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Irina, a un passo da casa, ebbe l'impulso di deviare e non farsi trovare... l'ansia la stava logorando e sentiva il cuore palpitarle nel petto. Forse aveva ceduto troppo in fretta.

Poi, però, si disse che non era una sprovveduta e che aveva coraggio da vendere. Si era sbarazzata di suo marito senza sensi di colpa, era fuggita oltrepassando la frontiera, aveva vissuto da sola in un paese di cui nemmeno conosceva la lingua all'inizio... non sarebbe stato di certo un avvocato un po' insistente a metterla sulle spine.

Entrò a casa rimirando il suo riflesso sullo specchio a figura intera dell'ingresso. Aveva addosso un paio di pantaloni neri della tuta e una semplice felpa panna. Avrebbe dovuto cambiarsi? Mettersi un paio di jeans? Osservò la sua coda alta che aveva fatto frettolosamente prima di uscire dallo spogliatoio con i capelli ancora un po' bagnati.

Li sciolse, facendo scorrere quella chioma biondissima sulle spalle, ma era rimasto il segno dell'elastico sui capelli visto che erano umidi quando li aveva raccolti in quell'acconciatura.

Avrebbe dovuto piastrarli? Si diresse in bagno, decisa almeno a darsi una sistemata ai capelli. Essere bella non era mai tra le sue priorità, ma ci teneva a essere ordinata.

Il campanello, però, la interruppe a metà strada, squillando come una sorta di campana tra i suoi pensieri disordinati e straordinariamente femminili.

Riagguantò l'elastico, facendosi la coda di prima e si precipitò ad aprire la porta.

Aveva tempo quaranta secondi prima che l'ascensore salisse al sesto piano dove abitava. In quei miseri secondi riuscì solo ad aggiustare il plaid che teneva sul divano, maledicendosi per essere così disordinata.

Markus si diede un'ultima occhiata allo specchio dell'ascensore. Non si aspettava di avere il primo appuntamento con Irina vestito con una tuta grigia da palestra, ma ormai era fatta quindi tanto valeva fare finta di nulla.

Bussò al portone e lei le aprì immediatamente, era stata talmente veloce che Markus pensò che fosse dietro la porta ad aspettarlo e forse era sul serio così.

"Hey" la salutò, allungandole il mazzo di tulipani celesti e sorridendo sbarazzino come se non fossero entrambi in tuta sull'ingresso di casa di Irina.

"Ciao" rispose lei, prendendo i fiori e spostandosi per farlo entrare.

L'imbarazzo era palpabile tanto che lei si morse le labbra e lui si ritrovò a grattarsi l'avambraccio, nervoso.

"Quindi? Cosa volevi dirmi?" chiese lei, impaziente di sapere il motivo di quel cambio di atteggiamento.

"Ti piace andare dritta al sodo, senza fronzoli" sorrise lui.

"Non scherzare, Markus" alzò un sopracciglio lei.

"Non sto scherzando, volevo solo conoscerti un po' meglio" disse lui, abbozzando un sorriso.

Irina sbuffò, e si girò per sistemare i fiori su un vaso in cucina.

Lui la seguì, notando che aveva un mazzo di peonie bianche a capeggiare sull'isola con ancora la tazza della colazione in bella vista.

"Ti piacciono i fiori, quindi" notò, appoggiandosi alla colonna che divideva la cucina dalla zona giorno, rendendo la stanza un semi-openspace.

"Sì, mi piacciono i fiori" asserì lei, sistemando meglio i tulipani.

"Credevo di aver fatto una gaffe ad averteli portati visto che guidi una macchina sportiva" ammise lui, volendosi mordere la lingua subito dopo per essersi lasciato sfuggire quella frase.

"Mi piacciono anche le macchine sportive, una cosa non esclude l'altra" sentenziò lei, adocchiando l'infame tazza sporca e ficcandola con stizza nel lavello. Non era abituata ad avere ospiti in casa.

"Sei una sorpresa, Irina" disse lui, che aveva seguito con cura tutti i suoi movimenti. Quella donna lo ammaliava fin troppo.

Lei sentì le guance arrossarsi leggermente, animate da un calore che era ormai familiare quando lui le stava vicino e per non sentirsi vulnerabile si mise di nuovo sulla difensiva.

"Dovevi dirmi qualcosa o sbaglio? Ho da fare, vorrei mangiare qualcosa e poi finire le ultime pratiche di lavoro, sono stanca" borbottò, fredda come suo solito.

"Possiamo mangiare insieme" azzardò Markus.

