Prova 2

Tutto comincia con un respiro.
Non si deve avere fretta nel gonfiare i polmoni: l'aria deve scendere lenta dal naso alla gola, la gabbia toracica deve raggiungere l'apice della sua estensione con la stessa pazienza del fiume che erode la roccia.
Poi, per un attimo, tutto è silenzio. Per un attimo, tutto è immobile.
Le fronde si quietano dal loro oscillare, il vento tace il suo ululato tra i rami, gli animali drizzano le orecchie, in attesa.
La quiete sgombra la mente, si propaga nel cuore.
Allora, e solo allora, si può cominciare a suonare.

*

Il paese si era riunito nella casa del borgomastro.
Raccolti nella sala principale, gli uomini si guardavano intorno. Alcuni camminavano avanti e indietro, altri sedevano stringendo tra le mani i lembi delle camicie.
Mormoravano tra loro, dicevano "scomparso", cullando così la speranza di poterlo ritrovare, perché non riuscivano ad accettare che non avrebbero più sentito le strade risuonare delle sue risa mentre correva via dopo aver rubato una mela.
La scena più interessante, però, si svolgeva sul retro della casa, dove il borgomastro, l'avvocato, il giudice e il dottore erano riuniti con il panettiere e sua moglie.
Christoph e Tim li guardavano attraverso il vetro, nascosti dietro a un rovo di more. I loro padri e gli altri ospiti sembravano fantocci, deviati com'erano attraverso il vetro alla flebile luce delle candele. In quello spettacolo di marionette mute, decantavano le loro frasi con i gesti: gridavano, scuotevano le braccia, il loro petto si gonfiava e sgonfiava in modo forsennato, il viso si tingeva di porpora.
Soltanto la mamma di Dieter sedeva immobile, accasciata sul proprio ventre, con un fazzoletto ormai logoro stretto tra le mani e gli occhi rossi e gonfi. Non guardava in nessuna direzione in particolare. Le braccia erano abbandonate lungo il corpo e i capelli arruffati, fuoriusciti dalla cuffia, le si appiccicavano al viso, straziando col loro nero la sua carnagione pallida.
- Tu ci credi? - chiese a un tratto Tim. Giocherellava con un sasso, spingendolo avanti e indietro con la punta del piede.
Christoph aveva distolto lo sguardo dagli adulti per concentrarlo sull'amico.
- Sono tutte sciocchezze! - aveva continuato quello, gonfiando il petto, - storie inventate dai grandi per tenerci lontano dai boschi. Ma io non ci credo affatto sai, al fatto che Dieter sia stato mangiato dai lupi. Quello è scappato, credi a me. Lo dice pure mio padre.
- Mi sembra impossibile che abbia potuto lasciare sua madre...
- Quella vecchia megera? Non faceva altro che fargli impastare pagnotte tutto il giorno. Anch'io, al suo posto, me la sarei filata!
- Quindi dici che è ancora tra i boschi?
Tim sorrise. - Perché non andiamo a scoprirlo?

Christoph sentiva che era una pessima idea avventurarsi nel bosco al calare del sole, aveva continuato a ripeterlo mentre percorrevano la strada in terra battuta che si faceva sempre più invasa di arbusti e funghi selvatici.
Tim lo aveva schernito, gli aveva dato del fifone che ha paura della sua stessa ombra, perché solo questo c'era nel bosco: ombre.
Christoph, però, non si sentiva affatto tranquillo. Nel bosco vedeva briganti attaccati ad ogni affilato tronco d'albero, udiva mostri nel verso di ogni uccello, sentiva artigli aguzzi percorrergli la pelle ad ogni spina che si incastrava nelle sue vesti.
Per tutto il tragitto si era guardato indietro, sperando che qualche adulto, scorgendoli, li avrebbe forzati a tornare al villaggio. Tuttavia, quelli erano tutti da suo padre, e a far loro compagnia erano rimasti soltanto gli animali selvatici, ben nascosti tra rami e tronchi. La luce del sole, mangiata dalle fronde spesse, allungava sul suolo sconnesso spettri scheletrici, mentre il legno scricchiolava sotto la forza del vento che scendeva dalla montagna.
Il coprifuoco era suonato da un pezzo.
- Dovremmo tornare indietro, - aveva azzardato. Il labbro gli era tremato e lui aveva sbiascicato le parole che, appena sussurrate, si erano perse nello spazio che lo separava da Tim.
