Aria di festa

                                                                               Tommaso

Emma era stata più evasiva del solito, e la cosa non mi quadrava. Avevo avuto però ben poco tempo per pensare alla possibile causa, sommerso da scartoffie da firmare e riunioni varie. Alle sei finalmente la mia giornata di lavoro si concluse e potei lasciare l'ufficio. Presi l'ascensore con Bruno: il suo umore era decisamente troppo allegro per essere venerdì sera e aver concluso una settimana strapiena di impegni.

"Ti vedi con mia sorella stasera?"

"Sì dottore..."

"Ancora che non riesci a darmi del tu! Va a finire che mi ti ritrovo come cognato e mi dai ancora del lei!"

"Oh, è la forza dell'abitudine dottore!", mi rispose ridendo.

"Si può sapere che hai?", gli chiesi seccato.

"Nulla...pensavo che sarei molto contento di averla come cognato dottore!", mi disse continuando a sorridere.

Non sarebbe dispiaciuto neanche a me avere Bruno come cognato, anche se era troppo posato e noioso per i miei gusti, praticamente l'opposto di mia sorella. Me li immaginai a letto insieme e mi venne la nausea.

"Non me la racconti giusta! Comunque vedi di iniziare a chiamarmi con il mio nome, almeno quando siamo soli, altrimenti ti abbasso lo stipendio!", dissi uscendo dall'ascensore e aprendo la mia macchina a distanza con il telecomando.

"D'accordo dottore, volevo dire Tommaso! Buona serata...anzi buon week end!".

Mi voltai a guardarlo: sventolava la mano mentre prendeva la direzione opposta alla mia, verso la sua macchina. Sorrisi pensando che fosse un vera idiota, ma che alla fine gli volevo bene ed era molto professionale sul lavoro. Senza di lui sarei stato spesso nei casini. Qualcosa mi diceva che la sapesse lunga. Le allusioni sulla serata e sul week end mi erano suonate strane. Ero stanco morto. Guidai più lento del solito, prendendomi di sicuro rimproveri da chi mi si trovò davanti sulla strada. Parcheggiai in garage e salii. Trovai la porta socchiusa. Pensai a qualche ladro che avesse provato a scassinare, ma non c'erano segni di infrazione. Poi ci riflettei: chi era entrato aveva le chiavi. Aprii di scatto la porta: la luce delle candele illuminava il salotto e la cucina, il caminetto era acceso e accanto c'era un albero di natale con varie scatole attorno , che aspettava solamente di essere addobbato.

"Emma?! Dove sei?!", chiamai a gran voce.

Ma non ricevetti risposta. Le candele a terra formavano una specie di percorso. Lo seguii e arrivai in camera da letto: un cappellino natalizio faceva bella mostra di sé sul mio cuscino. Accanto c'era un bigliettino con scritto 'indossalo'. Per quanto quel giochetto mi piacesse non vedevo l'ora di abbracciarla. Aprii la porta del bagno, ma di lei nemmeno l'ombra. Indossai quel cappello davanti allo specchio: risi al ricordo di un me bambino, una trentina di anni fa, in attesa di Babbo Natale. Me ne restavo sveglio in salotto, con le luci spente, a fissare il caminetto. Ma puntualmente la mattina mi ritrovavo nella mia camera, il sonno aveva sempre la meglio e la mamma mi prendeva dal divano per ricondurmi nella mia cameretta. Capii ben presto che quella di Babbo Natale era solo una leggenda e che non esisteva. Una melodia natalizia arrivò alle mie orecchie. Corsi in salotto e trovai Emma ad attendermi accanto lo stereo: aveva messo pil completo rosso che aveva indossato alla cena da Maria Boldrini e in testa lo stesso cappellino natalizio che indossavo io. Ci corremmo in contro e ci abbracciammo. La strinsi più forte che potevo per trasmetterle quanto mi fosse mancata. Mi era mancato il suo odore, il calore del suo corpo, mi era mancato tutto di lei.

"Ciao amore mio...",mi disse prima che la baciassi con passione.

"Questa è la sorpresa migliore che potessi farmi...", le soffiai sulle labbra prima di baciarle di nuovo.

"Vedo che ti sono mancata...", mi disse con sguardo malizioso.

