegnare degli abiti che avevo mandato a lavare..."

"Avevi previsto tutto, vero? Credevi che non avrei resistito al tuo fascino e ti sarei saltata addosso?", gli dissi appoggiando i pugni sui fianchi.

"Volevo solo approfittare di un po' di acqua calda...non farti strane idee!", mi rispose, facendomi di nuovo l'occhiolino e dirigendosi verso il bagno per andarsi a vestire.

Altri cinque minuti, ed ecco il nuovo Tommaso De Curtis, fresco come una rosa e vestito di tutto punto, pronto a presentarsi a casa di suo padre.

"Allora...andiamo?", disse lisciandosi la giacca.

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