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Il grande giorno. Il grande giorno era arrivato. Tutto il paese era in fermento e, in un qualsiasi angolo della città, potevi vedere stendardi e bandiere, gente festosa e musica. Quel paesino aveva pregato notte e giorno per una visita del terzo figlio del sovrano. Persino il tempo atmosferico gioiva con loro: c'era un vento gentile e calmo, insieme ad un sole non troppo torrido e alcune negligenti nuvole, giusto per rendere il tutto ancora più perfetto. Poteva sembrare un dipinto guardato dall'alto di un camino mozzato di una delle casupole ammassate per le strade. Si mormorava in giro che ovunque la famiglia reale andasse, avrebbe portato fortuna, poco importava quale membro fosse.

Quel piccolo paesino, situato a nord del regno, in una zona quasi dimenticata e superficialmente disegnata nelle mappe, soffriva da tempo di alcune carestie e cattivi raccolti. Ovviamente era un modesto villaggio rurale e in molti avevano emigrato da là per raggiungere la capitale e fare fortuna, ma i rimasti non poterono far altro che subire le difficoltà che si presentavano giorno dopo giorno, e fare i conti con la paura che la situazione peggiorasse. Avevano sperato che la famiglia reale, chiunque, venisse anche da loro, un giorno o l'altro, che portasse fortuna e speranza per fare rialzare l'economia del paesino; tuttavia pensavano fosse impossibile, poiché nessuno mai si era avventurato fin laggiù.

E invece il terzo figlio quel giorno era venuto a visitarli. Addirittura, sentirono che aveva acquistato una modesta villetta sul lago e che avrebbe trascorso lì del tempo, insieme ad un po' del suo seguito e ovviamente a sua moglie. I due si erano sposati di recente, meno di un anno, ed erano stati acclamati come la coppia più bella di tutta la corte. Tutti dicevano che era chiaro che i due avessero convolato a nozze per amore, che nessuno avesse forzato la loro unione, pettegolezzi sostenevano che anche lei veniva da un piccolo villaggio più a sud della capitale e, riguardo lui, sostenevano che fosse il più gentile tra i suoi fratelli. Insomma, sembrava una favola.

Eppure in tutte le favole qualcosa deve andare storto. Chiunque è consapevole che una storia non è una storia se manca l'antagonista.

Trascorsero tre giorni, continuava ad esserci festa e allegria in giro, nonostante ancora non si fosse vista l'ombra di miglioramento ma tutti erano fiduciosi che qualcosa sarebbe successo prima o poi. Ma non poteva, non più almeno. La principessa arrivò al villaggio da sola, a piedi nudi e con una prestanza irriconoscibile. Tutti stentavano a comprendere che lei fosse la stessa amabile e composta ragazza che avevano visto sulla carrozza tre giorni prima. Piangeva anche e non si impegnava a nascondere le gocce che le cadevano dagli occhi. Attirò l'attenzione fermandosi in un mezzo ad una larga strada e in molti accorsero da lei.

La sua voce spezzava in due le parole che provava a pronunciare, il respiro tremava e il naso era rosso a causa del pianto. Era distrutta, ed era abbastanza comprensibile. Riuscì a fatica a dire che suo marito era stato assassinato sulla sponda del lago proprio quella mattina — i servitori che erano andati a cercarlo avevano rinvenuto il corpo — e che quella rabbia che ora aveva dentro, si sarebbe tramutata in secoli di sventura per quel piccolo paesino, fino a quando di esso non sarebbe rimasta solo polvere. Tutti impallidirono dopo quell'immediato annuncio: tutti sapevano che con o senza forze sovrannaturali — se ce n'era qualcuna che faceva il proprio gioco in tutte quelle vicende — avevano la concreta autorità di distruggerlo per davvero.

Cominciarono a puntare il dito gli uni contro gli altri, posseduti dall'immediato panico. La preoccupazione prese il posto dell'allegria, sibilò tra le strade, ora grigiastre, come la nebbia di Gennaio; tutto si era spento sotto l'influenza di un paio di parole. Anche se continuavano ad accusarsi a vicenda, nonostante sapessero che chiunque sostenesse di essere innocente lo era davvero, poiché nessuno aveva avuto la spavalderia di andare ad importunare il principe nella sua provvisoria residenza sul lago, non trattennero parole pesanti né tantomeno trattennero le loro mani nelle tasche. C'era confusione, in meno di un'ora la cittadina cadde nell'oblio del caos: c'erano risse per le strade tra sconosciuti, gente che fino a quella stessa mattina stava avendo uno snack assieme si insultava, e la tensione divorava e s'impadroniva della loro sanità mentale cittadino dopo cittadino.