Il ragazzo, che camminava spavaldo avanti a lui, non aveva accennato a fermarsi. Era più piccolo di lui di un anno, ma già lo superava di una spanna in altezza e di molto di più in audacia.
Christoph si affrettò per tenere il passo. Il gracchiare dei corvi e il loro sbatter d'ali facevano da eco alla sua andatura affannata, intreccio di fruscii di foglie e rami spezzati sotto ai suoi piedi.
Quando Tim si era fermato, delle costruzioni umane rimaneva ormai solo un lontano ricordo.
Nel fitto del bosco c'era silenzio.
Le allodole avevano smesso all'improvviso di cantare e il vento aveva strillato tra gli alberi, insinuandosi al di sotto delle loro mantelle. Gli scoiattoli erano fuggiti dalle loro tane, correndo giù dagli alberi si erano radunati con le martore e i ricci. Gli uccelli si erano innalzati in volo, girando in cerchi sempre più stretti sulla loro testa ed emettendo versi acuti che era impossibile pensare fuorisciti dagli stessi becchi in grado di originare, fino a poco prima, docili canti.
Le orecchie tese, le ali stirate, gli artigli esposti a ghermire la terra, gli abitanti di quel luogo si erano mossi all'unisono. La vipera a fianco della lepre, la lucertola in groppa alla lince, la volpe circondata dalle poiane, ribellandosi alle leggi della natura che fino ad allora le avevano vincolate.
Tim li aveva seguiti, immergendosi in quel flusso di prede e predatori che non sembravano voler fare loro del male. Saltellava giulivo, non rispondeva ai suoi richiami e non si curava di dove stava andando né di come avrebbe poi fatto a tornare indietro.
Nell'aria si diffondeva una musica delicata, fatta di note allegre e limpide.
Quand'era iniziata la musica?
Christoph non lo ricordava affatto.
Una cosa era certa però, la melodia si era fatta sempre più forte, sempre più avvolgente, più vicina quasi.
Tim adesso si era fermato, così come tutti gli animali attorno a lui. Si era voltato a guardare fisso nella sua direzione e altrettanto avevano fatto le bestie che lo accompagnavano.
Sulla sua faccia, le labbra si erano stirate tutte da un lato, formando un ghigno.
La musica quando si era fermata?
Christoph non lo sapeva.
Non sapeva neanche quando quell'ombra appuntita si era allungata sulla terra umida accanto a lui.
Avventurarsi nel bosco al seguito di Tim era stata una pessima idea.
L'immagine della sua mamma gli accarezzò la mente. Poi, fu solo buio.

La prima cosa che vide quando riaprì gli occhi fu un bagliore giallo arancio protendersi verso di lui. Poco a poco, quella macchia luminosa assunse i contorni di una fiamma e sotto di essa si palesò il bianco della cera.
La candela illuminava una stanza non troppo grande, arredata con mobili dal legno scuro: un tavolo, una sedia, il letto su cui era disteso e un grosso armadio di fronte a questo.
Lo sguardo di Christoph cadde sulle vetrine che aveva davanti, che lasciavano intravedere al loro interno una moltitudine di ampolle e barattoli di diverse forme e dimensioni. Avvicinandosi a piedi scalzi, cominciò a scorgere radici verdi, gialle o rossicce, semi rotondi o allungati, corpi di lucertole, ragni intrappolati in una gelatina giallastra e cumuli di ossa spezzate.
- Servono per preparare i rimedi curativi -. La voce del dottor von Habsburg lo sorprese alle spalle. Riflesso nel vetro, il padre di Tim lo scrutava dall'alto verso il basso, oltre le lenti degli occhialini sottili che poggiavano su un lungo naso appuntito.
- Hai dormito un bel po'. Il giudice Meyer e tuo padre saranno qui a breve, hanno qualche domanda da farti su ciò che è successo nel bosco.
- Io gli avevo detto che era una pessima idea...
Il dottore lo fermò prima che potesse continuare. - Non è colpa tua, - gli disse, con un tono freddo e distaccato che mai aveva usato con lui prima dall'ora. Sui suoi occhi si vedeva ancora un leggero velo rosso lasciato dalle lacrime. - Ti conviene riposare un altro po', prima che siano qui -.


