Strani oggetti caduti dal cielo

Una ragazza stava correndo per il parco. Aveva il fiato e una cartella che minacciava di caderle ad ogni balzo. I lunghi capelli castani erano lasciati liberi e gli occhi schizzavano da una parte all'altra della stradina di terra e ciottoli, attenti ad individuare ogni piccolo ostacolo.
"Dannazione a quella fottuta sveglia!" Pensò, soffiando su una ciocca che, ostinata, continuava a caderle sugli occhi. "Possibile che suoni sempre in ritardo?! Prima o poi dovrò cambiarla!" Continuo ad inveire sull'oggetto dalla vitale importanza eppure così odiato.
Saltò un bambino che probabilmente stava muovendo i suoi primi incerti passi e schivò l'attenta quanto pessima fotografa madre del suddetto piccolo. In un'altra occasione probabilmente si sarebbe fermata ad osservarli entrambi, forse anche emettendo piccoli urletti isterici ad ogni passo del bebè, ma in quel momento non se lo poteva assolutamente permettere: era in un ritardo mostruoso e alla prima ora aveva quella insopportabile arpia della Pigoletti, la sua fantastica professoressa di greco.
Finalmente vide l'uscita del parco e, non appena l'ebbe raggiunta, girò a destra. Si fermò una manciata di secondi reggendosi i fianchi per riprendere fiato accanto al semaforo, poi scattò il verde e riprese la sua disperata gara contro ogni legge fisica e temporale possibile per arrivare con appena dieci "gravissimi, intollerabili ed inammissibili" minuti di ritardo.
Attraversò la strada e continuò a correre per la piccola viuzza del parco che continuava dall'altra parte della strada trafficata.
Era un posto bellissimo, quasi magico, avrebbe osato dire, peccato che in quel momento, come in tutte le altre mattine, non aveva il tempo per ammirarlo. Era sempre di fretta, difetto di famiglia a quanto pareva. Ma nonostante ciò, sua madre non mancava mai di rimproverarla per i suoi troppo frequenti ritardi, il tutto mentre anche lei correva per non tardare in ufficio. Una contraddizione vivente sua madre.
Era così persa nei suoi pensieri e così occupata nel non inciampare in qualche sassolino ostinato ribelle del giardiniere, che non notò minimamente la scia bianca che, per un soffio o per una sonora botta di fortuna, non la colpì in pieno. Sentì però il rumore che fece schiantandosi contro gli alberi.
Bloccò di colpo la sua corsa per voltarsi verso il rumore. Alla sua destra vide un buco, o più precisamente, dei solchi sugli alberi che in sequenza formavano ciò che la sua mente elaborava come un buco.
Guardò alla sua sinistra, ma non scorse nulla che potesse sembrarle troppo strano.
"Guardi sempre per terra, prima o poi ti verrà la gobba!" Le ripeteva sempre suo padre è in quel momento si maledì per quel suo vezzo. Se avesse guardato davanti a se o per aria, forse avrebbe notato da dove era arrivata la causa di quella carneficina di alberi.
Prese un lungo sospiro, poi mollò lo zaino a terra, pensando che la scuola in quel momento non era poi così importante, sempre che lo fosse mai stata, e seguì il percorso creatosi dalle tracce sugli alberi. Solo pochi passi e le sembrò di scorgere qualcosa. Sorpassò un paio di cespugli mal tenuti e ciò che vide la fece quasi urlare.
C'era una ragazza. A terra. Svenuta.
Che doveva fare? Doveva soccorrerla? O chiamare un ambulanza? Ma perché non aveva seguito quel corso di primo soccorso che promuovevano alla sua scuola? Forse doveva chiamare i soccorsi, ma il suo cellulare era nel suo zaino. Doveva tornare indietro e lasciarla sola? Che doveva fare?!
Dopo essersi schiaffeggiata un paio di volte per recuperare la calma, i vecchi metodi della nonna funzionavano sempre, si avvicinò alla malcapitata. Le controllò, o provò a controllarle, il polso e stabilì, abbastanza a caso, che il battito c'era. Quindi era solo svenuta. Già, "solo" svenuta.
Si fermò un attimo ad osservarla. Aveva dei capelli bianchi, no, non biondo chiaro, proprio bianchi. La pelle era nivea e la sua intera figura le sembrava fragile e delicata, come se si fosse potuta rompere da un momento all'altro. Eppure era sopravvissuta a una bella caduta, perché... Insomma, era certa che avesse fatto un bel volo. Forse doveva davvero chiamare i soccorsi.
