Medusa

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Mi perdo in un mare di assoluto vuoto. Caspar David Friedrich, navigo su un mare di nebbia, nel mio essere un Albatros resto infelice.
Se solo trovassi una via, un varco oltre il quale le ferite dei cocci aguzzi di bottiglia non facessero più male, dove il sangue delle mie mani congestionate non dilaniasse ogni capillare come un lupo, anzi una lupa, affamata.
Sento di aver lasciato il porto, sento di aver abbandonato la costa e infine la rotta, ora sono solo in mezzo all'oceano. Vedo solo una linea infinita che separa due azzurri di tedio mortale.
Sento che il cibo sta per esaurirsi, sento che il vino dell'otre bagna solamente più il fondo.
Se solo queste ali ingombranti e goffe mi rendessero capace di volare via, di essere tanto capace quanto superiore. Mi sento solo in mezzo alla folla di Potsdam, più vuoto di una stanza dai contorni di pastello, ogni persona che si aggiunge in questa mia galleria di volti noti e vuoti mi fa sentire più lontano dalla riva.
Il suono del bagnasciuga si è perso ormai, l'atmosfera è così satura di noia da impedire l'arrivo del più maledetto sussurro di vento. La mia Medusa affonda, la mia zattera non è abbastanza grande per me e il mio vuoto. Ne resterà solo uno.
Mangio l'ultimo lembo di pane, l'ultimo lembo di pelle. Bevo l'ultima goccia di vino, l'ultima goccia salata.
Se solo queste ali potessero ripagare tutta la sofferenza che mi provocano, se solo ogni piuma di paure potesse mostrarmi la via giusta oltre a riempirmi la mente di strade impraticabili.
Aspetto la vita, aspetto un altro Albatros, aspetto l'ala bianca di un gabbiano nel buio della tempesta, aspetto un occhio. Ché non so nemmeno più se sperare nel tedio che mi logora o nella disperazione che mi affoga. Se la burrasca o la piatta calma.
Non ho più né le forze né la voglia di tendere la lingua al cielo, alla pioggia, per ricevere nutrimento. L'orgoglio è una benda sui miei occhi e un filo ricamato sulle mie labbra.
Dov'è la via? Dov'è la mia casa? Quanto dovrò ancora aspettare prima di vedere una bianca vela all'orizzonte. Francese o inglese che sia, ad oggi due uomini sono uguali davanti alla morte, lì dove non c'è più legge.
Il vino salato è finito, ora quell'amaro scorre nel mio sangue fino agli occhi, fino alle lacrime, inutili esploratrici dei miei zigomi, delle mie guance vuote. Vuoto il cielo, tanto blu da contrastare il mare, tanto uguali da impedirmi di riconoscere da quale dei due possa trarre il mio ossigeno. Fatto sta che presto, sopra o sotto la zattera, soffocherò comunque.
Aspetto un occhio, il viscido sguizzare di un'anguilla. Forse non c'è un arrivo, forse quello che cerco è nell'abisso sotto e dentro di me. Devo immergermi, devo cercare il mio porto sepolto.
La zattera è vuota, ormai ci sono solo io e nemmeno più io. La mia anima ha deciso di evaporare assieme alle lacrime e al sudore stesso.
Forse ho solo bisogno di chiudere gli occhi, forse è tempo di lasciarsi andare, sublimare al cielo e sperare che a qualcuno importi. Gli occhi hanno smesso di vedere, li ho trafitti con la mia ingordigia. Ho guardato dritto nello sguardo del sole.
La bocca non sente più gusti, ho ucciso la mia lingua con l'acqua mortale del mare. Ne ho bevuta fino a svenire.
Le orecchie non sentono più suoni, il silenzio le ha chiuse per sempre, uno stridio assordante, che ha coperto ogni pensiero e ogni flutto contro il legno della zattera.
Il naso non percepisce più odori, se non quello della morte che inizia a mangiare le mie membra.
Le dita non sfiorano più nulla, se non il sale e l'aria nuda. Vuota.
La mia Medusa giace sul fondo del mare, presto il mio corpo farà lo stesso. Osservo la linea infinita che scorre tra cielo e morte, lascio che la vita perda ogni senso, spingo le mie membra nel gelo del buio.
Sarò ora la Ginestra che non crede più in nessuno e che aspetta l'ultimo sussurro del formidabil monte, incapace di dare un senso all'infinito che sente e non vede.
Non sarà l'ultimo urlo disperato dell'istinto, sotto un cielo rosso, a impedire questa discesa.
Attraverso l'Acheronte mentre guardo di lontano la mia anima sulla riva opposta del fiume. Sprofondo.

Verso l'oblio e la mia allegria di naufrago.

E anche a rileggere questa tragedia non provo nulla di nuovo se non il buio che cela le colonne della mia Atlantide.

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