16.

Contiene scene sensibili

"Sarebbe piaciuto anche a me incontrarti prima" rispose lui. Sapeva che si sarebbe aperta senza domande da parte sua.

"Ti avrei sposato con piacere a diciassette anni... non sarebbe stato il giorno della mia condanna".

Lui si irrigidì. "Sei sposata, Irina?"

Non aveva la fede al dito.

E non era scritto da nessuna parte, né c'era un minimo accenno al divorzio.

Markus sentì lo stomaco in subbuglio al pensiero che da qualche parte doveva esserci ancora il marito che poteva pretendere chissà cosa da lei.

Non voleva perderla prima di averla avuta del tutto.

"Ero".

"È morto" scandì con voce atona dopo un secondo di pausa.

"L'ho ammazzato io" confessò, con voce piatta, decisa a liberarsi di quel segreto che aveva deciso di portarsi a sua volta nella tomba.

Ma se voleva condividere la sua vita con Markus, doveva renderlo partecipe della sua storia. Solo in quel modo avrebbe potuto scegliere se stare con lei o meno, e lei avrebbe avuto la certezza che lui l'avesse accettata in ogni sua minuscola sfaccettatura.

Markus deglutì un paio di volte a vuoto e la strinse con più forza. "Che cazzo dici?" bofonchiò, non curandosi del tono e delle parole.

Ora aveva non solo lo stomaco stretto in una morsa, ma la sensazione di stare sdraiato su un letto di aghi roventi.

"È vero. Non ne potevo più. L'ho sposato a diciassette anni, hanno falsificato i documenti. Non ho ventotto anni come recita bellamente la mia carta d'identità, ne ho ventisette. I miei avevano fretta di buttarmi fuori casa. Non avevano soldi per mantenermi e i pochi che c'erano li avevano usati per il matrimonio di mio fratello. Sai, i figli maschi. Io ero la femmina, nata sbagliata. Qualcosa di cui liberarsi in fretta. Meglio farmi sembrare più grande. Non avevo neanche una dote sufficientemente appetibile. Non avevo una dote in generale. I giovanotti non mi avrebbero di certo sposato senza nessun soldo. Ero una bambola rotta. Un giocattolo carino ma senza funzione. E allora che fare? Trovare un uomo che si sarebbe accontentato dello scarto degli altri. Un vedovo, sua moglie era morta di chissà cosa o per mano di chi non si sa, forse la sua. Era da solo, pover'uomo, recitavano le voci, chi si occuperà della casa e dei pasti? Guarda come va vestito, tutto sporco e spiegazzato, gli servirebbe una moglie. E la moglie perfetta ero io. Lui si sarebbe accontentato di non ricevere soldi, dopotutto potevo essere sua figlia. I miei mi avrebbero svenduto per non dovermi sfamare a oltranza e per non portarsi addosso l'onta di una figlia zitella. Hanno deciso tutto loro. Si sono presentati da me con una sottana di cotone bianco. Irina, fai le valige, domani ti sposi.

E il mio sposo era un uomo dell'età di mio padre, con i capelli radi e unti, le mani callose di chi faceva lavori manuali sottopagati, l'alito di chi affoga nell'alcool per non rendersi conto della miseria squallida in cui naviga.

L'ho sopportato tre anni. Tre anni in cui mi sono arrangiata a preparare cibo scadente senza soldi, perché se li beveva tutti. Diceva che cucinavo di merda e che ero davvero una pessima casalinga. Poi ogni volta provava ad alzare le mani, come probabilmente faceva sulla sua povera moglie morta, ma poi mi sorrideva sghembo.

Ma no, sei un fiorellino troppo bello per prendere le botte, tu. Hai questo bel faccino, mi piace intatto. Per farti perdonare, però, mettiti in ginocchio adesso.

Ovviamente gli piaceva scopare con me, mi baciava pure, a detta sua con sua moglie non lo faceva mai, ma con me gli piaceva.