Fece per tornare indietro, ma dei rumori la bloccarono lì dove era. Erano delle voci, di uomini. Forse erano i soccorsi? Che qualcuno avesse visto la ragazza cadere ed avesse avvisato le autorità competenti? Fortuna che c'era gente al mondo più sveglia di lei.
Tornò verso la ragazza, la quale mugugnò qualcosa di sconnesso. Allarmata, le si avvicinò.
«... Yant... Phyant... Fischietto... Devo... Phyant...»sussurrava con voce flebile. Crystal si chiese cosa fosse quel "Phyant". Forse era una persona? Se si, chi era? Il suo ragazzo? Suo fratello? Un amico?
Poi continuò a guardare la ragazza e notò che al collo aveva uno strano ciondolo. Era un fischietto. Un fischietto trasparente. Istintivamente lo prese, senza conoscerne il motivo. Poi si accorse del suo gesto e se ne pentì; rubare a qualcuno di indifeso non doveva essere un'azione così nobile. Così fece per rimetterlo a posto, quando due uomini sbracarono dallo stesso cespuglio dal quale era venuta lei.
Di una cosa era certa: non facevano parte nè dell'ambulanza nè tantomeno della polizia. A meno che non avessero deciso improvvisamente di adottare delle uniformi nere e piene di coltelli attaccate alla cintura, il che, per carità, con i tempi che correvano ci poteva anche stare. Ma, essendo suo padre un poliziotto, non si ricordava che quella mattina fosse uscito in quel modo.
Quindi, indietreggiò, avvertendoli come una minaccia. Che volevano?
«Oh, eccola qui. La nostra piccola principessina.»disse uno dei due, il più alto. Era pelato ed aveva un viso magro dal quale risaltavano gli zigomi. Gli occhi erano neri, come la pece e davano un senso di vuoto.
«Già, ma chi è l'altra?»chiese il secondo, indicandola. Era più basso era aveva una corporatura più massiccia del compare. È decisamente più capelli, ma decise che farglielo notare non fosse così saggio.
«Non lo so, ma tiene in mano il fischietto, il nostro fischietto.»ribattè il primo. La castana osservò l'oggetto che te va in mano, allarmata. E ora? Che doveva fare?
Si alzò in piedi, cercando una via di fuga che non trovò. Stava per cedere e consegnarsi ai due, quando una mano le afferrò la caviglia. Guardò in basso e vide la ragazza, con il volto contratto in una smorfia sofferente, che la fissava.
«Deve essere usato per il suo scopo.»le disse semplicemente. La castana le rivolse uno sguardo confuso, ma prima che potesse esprimere i suoi dubbi, l'uomo più basso le interruppe.
«Daccelo ragazzina, e non ti sarà fatto niente. Fidati, vogliamo solo il fischietto.»le disse l'uomo, tendendole la mano.
«E, inoltre, sarebbe inutile usarlo, tanto non ne saresti in grado.»aggiunse il pelato, con un ghigno.
Okay, non brillava certo per intelligenza o particolari doti, ma un fischietto lo sapeva pur suonare, no? Pensò, leggermente ferita nell'orgoglio. Non era una così totale incapace, insomma.
Così, con uno sguardo di sfida, soffiò dentro il particolare oggetto. Ma il suono che ne uscì non era stridulo, come quello che emetteva la sua insegnate di ginnastica per invogliarla a correre, era più basso, più profondo, quasi melodioso, avrebbe osato dire.
I due uomini scoppiarono a ridere.
«Visto? Te lo avevo detto che non ci saresti riuscita, quindi ora dammelo, prima che diventi cattivo.»le disse nuovamente l'uomo, con più insistenza.
Crystal deglutì, che doveva fare? Prese un sospiro e, cono uno sguardo di scuse rivolto alla ragazza stesa accanto a lei, fece per porgere l'oggetto all'uomo, ma un rumore e un vento impetuoso la bloccarono.
Si guardò attorno, in cerca dell'origine di quegli eventi, e vide, appena sopra di se, un'immensa figura nel cielo. Era bianca ed enorme.
Atterro vicino a loro, schiacciando molti alberi sotto il suo peso. Gli uomini scapparono, ma in quel momento non se ne curò.
Quella creatura era... Era... Un... Drago.
«Buongiorno mortale.»le disse. E lei fece la cosa che le venne più naturale al momento.
Svenne.

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