"Non immagini quanto amore mio!", le risposi sollevandola da terra, facendo un giro su me stesso.

Mi strinse e affondò il viso nell'incavo del mio collo. Io feci lo stesso. Mi sembrò di tornare a respirare dopo quasi due settimane di apnea.

"Bruno sapeva tutto, non è vero?"

"Già...è diventato anche il mio braccio destro!"

"Io lo licenzio!"

Emma rise, e a me sembrò di non aver visto mai nulla di più bello. Si fece depositare a terra e mi mostrò quello che aveva comprato.

"Ho parlato con Giada...mi ha detto che tu non hai più festeggiato il Natale dopo la scomparsa di tua madre..."

Ci sedemmo ai piedi di quell'albero alto circa due metri, vicini al caminetto.

"Mi spieghi come sei arrivata a montarlo fino in cima?", gli chiesi perplesso.

Emma estrasse una grossa palla da una busta e me la lanciò contro. Mi colpì ad uno zigomo e mi fece un po' male, ma dato la battuta me lo meritavo. Me la ritrovai accanto, che mi chiedeva di togliere la mano con cui mi massaggiavo la guancia, per sincerarsi su cosa mi fossi fatto. Approfittai della sua vicinanza per attirarla a me: la sollevai e la feci sedere sulle mie gambe, mentre mi baciava la zigomo.

"Questo vestito è sprecato per essere indossato in casa...", le dissi iniziando a sbottonarle la giacca.

"Quindi dovrei toglierlo?", disse scendendo a baciare il mio collo.

"Direi di si, non vorrei si sgualcisse troppo...", le dissi togliendole la giacca e baciandole una spalla.

"Dovremmo addobbare l'albero...", mi disse sbottonandomi la camicia.

"Sono due settimane che non facciamo l'amore...l'albero può aspettare...", le risposi togliendole la maglia e facendola sedere tra le mie gambe, passando le sue ai lati del mio corpo.

"Così tanto? Non ci avevo proprio più pensato...", rispose maliziosa, togliendomi la camicia e accarezzandomi il petto.

"Vorrà dire che ti rinfrescherò la memoria...", le dissi baciandola con trasporto.

Emma

Non è vero che non ci avevo pensato, sarebbe stato impossibile non pensare a lui. Il modo che aveva di baciarmi, di toccarmi, di tenermi stretta a sé, ma soprattutto la premura che mostrava preoccupandosi che stessi bene: questo amavo di Tommaso. Mi bastava stare insieme a lui per sentirmi in pace con me stessa e con la vita. Quella sera facemmo l'amore in modo diverso, come se mi fossi finalmente liberata di tutti i miei problemi: l'operazione di mio padre, la presenza di Caterina, le mie ansie e paure, e tutti i dubbi che avevo avuto su Tommaso. Me ne stetti tra le sue braccia, con le testa sul suo petto, ad accarezzargli il braccio, e mi sentii finalmente amata, bella e felice. E non so perché iniziai a piangere. Tommaso si accorse dal mio corpo che sussultava e dalle lacrime che iniziarono a cadere sul suo petto che qualcosa non andasse.

"Ehi...che succede?" , mi chiese tirandosi su a sedere e trascinandomi con lui.

"Niente! Sono felice, tanto felice! E ho paura che questo possa finire!", risposi, asciugandomi le lacrime.

Tommaso mi abbracciò e mi sussurrò in un orecchio: "Ti prometto che non finirà mai Emma...non ti lascerò mai!".

Mi tenne abbracciata a lui finché non mi calmai. E subito dopo mi prese una strana euforia e lo pregai di fare l'albero.

"Hai gli ormoni impazziti amore...passi dalla tristezza all'euforia nel giro di pochi minuti!".

Aveva ragione, ma in quel momento mi sentivo così bene che non ci riflettei più di tanto sulle sue osservazioni. Ordinammo due pizze, addobbammo l'albero e una volta finito ci stendemmo sul divano a guardare un film, mangiando frutta secca, torrone e datteri. Poi ce ne andammo al letto e crollammo dal sonno. La mattina successiva il suono martellante del campanello ci destò dalla nostra tranquillità. Tommaso si alzò a fatica dal letto e andò ad aprire: la voce squillante di Giada arrivò fino in camera, insieme ad una decisamente più bassa da uomo, che non feci fatica a riconoscere fosse di Bruno. Mi tirai il cuscino sulla testa quando sentii i passi di Giada avvicinarsi al letto e poi il suo corpo schiacciarmi sotto di lei.

