Chapter 20.

Aveva raccattato tutte le sue cose ed era uscito di casa, erano gli ultimi giorni di novembre e faceva un freddo schifoso, nulla di paragonabile a ciò che sentiva dentro, comunque.

Aveva appena detto, neanche, aveva appena accennato a Gerard ciò che era successo e lui l'aveva sbattuto fuori di casa.

Non gli aveva neanche dato il tempo di spiegare, ma in fondo, Michael l'aveva avvertito; era fragile.
L'aveva rotto in mille pezzi con una sola frase.

Gerard, metaforicamente parlando, era come una lastra di vetro, doveva essere trattato con una delicatezza infinita.

Non si sentirono per due mesi interi, Frank aveva deciso di cercarsi un lavoro per poter mantene il bambino in arrivo, e comunque, non avrebbe retto un giorno di più a scuola in quello stato.

Sarebbe stato meglio per tutti lasciare quel posto infernale, soprattutto per Gerard.
Quando si era ritirato aveva pensato semplicemente a lui, non dev'essere semplice insegnare psicologia al tuo ex ragazzo.

Era passato il Natale, e si aspettava di trovarsi Gerard sotto casa, con una cioccolata calda, qualche biscotto e il suo solito sorriso.

Era passato anche Capodanno, immaginava di passarlo con lui, ma ovviamente non fu così.

Non l'aveva più cercato, non che non volesse farlo, ma non voleva dargli altri dispiaceri.
Stava ancora cercando di proteggerlo, stava mantenendo la promessa che si era fatto.

Inoltre, in via del tutto occasionale era ritornato da sua madre che era ben felice di accogliere un figlio che, a detta sua 'si era disintossicato'.

Voleva spiegarle che no, lui amava veramente Gerard, lo amava ancora, lo pensava tutti i giorni.
Piangeva tutti i giorni pensando a ciò che si era perso.

In sostanza, stava uno schifo.

La pancia di Jamia presentava un piccolo rigonfiamento, non che gli importasse molto di lei comunque, voleva solo essere certo che suo figlio crescesse normalmente.

Non provava nessun sentimento per quella ragazza, solo un po' di compassione.
Gli aveva confessato di essere stata lei a stuzzicarlo e ad iniziare tutto quella sera, e quindi se ne assumeva tutte le colpe.

Era tutto un fottuto casino.

Erano tutti in salotto a pranzare in occasione del compleanno di Linda; Tutte persone che avrebbe volentieri fatto uscire di casa, una massa di parenti che aveva visto sì e no 5 volte, Jamia..
Tranne una, l'unica persona che in tutto quel macello riusciva ancora a strappargli un sorriso; Gwen.

Era depresso, non sarebbe sopravvissuto un giorno di più in quello stato.
I sensi di colpa lo stavano mangiando vivo, voleva solo sparire da quella situazione che esso stesso aveva contribuito a creare.

Prese un coltello da cucina, guardando il suo riflesso sulla lama.
Aveva il manico stretto in mano e la punta era appena appena appoggiata sul collo.

Sapeva che da quelle parti c'era una vena che, se recisa, l'avrebbe portato alla morte in pochi istanti.

Cos'aveva da perdere? Nulla.
Suo figlio sarebbe cresciuto meglio senza un padre del genere, Gerard si sarebbe trovato qualcun'altro, sua madre sarebbe stata più serena perchè, insomma, meglio un figlio morto che frocio.

-Ora lo faccio-

Strinse gli occhi preparandosi al dolore, ma invece di premere la lama sulla sua pelle coperta dai tatuaggi, rimase fermo.

Scagliò il coltello sul muro con rabbia, non aveva neanche il coraggio di metter fine alla sua inutile vita.

Dicono che piangere sia una cosa positiva perchè subito dopo esserti sfogato ti senti subito meglio, stronzate.
Frank lo sapeva bene, insomma, aveva passato due mesi a piangere senza sosta.

Nessuno però, oltre a Gwen, aveva notato la sua situazione.
O meglio, nessuno ci dava peso, era stupido per loro che Frank stesse così male per un professore.

Aveva una gran voglia di entrare in salotto e picchiarli tutti, urlare
'Sì sono gay, amo un uomo, un uomo come me! Che problemi avete contro di me? Tanto non vi inviterei lo stesso al matrimonio, non dovete neanche portarmi il regalo, teste di cazzo'

Si era ficcato nei casini e non sapeva come uscirne.

-Frank-

La voce calma della ragazza lo rilassò in pochi istanti, facendogli dimenticare ciò che stava per fare.
Per essere così legata a lui, Gwen doveva per forza provare dei sentimenti per Frank.

Non se la spiegava proprio, quel suo essere così gentile e cordiale, quel suo continuo tentativo di stargli vicino anche in un momento del genere, persino in quell'istante lo stava abbracciando, aspettando che si sfogasse con lei.

Era diventato una specie di rito, un'abitudine, il fatto che Gwen passasse molte ore in casa sua, cercando di consolarlo e sentendo le sue infinite moine.

-Comunque non voglio cercarlo, mi ha lasciato, non vuole più saperne nulla di me-

-L'hanno licenziato, sai?-

Trattenne il respiro, aveva paura di sapere cos'avesse combinato.

-Non si è presentato per una settimana intera, successivamente è stato convocato dalla preside e ha dato di matto, ero nell'aula di chimica e lo sentivo urlare-

Gli accarezzò la testa per rassicurarlo, ma non ci riuscì più di tanto.
Era lui la causa di tutto, l'aveva ridotto uno straccio dopo pochi mesi.

-Io l'ho visto Frank, è dimagrito, ha gli occhi perennemente rossi, un po' come te... dovresti chiamarlo, ha incominciato ad urlare che non poteva più insegnare lì e penso che sia tutt'ora senza lavoro-

-Mi odia-

-Ti ama, coglione-

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