Prima prova - Gli eoni di una vita.

Un candido manto nevoso ricopriva ogni cosa in quella foresta, dai rami spogli e scheletrici agli aghi degli abeti sempreverdi, dal terreno una volta color brunastro ai tetti delle capanne del piccolo villaggio, situato a valle di un grosso e massiccio sperone di roccia che colava a picco su un frastornante e inquieto mare schiumoso.

Il cielo grigio era coperto da una spessa coltre di nebbia, nonostante fosse giorno ormai da tempo non sembrava volersi diradare. Si riusciva vagamente a scorgere la figura spettrale di un Sole giallastro ormai già alto in cielo.

Da un gruppo di capanne uscì una donna avvolta in un lungo e spesso mantello di pelliccia bianca. Si diresse velocemente verso il sentiero che portava alla boscaglia.

Ad ogni passo le gambe affondavano nella neve fino a metà polpaccio ma questo non rallentava la sua rapida camminata. Fuori dal sentiero notò subito una serie di impronte: era passato poco tempo da quando erano state lasciate.

Prese quella direzione senza pensarci due volte, iniziando a correre verso una zona lievemente in salita.

- Yvar! Yvar! Dove sei? - La donna iniziò ad urlare a gran voce. - Yvar avanti esci fuori! - Si sentì il crepitio delle foglie schiacciate. La donna si mise all'erta sfoderando il pugnale bronzeo che aveva attaccato alla cintola.

- Madre! - Una voce infantile rispose a quel richiamo. Spuntò fuori un bambino dai corti capelli biondi. - Madre! - Si buttò tra le braccia della donna che lo accolse protettiva.

- Yvar, dov'è tuo padre? - Chiese allarmata la donna.

- Mi ha detto di fuggire via... un uomo... l'ha preso. - Lei sciolse istantaneamente l'abbraccio e guardò il bambino.

- Ascoltami bene. - Disse la donna appoggiando le mani sulle spalle del figlio. - Devi scappare da qui. - Continuò scandendo bene ogni singola parola. Il bambino annuì. - Ti ho insegnato come combattere, ricordi? Prendi il mio pugnale... - La donna glielo porse per poi alzarsi. - Non voltarti, non tornare indietro. Devi andare via dal villaggio. -

- Madre? Cosa state dicendo? -

Con un gesto repentino della mano si sfilò la collana che indossava, riproduceva uno scarabeo in pietra nera con delle iscrizioni in oro incise all'interno delle ali. Toccò uno dei lati e con uno scatto secco si aprì.

- Segui questa freccia rossa. - Disse indicando la piccola bussola. - Ti condurrà verso luoghi ove sarai al sicuro... -

Il bambino annuì, la madre lo vide scomparire, per sempre, tra i fitti alberi...

- Perché mi stai raccontando questa storia? - Mi interruppe educatamente, con voce flebile, la suora al mio fianco.

La guardai attentamente: indossava semplici abiti scuri, il capo coperto, i lineamenti del viso dimostravano molti più anni di quel che avesse in realtà.

- Questo mondo è cambiato molto dall'ultima volta che lo vidi... - Risposi osservando quello strano strumento di morte che avevo innanzi.

Era una semplice statua, lo si vedeva, tuttavia non capivo perchè il loro Dio fosse rappresentato sofferente e con il cinereo volto immobile macchiato di sangue cremisi.

- Per lungo tempo sono mancata da questi luoghi ed è così che li ritrovo! - Dissi sprezzante alzando il tono di voce.

- Ritorni da un lungo viaggio? - Mi chiese pacatamente.

- Il mio non è stato un viaggio, ma un'incessante battaglia. Aveva il sapore del sangue e l'odore della morte. Un mattatoio di anime e corpi... -

Le frastornanti grida dei guerrieri riecheggiarono per l'immensa piana sotto il caldo asfissiante del Sole a mezzogiorno.

Scintillavano le spade nelle mani degli opliti.

Una pioggia incessante di frecce, dal lato opposto, venne scagliata dagli abili arcieri, le quali saettarono come fulmini, colpendo alcuni uomini dell'esercito nemico che non erano riusciti a ripararsi sotto i grandi scudi bronzei producendo rumori aspri e duri.

Molti furono i giovani di entrambi gli schieramenti che caddero su quella terra arida. Grondava di sangue scarlatto e supplicava quasi, in una muta preghiera, che quello scempio venisse fermato.

Ma questa è la guerra.

E, tuttavia, fu solo l'inizio...

- Chi sei? - Parlò improvvisamente dopo un lungo silenzio, spaventata. Io mi alzai senza proferire parola.

- Ho avuto molti nomi. Ed ora non ricordo la mia vera identità. - Risposi con un lieve sorriso sulle labbra. - Sono stata attirata in questo posto da un'energia antica, remota. Ma essa sta svanendo. Com'è svanito il tempo in cui sono vissuta... -

Il Sole splendeva alto nel cielo, non passava neanche una nuvola. Era di un azzurro luminoso e terso. Una leggera brezza calda riempiva l'aria, si distingueva l'odore dell'erba e la fragranza dei fiori multicolori appena sbocciati. Un tappeto di margherite candide si estendeva sotto i miei piedi.

Ero prigioniera...

Mi sarei potuta liberare facilmente, ma non l'avrei fatto. Mai...

L'avevo promesso a mio padre.

Lo stavo facendo per loro, che mi avevano segretamente aiutata ed ora dovevano guardare la mia disfatta, senza poter fare niente. Avevano gli occhi spenti e vacui, cercavano di guardare oltre la mia figura, fermata forzatamente a terra.

I miei polsi erano bloccati da pesanti catene.

Li odiavo...

Odiavo quegli altri.

Odiavo lo sguardo superbo e appagato di Poseidone, il sorriso beffardo e sfrontato di Atena, ma più di tutti odiavo lui: Zeus.

Avrei potuto ucciderlo e con lui tutti quelli dalla sua parte. Ma io ero superiore: e come eoni prima, avrei lascito scorrere ogni cosa.

- La tua nascita ha portato soltanto sangue e guerre in questo mondo. - Pronunziò Zeus solennemente. - Finalmente il caos che porti verrà rinchiuso per sempre nelle profondità degli Inferi! -

Alle sue parole puntai lievemente il mio sguardo su di lui, che fino a quel momento avevo tenuto incollato a terra. Imponente si stagliava dinanzi a me.

Iniziai a ridere...

Una risata isterica di disperazione che poi si tramutò in un ghigno malvagio e innaturale.

Alzai il volto di scatto, alcune ciocche dei nerissimi capelli caddero davanti ai miei occhi scarlatti come il sangue.

- Sei stato tu a liberare il Caos! -

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