Christoph non ricordava davvero cosa fosse successo. Se chiudeva gli occhi e si lasciava trasportare dal vento vedeva i tronchi alti e sottili dei pini misti a quelli robusti delle querce, il pelo grigio degli scoiattoli e delle lepri, la mantella rossa di Tim. Aveva camminato verso i piedi della montagna, forse aveva corso. Era caduto incespicando su una radice, il ginocchio ancora gli doleva nel punto in cui i sassolini gli avevano ferito la pelle. L'ultima cosa che ricordava era quella musica, giungeva leggiadra come il vento e gli entrava dentro le ossa, facendolo rabbrividire.
Ripensava a tutto ciò mentre percorreva la strada che portava all'osteria.
Il giorno che lui aveva passato a dormire nella casa del dottore, Hannah era scomparsa. Raccoglieva i fiori dietro l'osteria quando era stata vista per l'ultima volta.
La madre, scorgendola da una delle stanze al piano di sopra, le aveva gridato di rientrare per iniziare a pulire le verdure per la cena. Quando era passata alla stanza successiva e dalla finestra non aveva visto più nessuno, si era sorpresa che la figlia fosse stata così celere ad abbandonare i suoi giochi per darle una mano, tanto che aveva sorriso, compiaciuta. Quello stesso sorriso l'aveva accompagnata diverso tempo dopo di sotto, e lì era morto: di Hannah era rimasto solo il cestino che un tempo era stato colmo di fiori, riverso tra gli incuranti fili d'erba del giardino.
Quando ne varcò la soglia, Christoph si sorprese nel trovare l'osteria priva di gente. I tavoli erano vuoti e dietro il bancone non c'era più la signora ad accogliere gli ospiti. La tragedia che l'aveva segnata aveva buttato un alone di cattivo presagio su quel luogo, e tutti avevano deciso di tenersene alla larga, temendo di incappare nel medesimo pericolo.
Christoph si era avventurato nel retro, seguendo gli echi di singhiozzi intrisi di pianto.
Entrato in camera da letto, non aveva trovato nulla di sensato da dire se non "anche il mio migliore amico è scomparso", così si era seduto a fianco della donna, osservandone la pinguedine scossa dai respiri resi irregolari dal pianto.
- La mia povera Hannah, - ripeteva quella, tra uno strillo e l'altro, - la mia povera Hannah! -. Si soffiava il naso su di un fazzoletto sbiadito per poi ricominciare da capo.
Christoph aveva tentato di consolarla, lasciandosi stringere in un abbraccio appicciocoso e bagnato.
- Era una così bella giornata, - le sentì dire, mentre stava per varcare la porta, - il sole era alto in cielo e qualcuno suonava il flauto.

Hamelin non era di certo una cittadina piccola, ma nemmeno troppo grande. C'era una piazza principale su cui si apriva la chiesa di Marktkirche, poco distanti le case sfarzose delle persone più ricche e tutto intorno dimore sempre più modeste, fino ad arrivare alla catapecchie al limitare del bosco. Queste, costruite con assi marce e prossime a venir giù da un momento all'altro, ospitavano fattucchiere e storpi che mendicavano di giorno e bevevano di notte.
Il vecchio Weber era basso e tarchiato, puzzava di urina e di alcool e si trascinava dietro la gamba destra. Un tempo era stato un tessitore, ma un giorno il telaio gli era caduto addosso, spezzandogli il ginocchio. Da quando non aveva più potuto lavorare, si era abbandonato al vino e aveva sperperato tutti i suoi averi. Era stato relegato ai confini della società e per racimolare quel po' che gli bastava a ubriacarsi giorno dopo giorno aveva intagliato una radice e la suonava soffiandoci dentro tra un colpo di tosse e l'altro.
Christoph era sgattaiolato fuori di casa. Nel cuore della notte, aveva percorso la strada maestra in punta di piedi, strisciando sulle pareti delle case e orientandosi solo grazie al pallore lunare.
Al di là del fiume, le voci degli abitanti dimenticati dalla città si alzavano al cielo, intonando vecchie ballate attorno a un fuoco. Bivaccano così ogni notte, stretti gli uni agli altri a scaldarsi con le fiamme e con il vino.
La baracca in cui Weber viveva era discostata dalle altre. Si reggeva al tronco di una quercia, le assi gonfie di pioggia che la componevano erano tutte sfaldate e disallineate, il tetto spiovente era rotto in più punti.
Christoph l'aveva costeggiata, verificando l'assenza di bagliori o movimenti al di là delle finestre. Poi, dopo un respiro profondo, si era intrufolato all'interno.