Era a me che venivano i conati a sentire il miscuglio di alcool fetido e saliva impastata.

A lui sembrava di tornare ragazzino. Mi scopava pure guardandomi in faccia, e continuava a dirmi che ero fortunata perché a quella cagna di sua moglie la scopava solo a quattro zampe. Con me, invece, aveva dei riguardi e non mi usava solo per svuotarsi le palle. Rabbrividivo ogni volta che lo diceva.

Forse, a modo suo, si sentiva fortunato ad avere una moglie così giovane.

Continuava a chiedermi come mai non rimanessi incinta, nonostante la mia giovane età.

Come se avessimo avuto soldi per un figlio.

Un figlio arrivò sul serio, ma io, terrorizzata, abortii.

Ricordo ancora il dolore atroce dopo aver bevuto quell'intruglio amarissimo di erbe.

Con quel bambino sono morta io, Markus.

Mi sembrava che, insieme a quel grumo di sangue e cellule, ci fosse insieme anche il mio cuore.

Lo odiavo. Odiavo le sue mani sul mio corpo, odiavo la sua puzza, la sua voce graffiante, il modo in cui mi guardava come se fossi perennemente nuda. Odiavo dover pulire quella casa sporca e malmessa, odiavo dover cucinare cibi di scarto per sentirmi dire che facevano schifo. Odiavo la sua lingua sulla mia, le sue dita dentro di me, il suo sperma che mi sembrava un veleno che mi macchiava ogni volta.

Per qualche giorno bevvi ancora quell'intruglio di erbe amare, nonostante non ci fosse più nessuna vita dentro di me.

Ma quei dolori addominali che mi piegavano in due mi sembravano la giusta punizione per quello che avevo fatto.

Era un'anima innocente, anche se avrebbe ripreso la genetica del padre.

Ma io non volevo un bambino con lui.

Non volevo mettere al mondo una creatura disgraziata quanto me.

Alla fine fu la rabbia a investirmi. Non ero io a dover essere punita.

Era lui.

La sua voce, le sue mani, i suoi insulti quando era troppo ubriaco persino per punirmi con le scopate che non volevo a dover pagare per quello che aveva fatto a me e a quel bambino mai nato.

Non sapevo come fare a liberarmene. Potevo fuggire, ma non sapevo dove né come.
Un giorno, troppo ubriaco, barcollò sul pavimento di casa e cadde malamente.
Potevo sorreggerlo, evitare che sbattesse la testa sul tavolo.
Non lo feci.

Lo guardai, inerme, urlare di dolore e accasciarsi a terra.

Mi supplicò, biascicando, di chiamare i soccorsi.

Non feci neanche questo.

Mi limitai a guardarlo negli occhi, senza muovere un dito per aiutarlo, contenta in cuor mio di vederlo soffrire per tutto il male che mi aveva fatto.

Puttana, se non chiami qualcuno, morirò. Se sopravvivo, però, ti ammazzo con queste mani.

Quelle parole, dette da quella voce impastata dall'alcool e dal dolore, mi fecero tremare, ma rimasi ferma nella mia posizione.

Per colpa sua era morto un bambino innocente, ero morta dentro io. Mi sembrava il minimo vederlo crepare su quel pavimento lercio.

Appena capì che non avrei chiamato nessuno, e che sarebbe morto così, dopo chissà quanta agonia su un pavimento sporco, si fece la pipì addosso.

In quegli occhi vidi tutta la paura e la fragilità di un uomo di merda, che sapeva di dover morire e che tremava di fronte alla morte.

Chiuse gli occhi, cadendo in coma.
Lo lasciai sul pavimento finché non smise di respirare, tre giorni dopo.
Tre giorni in cui mi chiusi in camera per non vedere quel corpo.

Mi sentii libera.

Appena smise di respirare del tutto, mi sentii come se un peso enorme si fosse tolto dal mio cuore.

Sembrava che, cessato il suo respiro, fosse iniziato il mio. Respiravo, finalmente.