"Sveglia cognatina, ti ho portato la colazione!! Sono le nove!!!su su, ci aspetta una lunga giornata in giro per Milano!".

Mi tolsi il cuscino dalla faccia e Giada mi guardò perplessa.

"Che c'è?", le chiesi.

"Non lo so, sei più bella! L'amore ti fa bene!", mi disse, dandomi un bacio in fronte e togliendomi le coperte da dosso.

Mi feci una doccia veloce e mi vestii comoda, raggiungendo gli altri in cucina. L'odore del caffè che Tommaso mi porse mi diede la nausea non appena mi bagnai le labbra per farne un sorso.

"Non mi va...mi faccio un thè...", dissi a Tommaso allungandogli la mia tazzina.

Lo bevve Giada, era dolcificato e sapevo a Tommaso non piacesse. Giada si complimentò con me per la scelta degli addobbi e poi uscimmo. Prendemmo la macchina di Bruno, come suggerito da Giada: la meta era stata scelta da loro due ( o meglio solo da lei e probabilmente lui aveva accettato senza fiatare ) : il Castello Sforzesco. Passammo la mattinata a passeggiare tra quelle mura, aiutati da una bella giornata di sole. Giada si reggeva al braccio di Bruno e ogni tanto si davano qualche casto bacio sulle labbra.

"Per quanto odi ammetterlo, devo dire che sono carini insieme...", mi disse Tommaso stringendo la presa sul mio bacino e dandomi un bacio sulla tempia.

"Magari loro pensano lo stesso di noi...", gli risposi appoggiando la testa sulla sua spalla.

"Noi non siamo solo carini Emma...noi facciamo invidia a tutti!", mi disse girandomi verso di lui e baciandomi senza preavviso.

"Ehi, piccioncini? Mi sta salendo il diabete! Siamo in mezzo alla gente, potreste evitare questi slanci passionali?", disse Giada.

"Vedi Emma? Ecco l'invidia!", mi disse Tommaso prendendomi per mano e raggiungendo sua sorella.

Usciti dal castello andammo a pranzo. Non avevo molto appetito e continuavo a sentire lo stomaco leggermente scombussolato: decisamente le schifezze mangiate sul divano la sera prima mi avevano rovinata. Notavo Giada farmi strani sguardi, e non appena mi alzai per andare in bagno si propose di accompagnarmi, lasciando i nostri uomini a discutere di calcio.

"Che hai?", mi disse con quello sguardo indagatore che conoscevo bene.

"Nulla!! Solo un po' di spossatezza...", le risposi lavandomi il viso.

"Spossatezza? Nausea mattutina, rifiuto verso il caffè, mancanza di appetito...dai Emma!", mi disse continuando a guardarmi.

"Dove vuoi andare a parare?", le chiesi asciugandomi la faccia e tornando a guardarla.

"Sei incinta Emma?", mi chiese di botto.

"Ma che vai a pensare, dai! Non è possibile!", le dissi gettando la carta e facendo per uscire dai bagni.

Lei mi seguì, tornammo al tavolo dove Bruno e Tommaso avevano già pagato il conto e andammo via.

"Tom, ti va di venire a pranzo a casa domani? È l'immacolata, a papà farebbe piacere averci con lui...", disse Giada una volta in macchina.

Tommaso si voltò verso di me e mi chiese quando pensavo di ripartire. Gli risposi che avevo pensato di tornare a casa per cena e, per tradizione, addobbare l'albero con i miei, quindi sarei ripartita subito dopo pranzo.

"Ok, si può fare...", rispose Tommaso, facendo in modo che sua sorella gli saltasse al collo dal sedile anteriore e gli scoccasse un bacio sulla guancia.

"Ci sarà anche Bruno domani...", disse ricomponendosi e abbracciando il suo ragazzo, che guidava.

"Perfetto...una vera e propria presentazione in famiglia!", rise Tommaso, prendendo la mia mano e baciandola.

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