La porta si era richiusa alle sue spalle con un cigolio, tagliando fuori rumori e luce. Mentre i suoi occhi si abituavano all'oscurità lesionata solo dai deboli raggi lunari, le orecchie gli rimbombavano dei battiti del suo cuore.
Aveva mosso i primi passi incerti, tastando l'ambiente con le mani e sbattendo le gambe contro gli oggetti accumulati. L'odore nauseabondo amplificava il nodo che aveva allo stomaco a ogni minuto trascorso in quel posto.
Aveva cominciato a rovistare in quel disordine, aprendo bauli e sollevando coperte e scarti di stoffa che ingombravano il pavimento.
Cercava, senza sapere di preciso cosa sperava di trovare. Una botola, una porta nascosta, una cassa abbastanza spaziosa da poter contenere un ragazzino, o tre.
Con la vista ostacolata dalla mancanza di luce, erano le sue dita a setacciavare tutto intorno, desiderose di trovare un segno e terrorizzate all'idea di scorgere qualcosa.
Aveva toccato e tirato, il suo respiro si era fatto sempre più irregolare e le gambe deboli. E in tutto quello strattonare e sollevare, in quel vomito respinto giù a forza lungo la gola, le sue dita avevano sfiorato qualcosa di freddo tra i lembi di stoffa. Sulla superficie di un disco metallico, un serpente si intrecciava a un bastone. Uno stemma, quello del casato del dottore, posto a decoro della chiusura della mantella; lo stesso stemma che aveva visto troppo volte per avere dei dubbi: era di Tim.
Prima che se ne potesse rendere conto, calde lacrime avevano cominciato a bagnargli le guance, le gambe tremanti avevano ceduto e Christoph, ormai abbandonato in quel pezzo di realtà che aveva infranto ogni sua speranza, era caduto per terra.
Con gli occhi sbarrati sul vuoto davanti a sé, non si curava più di nulla.
Nessuna importanza aveva il cigolio della porta che si apriva alle sue spalle, nessuna importanza il boato di musica che l'aveva avvolto prima di venire nuovamente inghiottito nel buio al di fuori di quell'angusta stanza, né valore avevano i passi lenti che pressavano sul pavimento avanzando verso di lui.
Due mani l'avevano afferrato, grandi e forti, l'avevano sollevato per aria senza il minimo sforzo. Non aveva opposto resistenza. Si era limitato a stringere la mantella e a chiudere gli occhi, mentre l'uomo lo trascinava fuori dal capanno.

- Cosa diavolo pensavi di fare, ragazzino?
Riscosso dall'impatto con l'erba bagnata e dall'aria fredda della notte, Christoph aveva trovato la forza di risvegliarsi da quello stato di abbandono e di sollevare le palpebre.
Un'ombra possente si stagliava sopra di lui, il corpo che la originava era proteso verso la sua figura esile.
Christoph boccheggiava e le urla, che nella sua testa lo assordavano, si traducevano in miseri singulti. Aveva contratto i muscoli e provato a muovere le gambe, ma queste non sembravano voler rispondere ai suoi comandi.
L'uomo gli si era allora buttato addosso. - Non ci provare neanche, - aveva detto, bloccandogli le gambe con la sua mole. Con le mani gli aveva serrato le spalle, accarezzandone i contorni fino al collo sottile.
Christoph tremava. I brividi scatenati da quel tocco ruvido gli si dipanavano dal capo fino alla base della schiena mentre lui percorreva con gli occhi sbarrati i contorni di un viso appuntito e glabro.
- Adesso andiamo via di qui.

La casa in cui lo aveva condotto era spartana e mancava visibilmente di un tocco femminile.
L'uomo lo aveva fatto sedere, prendendo poi posto all'altro capo del tavolo. Alla luce della candela tra loro, Christoph riusciva finalmente a vederlo bene. Il sinistro individuo che l'aveva portato via con sé non puzzava di vino e vestiva abiti colorati e di buona fattura.
A seguito di una prima occhiata stupita, non gli ci era voluto molto per riconoscerlo. L'uomo si chiamava Schneider ed era arrivato in città qualche tempo prima. Christoph lo aveva visto parlare con suo padre più di una volta e aggirarsi attorno a casa sua. Sapeva che il padre lo aveva assunto, seppure non avesse idea del lavoro che questi svolgesse.