Come diamine faceva a dirle che era venuto lì perché voleva conoscerla meglio e perché voleva capire se lei nutriva un briciolo di interesse nei suoi confronti? Era così chiusa, scontrosa, fredda che non riusciva a parlarle a cuore aperto come gli aveva suggerito Franz, forse era meglio tergiversare e lasciare che fossero le azioni a parlare per lui e il suo atteggiamento a rispondere per lei.

"Io avrei mangiato semplicemente uno yogurt, non credo sia il caso" disse Irina, per farlo desistere.

"Andrà benissimo, altrimenti posso cucinarti qualcosa io. Non so, pancakes?" propose lui.

"Sai cucinare?" si meravigliò lei.

"So cucinare, sono una sorpresa anche io, Irina" ammiccò lui.

Irina si morse le labbra, indecisa. Dopotutto aveva fame. "Spero ci siano tutti gli ingredienti" mormorò, aprendo gli sportelli.

"So arrangiarmi, angioletto" la stuzzicò lui, avvicinandosi per prendere la ciotola sul ripiano più alto e avvicinandosi al corpo di Irina, schiacciato tra la cucina e lui.

"Non. Chiamarmi. Così" scandì lei le parole, guardandolo truce.

"Afferrato, non lo faccio più" sghignazzò Markus, divertito dal fastidio che le leggeva negli occhi.

"Hai una frusta?" chiese, appena sistemò con cura gli ingredienti sul tavolo.

"Una che?" gli fece l'eco lei, sperando di aver capito male.

"Una frusta da cucina, quello strumento per montare a neve le uova, non ti voglio seviziare" scherzò lui, vedendo il suo sguardo scurirsi.

"Non l'avevo neanche pensato" borbottò lei. "No, comunque. Non ce l'ho".

"Mi farò andare bene una forchetta, allora".

Irina si sedette sullo sgabello alto dell'isola, guardandolo mentre intrugliava sicuro con la farina e le uova.

Non avrebbe mai creduto che un uomo avesse cucinato per lei. Era cresciuta in una famiglia tradizionalista, in un paese tradizionalista che voleva le donne in cucina a compiacere l'uomo di casa.

Lei odiava cucinare, soprattutto quando il suo ex marito pretendeva piatti tipici elaborati. Odiava vederlo mangiare, odiava dover lavare i piatti per poi seguirlo in camera da letto. E si era vendicata con il tempo per quelle mansioni ingrate che doveva svolgere, venendo insultata se non erano fatte secondo il gradimento di quella specie di verme.

La scena che aveva davanti era il ribaltamento di tutto ciò che aveva vissuto e Markus sembrava l'uomo che il destino le aveva piazzato davanti per farle capire che migliaia di esperienze negative non pregiudicano un intero genere umano.

Credeva di odiare gli uomini.

Forse li odiava davvero.

E li odiava perché nella sua mente erano diventati tutti una copia analoga ma diversa di suo marito e suo padre.

Se non erano ubriaconi, erano violenti. E se non erano violenti, erano subdoli. E se non erano subdoli e ti trattavano bene, era solo per portarti a letto. E se non ti volevano portare a letto, ti consideravano comunque inferiore a loro e ti trattavano da cameriera, serva o segretaria così da essere loro ad avere il potere.

Ecco, Markus non era niente di tutto questo e se ne rendeva conto ora, vedendolo dietro il bancone della sua cucina con lei comodamente seduta a oziare e ad aspettare il piatto pronto senza pretendere niente in cambio.

"A che pensi?" le chiese lui, vedendola distratta nonostante lo stesse guardando.

Irina tornò con la testa sul pianeta terra e si rese conto di non aver detto neanche mezza parola per fargli compagnia ma quelle riflessioni l'avevano estraniata.

"Uhm, a niente. Mi chiedevo dove avessi imparato a cucinare" buttò lì, per non dover dire a cosa pensava sul serio.

Markus non era proprio convinto di quella risposta, ma non voleva metterla a disagio e non voleva che tornasse sulle difensive. Inoltre, pensava che il modo migliore per far aprire qualcuno fosse essere sinceri per primi.

"Beh, da piccolo passavo davvero un sacco di tempo con i miei nonni. I miei lavoravano e io appena vedevo arrivare la babysitter iniziavo a piangere disperato... sì, forse ero un po' troppo viziato... quindi mi portavano da loro. Era una bella villa fuori città, con un bel giardino e un sacco di stanze ma a me piaceva passare il tempo con mia nonna. A lei piaceva molto cucinare tanto da non aver voluto la cuoca e io la guardavo estasiato. Mi sembrava una specie di magia, me lo ricordo bene. Avevo forse quattro anni e mi sembrava assurdo che tutti quegli ingredienti insieme potessero formare qualcos'altro. Mi sentivo una specie di mago o uno scienziato quando mi chiedeva di aiutarla a mescolare gli impasti. E quindi, eccomi, dopo tanti pastrocchi le mie piccole creazioni iniziavano ad avere una forma commestibile e mi sentivo davvero un genio per aver fatto io stesso quelle cose".