Non c'era più.

Quei tre anni di inferno erano finiti così, con il mio aguzzino morto sul pavimento lercio di casa sua.

Al funerale mi finsi dispiaciuta, eppure, sotto la veletta nera non uscì nemmeno una singola lacrima.

Due giorni dopo, prima che potessero farmi risposare, infilai i miei quattro stracci in una borsa, afferrai il documento e mi chiusi la porta alle spalle.

Era notte, viaggiai sul treno senza un soldo con il terrore di essere scaricata alla prima stazione.

Passai la frontiera.

Ero libera.

Ho studiato, mi sono laureata, e ho giurato sulla tomba di quel verme che non avrei mai più permesso a nessun uomo di toccarmi.

Poi sei arrivato tu, Markus..."

La confessione di Irina si interruppe, stroncata da un singhiozzo che la travolse in pieno.

Markus era rimasto pietrificato da quel fiume di parole.

Aveva lasciato morire un uomo.

Eppure non riusciva a biasimarla del tutto.

Aveva reagito a una situazione che l'aveva schiacciata.

Nessuno aveva fatto niente per lei.

Si era difesa come aveva potuto.

"Irina..."

"Lo so, Markus. Lo so. Però te l'ho detto. Sei libero di rivestirti e andartene" commentò lei.

"Non voglio andarmene" si ritrovò a dire lui, che comunque non l'aveva lasciata. Anzi, l'aveva stretta di riflesso appena aveva sentito il singhiozzo che aveva rotto l'argine.

"No? Ma io sono un'assassi..."

"Shh" la interruppe. "Non sei un'assassina, tecnicamente non l'hai ucciso tu, l'hai solo lasciato morire. Non me ne frega delle etichette, non riesco a considerare così una donna che si è liberata di uno che prima o poi l'avrebbe uccisa o che altrimenti si sarebbe suicidata. La tua società ha rischiato di ucciderti, tu ti sei solo liberata con gli strumenti che hai avuto a disposizione... anche se, forse, mi servirà un po' di tempo per digerire e per conoscerti meglio" disse lui.

"Sappi solo che non mi sono sentita in colpa. Mi sono sentita in colpa per quel figlio mai avuto. Quello sì. Ci ripenso spesso, e mi sento morire ogni volta. Spero che sia in pace da qualche parte. L'ho pure sepolto, Markus. Tornassi indietro forse l'avrei tenuto... ma poi non avrei mai avuto il coraggio di fare quello che ho fatto, né di scappare con un figlio a carico e senza un soldo in tasca... ero piccola, avevo diciannove anni. Forse erano scelte e dolori troppo grandi per una ragazzina troppo piccola".

"Mi dispiace per quello che hai passato, Irina...". Riuscì a dire solo quello, anche se avrebbe voluto dire molto di più.

"Probabilmente non è il passato che ti aspettavi, né il discorso da fare dopo il primo bacio" sdrammatizzò lei.

"Sei sempre una sorpresa, Irina... ma sono contento che tu ti sia fidata di me. Non so se sono all'altezza di rimettere in ordine i tuoi traumi, però..."

"Lo stai già facendo, il fatto che tu non sia scappato a gambe levate ne è l'ulteriore prova".

"Confido nel fatto che non mi lascerai morire, angioletto" riuscì a scherzare.

"Tu sei una brava persona" disse lei.

Dopo quella confessione che pesava come un macigno, si addormentarono, anche se un po' a fatica.

Il sonno di Markus era disturbato, quell'ammissione l'aveva stravolto e, nonostante si fosse addormentato, continuava a sentire un peso sullo stomaco che lo opprimeva fino a non farlo respirare.

Spazio autrice

Che dire. Un bel segreto, pesante da digerire... però, io non riesco a biasimarla del tutto e nemmeno Markus... a volte il mondo non è solo bianco e nero, ma ci sono un migliaio di sfumature da tenere in considerazione. Spero di essere stata in grado di descriverle!

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