- Dopo quello che è successo nel bosco, tuo padre mi ha detto di tenerti d'occhio. Hai idea del rischio che hai corso? Se quell'uomo ti avesse trovato in casa sua, non oso immaginare cosa avrebbe potuto farti. Volevi forse fare la stessa fine del tuo amico?
Christoph era rimasto in silenzio, facendo perdere lo sguardo sulle superfici lisce del mobilio. L'uomo aveva corrucciato le sopracciglia in attesa di una risposta.
- No, signore.
Quello aveva sospirato, scivolando indietro sullo schienale alto della sedia. - Abbiamo già perso quattro bambini in meno di una settimana e non è il caso che sparisca anche tu.
- Quattro?
Schneider aveva roteato occhi e battuto la mano sul ripiano di legno, pentendosi di ciò che aveva appena detto. - Stanotte è sparito Heinrich Meyer, il figlio minore del giudice.
A Christoph il respiro si era bloccato in gola. Le labbra si erano mosse, ma la bocca si era bloccata, semidischiusa, incapace di articolare alcun verbo. Quell'uomo non poteva dire sul serio.
- Com'è successo?
- Non è il momento di parlarne, ragazzino. Adesso ti riaccompagno a casa, tua madre sarà parecchio in pensiero -. Detto ciò, si era alzato e lo aveva afferrato per un braccio, conducendolo fuori al freddo della notte.
- Portatemi con voi, vi prego! Voglio essere d'aiuto. Quell'uomo deve pagare per ciò che ha fatto a Tim.
- Non ho bisogno di un assistente.
- Ma ho già scoperto chi è il colpevole! La mantella che ho trovato a casa di Weber è di Tim e quando ero nel bosco, prima che Tim sparisse, ho sentito la musica di un flauto, la stessa musica che ha udito anche la madre di Hannah. Deve essere stato lui!
- Ne terrò conto, ma da adesso stanne fuori.
- Dovete credermi! Nessun altro in città suona il flauto!
- In ogni caso, nessuno dei ragazzi scomparsi era lì.
Christoph aveva smesso di camminare, voltandosi a fissarlo dritto negli occhi. - Credete davvero che siano scomparsi? Credete davvero di poterli ritrovare?
- Non so cosa credere, ma devo provarci.
- Allora, se seguiamo Weber, prima o poi ci porterà da loro! -. Con uno scatto si era proteso in avanti. L'eccitazione gli scorreva forte nelle vene: era speranza o, forse, vendetta.
- Quello che puoi fare per ora è dormire. Lascia che me ne occupi io -. L'uomo lo aveva guardato severo, pronunciando le ultime parole con un tono che non ammetteva repliche. Poi, aveva atteso che Christoph varcasse la soglia di casa, prima di sparire nella notte.


Schneider non aveva acconsentito a che lo accompagnasse, così Christoph lo aveva seguito in giro per la città. Per le strade le donne si avvicendavano al mercato mentre gli uomini lavoravano il ferro o il legno davanti alle botteghe. Dei bambini non c'era traccia. I genitori, ormai terrorizzati, li tenevano chiusi in casa, convinti così di poter evitare che gli scabrosi fatti dei giorni precedenti potessero ripetersi.
Schneider si era diretto dal giudice per sentire nuovamente la sua versione dei fatti, poi era passato dall'oste e dal fornaio.
I resoconti dei genitori dei bambini scomparsi non variavano. I particolari, anzi, si facevano sempre più confusi, deviati dal dolore e dal fantasma di quei figli strappati alla terra troppo presto.
Davanti casa del fornaio, nascosto dietro dei sacchi di farina, Christoph graffiava la pietra ruvida, sollevando nuvole di polvere. Tutto quel girovagare era assolutamente inutile.
Si era accasciato su uno dei sacchi, osservando le persone che gli scorrevano davanti. Grassi e magri, alti e bassi, si guardavano tutti dietro le spalle con fare circoscritto, tenevano le mani nelle tasche per controllarne il contenuto e mormoravano l'uno con l'altro tenendosi a distanza. Non c'erano sorrisi sui loro volti, né toni allegri nelle loro voci.
Soltanto un uomo, dall'andatura zoppa e barcollante, col viso rubizzo, avanzava felice e incurante del grigiore che tingeva la città. Diffondeva nell'aria note acute e queste, a Christoph, sembravano rimbombare tra i muri delle case e propagarsi nel suo petto. Il cuore aveva cominciato a battergli forte, mentre il sangue fluiva rapido gonfiandogli le vene di gambe e braccia, preparandolo alla lotta.