Si interruppe un attimo solo per scaldare la padella e iniziare a cuocere i pancakes. Irina lo ascoltava con attenzione. Non credeva che le avrebbe dato una risposta così articolata.

"Poi sono cresciuto, i miei pomeriggi dai nonni sono diradati sempre di più e forse un po' me ne dispiaccio... avrei dovuto sfruttare meglio il tempo con loro, ma da adolescenti non si è così profondi. Ho conosciuto Franz e abbiamo fatto talmente tante cazzate insieme che la cucina è passata in secondo piano. Non me ne importava più delle mie creazioni culinarie, pensavo alle ragazze, alle feste, al divertimento. Poi ho passato anche questa fase, mi sono laureato, ho iniziato a lavorare per Franz, ho comprato casa. Sul catalogo, scegliendo i mobili della cucina, mi sono reso conto che mi mancava cucinare e ho ricominciato. Le prime cose erano una schifezza, nemmeno a dirlo, poi ho ripreso la mano ed eccomi qua. Quando voglio coccolarmi lo faccio, ma non credo di aver mai preparato niente per nessuno".

L'ultima frase gli uscì come una risatina. Era assurdo il fatto che non avesse mai cucinato niente per nessuno e che la prima fosse proprio Irina.

Di rimando gli sorrise anche lei, deliziandolo per la prima volta con un sorriso sincero. Quando aveva disteso le labbra, i tratti rigidi del suo volto si erano ammorbiditi tutto d'un tratto, rendendola davvero eterea come un angioletto. Sembrava un'altra persona e Markus si rese conto che la freddezza era solo una maschera invalicabile che si era cucita addosso per difendersi da chissà quali traumi.

"Io invece odio cucinare" replicò lei, con il volto ancora riscaldato da quel breve sorriso sincero.

"Non ti chiederò il motivo, perché immagino che non me lo diresti, Irina" ridacchiò lui, mettendole davanti il piatto con i pancakes fumanti.

"No, non te lo direi, Markus" sorrise di nuovo lei, tagliando un pezzetto del dolce e infilandoselo in bocca.

"Però posso dirti che le tue creazioni culinarie sono anche buone oltre che belle" decise di dirgli. Forse si stava sbilanciando un po' troppo ma lui si era aperto senza remore e lei voleva in qualche modo ricambiare.

"I tuoi complimenti valgono il doppio, Irina" rispose lui, compiaciuto per quell'esternazione che non si aspettava.

"Non abituartici" bofonchiò lei, rimettendosi sulla difensiva.

Markus lasciò cadere la cosa, regalandogli un sorriso da copertina che la fece arrossire.

La conversazione, poi, si spostò su toni più neutri e si ritrovarono a chiacchierare di macchine e della loro carriera da avvocati, sorridendo per le somiglianze che avevano le loro esperienze.

Nel mentre Markus iniziò a riordinare il casino che aveva fatto per preparare quella merenda.

"Non ti preoccupare, lo posso fare io dopo" azzardò Irina.

"Sarei un cafone se ti facessi lavare i piatti che ho sporcato io a casa tua" protestò Markus e Irina si ritrovò a pensare che tutto quello che aveva vissuto in quel pomeriggio era la negazione di tutte le sue convinzioni e che vedere quella novità le piacesse.

Era disposta a tollerare gli uomini se non la facevano marcire in cucina e se non pretendevano da lei rapporti sessuali disgustosi.

O forse era disposta a tollerare un uomo solo, che era anche quello che stava caricando la lavastoviglie con una tuta grigia e un sorriso da mozzare il fiato.

Si salutarono sulla porta d'ingresso.

"Poi non mi hai più accennato a cosa volessi dirmi" disse lei, ricordandosi del pretesto con cui era entrato a casa sua.

"La prossima volta" sospirò lui. Ma forse i gesti erano stati eloquenti.

"Non giocare con me, Markus" lo mise in guardia lei, anche se più che una minaccia suonava come una supplica.

"Non mi permetterei mai di giocare con te, Irina" sussurrò lui, con voce roca, guardandola negli occhi.

Si salutarono con quel tacito accordo di rispetto e Irina chiuse la porta, buttando fuori l'aria che aveva trattenuto.

Sapeva che quel pomeriggio era cambiato qualcosa in lei e tra loro due. Non sarebbe più stata la stessa, e non sarebbe nemmeno più voluta esserlo.

Spazio autrice

Ve lo immaginavate Markus cuoco? Ahahaha.
Gli uomini che ti cucinano prima o poi ti conquistano.

Ricordatevi le stelline!

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