Weber camminava lento, suonando e ridendo. Senza pensarci, Christoph aveva cominciato a seguirlo, tenendosi a distanza, con i pugni serrati e i denti stretti.
Le strade si erano fatte sempre più vuote, i ciottoli avevano lasciato il posto al terriccio bruno e gli alberi si erano infittiti. Weber aveva varcato il ponte vacillando e si era inoltrato poco a poco nel bosco, continuando a suonare.
Christoph si era guardato alle spalle, a osservare la strada vuota. Si sentiva preda di un déjavù, davanti a una muraglia di alberi che lo intimorivano, con la paura di rimanere indietro, di perdere di vista i lembi delle vesti di colui che lo precedeva.
Si era inoltrato tra gli alberi, seguendo il profilo robusto dell'accattone, ma la giacca marrone di questo si era confusa con la corteccia ruvida fino a sparire tra i tronchi.
Persa ogni traccia, Christoph aveva cominciato a vagare, mentre il sole alle sue spalle si faceva sempre più basso.
Poi aveva sentito la musica. Veniva da poco più avanti. L'aveva seguita, inoltrandosi tra i rami. Mentre avanzava, una figura che si muoveva poco più avanti aveva catturato la sua vista: era una ragazza.
Aveva riconosciuto Katryna dai lunghi capelli neri che le scendevano fino alle spalle. La bella figlia dell'avvocato camminava leggiadra, senza guardarsi intorno, i suoi passi guidati dalle note. Rideva, stendendo le mani in avanti come a voler afferrare qualcosa davanti a sé.
Aveva camminato fino ai piedi della montagna. La parete rocciosa era ruvida e rivestita di muschi e licheni. La musica rimbalzava sulla sua superficie, amplificandosi e moltiplicandosi.
Al ritmo delle note che si erano fatte più rapide, la parete aveva cominciato a tremare e la roccia aveva franato, aprendosi nel mezzo. Lo squarcio che si era creato aveva illuminato una grotta, profonda tanto che la luce non riusciva a illuminarne il fondo.
Katryna aveva mosso passi decisi verso quella bocca che la chiamava a sé, in toni adesso più acuti e spettrali.
Dietro di lei si era palesato un uomo, basso, dalla giacca marrone, con in mano un flauto rudimentale.
Christoph aveva sentito il gelo che l'aveva paralizzato fino a quel momento sciogliersi nel fuoco della rabbia. Non avrebbe permesso che quell'uomo la spingesse all'interno della montagna.
Aveva cominciato a correre, saltando radici e strappandosi i vestiti tra i rami, fino a quando non gli era stato addosso.
Erano caduti entrambi.
Weber aveva urlato qualcosa, col suo alito putrido e già intriso di alcool. Aveva poi spostato il peso del suo corpo robusto su quello esile di Christoph, schiacciandolo a terra.
Il peso sempre maggiore sul suo petto gli toglieva il respiro. L'uomo si divincolava sopra di lui, mentre le orecchie gli pulsavano e la vista gli si offuscava sempre di più.
La musica vivace e spettrale rimbombava tutto intorno, assorbendolo completamente.
Poi, il peso si era fatto più leggero, il mondo aveva smesso di girare intorno.
Il corpo di Weber si era sollevato nell'aria ed era sparito nell'apertura della roccia.
Christoph aveva allungato la mano, cercando di afferrare quella figura. I capelli corvini di Katryna avevano volteggiato nell'aria un'ultima volta, prima che i lembi della montagna si richiudessero sopra di lei.

Christoph fissava la roccia, impotente. Katryna era sparita, insieme all'uomo che l'aveva rapita e con lei anche i suoi amici.
Ancora una volta, non era stato in grado di fare nulla per impedirlo.
Questo pensiero continuava a tormentarlo, che non era stato preso. Che non era stato scelto, perché Tim era stato scelto. E scelti erano stati anche Hannah e Dieter e Heinrich e Katryna, ma non lui.
Schneider continuava a picchiare sulla parete della montagna, cercando il varco in cui avevano visto sparire Katryna poco prima.
Imbambolato in piedi a fissare il muro di roccia, Christoph rimuginava. I pensieri correvano veloci nella sua testa, le immagini si intrecciavano e i fili si annodavano gli uni agli altri.
I volti dei suoi amici e conoscenti gli scorrevano davanti agli occhi. Bambini tutti più o meno della stessa età, dalle vite incrociate poiché la città non era molto grande.
Spariti, in quel modo così assurdo, con lo sfondo di una musica soave che era solo un canto di sirena a coprire rocce aguzze.
Si era ritrovato al di fuori del bosco. Ora lo circondavano le vie della città e lo sbatacchiare di utensili al calar del sole. Schneider camminava davanti a lui, le gambe sottili strette nella calzamaglia verde. Agganciato alla cintura portava un flauto.
Christoph lo prese tra le mani. La superficie era liscia e finemente levigata, i buchi sulla lunghezza perfettamente allineati tra loro e dai contorni netti e definiti, il legno pregiato. Sulla superficie inferiore, in prossimità del punto in cui poggiavano le labbra, c'era intagliata una S.
- Lo hai capito? -. Schneider lo fissava dall'alto verso il basso, un ghigno gli solcava il volto da parte a parte.
- Tu? Ma... perché?
- Perché? Oh, di sicuro sei troppo piccolo per ricordare. Ti sei mai chiesto perché in questa città non ci sono topi?
Fece una pausa, curvando la sua figura longilinea sopra di lui.
- Lo immaginavo. Devi sapere che molto tempo fa questa città era dominata dai topi: mangiavano il cibo, distruggevano le case, terrorizzavano tutti gli abitanti. I gatti erano fuggiti e niente poteva fronteggiare le pantegane.
Poi, un giorno, un pifferaio arrivò in città -. Gli prese lo strumento dalle mani, accarezzandolo dolcemente con le dita sottili.
- Il borgomastro mi promise mille monete d'oro, ma dopo che ebbi annegato i topi nel fiume si tirò indietro, e con lui tutti gli abitanti di questa città. Avari ed egoisti, questo sono, e ho atteso ben nove anni per dargli una lezione. Ma sono stato clemente, ho dato loro una possibilità. Ho dato loro l'opportunità di redimersi, di pentirsi per i loro sbagli, di salvare i loro figli. Eppure loro non hanno neanche provato a trovare una soluzione, a curarsi gli uni degli altri. Meschini e bugiardi, ancora una volta si sono creduti al di sopra di tutto, hanno pensato di poterne uscirne illesi senza aver pagato per quello che mi avevano fatto. A partire da tuo padre.
- Per delle monete d'oro? Hai ucciso i miei amici per delle stupide monete?! -. Le lacrime gli scendevano calde lungo le guance mentre gridava.
Il pifferaio rise. - No, non per l'oro in sé, ma per l'umiliazione che mi hanno fatto subire.
- Mio padre ti ha preso in giro, ma gli altri? Cosa c'entravano loro?
- L'oste mi ha buttato fuori tenendosi i miei pochi averi perché non potevo pagargli la stanza. Ho chiesto aiuto all'avvocato, il padre di Katryna, che mi ha portato davanti al giudice Meyer. A testimoniare sono venuti il dottore e il panettiere che quella mattina si trovavano lì, uno per assistere la moglie dell'oste durante il parto e l'altro per consegnare il pane. Indovina un po' a chi è stato favorevole il verdetto?
- E perché mi hai salvato?
- Povero sciocco, ti ho solo lasciato per ultimo per mandare un messaggio. Per far vivere tuo padre nell'angosciosa attesa di quello che sarebbe stato il tuo momento. Ora, quel momento è arrivato e, con te, pagheranno anche tutti gli altri, tutti quelli che sono rimasti a guardare, ridendo di me -. Così dicendo, aveva portato il piffero alle labbra e aveva cominciato a suonare una melodia dalle note veloci e allegre. Christoph si era sentito stranamente leggero, improvvisamente felice. Aveva cominciato a ridere e saltellare tutto intorno, seguendo il pifferaio lungo le vie della città. A lui si erano uniti gli altri bambini del luogo, uno dopo l'altro erano usciti dalle loro case e avevano formato una processione sempre più lunga e allegra.
Avevano camminato attraverso quel bosco che non faceva più paura, fino ai piedi della montagna che si era aperta magicamente sotto ai loro occhi.
L'illusione di un mondo di giochi e divertimento li attendeva dall'altra parte, li attirava a sé con promesse di una vita meravigliosa.
Caddero tutti sul fondo della grotta, inghiottiti per sempre nel ventre della montagna.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top