Nel pomeriggio, arrivò la polizia direttamente dalla capitale: le strade si decorarono di soldati dai volti di marmo; arrivò anche il primogenito della famiglia reale. Nessuno sapeva quanto il suo cuore stesse sforzandosi di non cedere al dolore della perdita del fratellino; brandiva la propria compostezza come le briglie di un cavallo; lanciava fugaci occhiatine ai cittadini che lo guardavano emanare la propria superiorità dalla sella del suo cavallo. Vedeva le loro pupille tremare, le loro mani sudare e le vecchiette che piangevano, pensando di non voler trascorrere i loro ultimi giorni in un villagio destinato alla rovina, a causa di un grosso delitto.

Ben presto cominciarono ad interrogare tutti i cittadini: la strada venne chiusa al passaggio di carrozze e cavalli senza alcuna eccezione, nessuno poteva lasciare il villaggio, vennero poste domande persino ai bambini; chiaramente era solo qualche informazione che poteva essere di poco conto, ma si sa che la maggior parte delle volte, i bambini non badano a quello che dicono. Le domande erano molto più comprensibili e leggere, ma qualsiasi cosa era importante in quel momento: il più piccolo dettaglio può sempre fare la differenza. L'esercito reale lo sapeva e aveva quell'idea impiantata nel cuore da quando erano diventati soldati al servizio del regno.

Nel frattempo il principe Peter, primogenito della famiglia, si era recato alla villetta sul lago e, insieme ad un medico di corte, ascoltò le notizie che egli rinveniva sul suo corpo. Era uno spettacolo terribile per lui, vedere il volto del fratello che alternava un biancastro e un violaceo. Le labbra erano leggermente suddivise, le palpebre erano cadute sugli occhi e il resto del corpo era adagiato sotto un lenzuolo bianco. Peter non si lasciò mai trasportare dalle emozioni per la perdita del fratello, mai, neanche negli anni avvenire, ma posso garantire che sentire parlare di lui, della sua vita stroncata nel fiore dei suoi anni, gli faceva restringere sempre il cuore e magari bagnare la sclera dell'occhio.

Lui era in quella stanza con il medico e con il generale, che aveva insistito nell'accompagnarlo, e con la quale aveva un approssimativo rapporto d'amicizia: erano legati da una cordicella di lino che era facile spezzare.

«Posso dire con certezza che l'arma del delitto e un fucile da caccia.» informò il dottore dopo un'attenta riflessione.

«Ci sono molti in questo paesino che hanno un fucile da caccia.» il generale non rifletté due volte prima di rendere noti i propri pensieri a riguardo. «Potrebbero anche averlo tutti.»

«Generale si ricordi il motto del nostro esercito.» lo riprese Peter dopo aver sentito con quanta maldestrezza avesse afferrato la conclusione del dottore. «Te lo dimentichi troppo spesso; in questo sei ancora molto carente.»

Il generale deglutì e abbassò la testa, accettando il "rimprovero". Non era solo la sua impulsività a tradirlo, ma anche la sua mania di protagonismo che balzava fuori nei momenti meno opportuni, come quello ad esempio.

«Per esempio, ora sappiamo che chiunque abbia sparato lo ha fatto da una grande distanza. Perciò potrebbe ancora avere il fucile con sé come molti altri, perciò il mistero si complica.» analizzò il principe Peter.

La loro analisi venne interrotta da un urlo che strisciava su per le scale: irruppe nella stanza il tenente colonnello che si stava preoccupando delle interrogazioni nel centro della cittadina. Un uomo aveva confessato di essere lui l'omicida del principe. Non aveva opposto resistenza: si era seduto al tavolo proprio davanti al tenente colonnello e, prima che potesse fare qualsiasi domanda, disse "sono io che ho ucciso il principe"; tranquillamente, senza pensarci due volte. Tuttavia c'era gente che sosteneva che stesse dicendo delle menzogne nel tentativo di salvare il villaggio.

Quando Peter arrivò, lo vide seduto sulla sedia con le gambe incrociate, le mani intrecciate e gli avambracci sul tavolo. Nonostante la sua immediata confessione, adesso sembrava teso. Ecco perché molti ripetevano che stava costituendosi innocentemente, assumendosi colpe che non gli appartenevano. Era un semplice pescatore, uno come tanti altri, aveva i capelli lunghi e neri, dei baffetti e la pelle abbronzata. Si vedeva che non si prendeva molta cura di sé e quel giorno puzzava particolarmente. Tuttavia, anche se nessuno aveva contatti stretti con lui, e non si sapeva molto oltre al fatto che pescasse per guadagnarsi da vivere, era conosciuto per essere gentile e socievole; lo si vedeva spesso giocare a carte insieme a coetanei.

Il principe si sedette esattamente di fronte a lui, mentre la principessa teneva a bada i propri istinti omicidi per non cedere ad azioni barbare, come quella di cui suo marito era stato vittima.

«Quindi lei ha ucciso mio fratello?» chiese Peter.

«Esatto.» rispose serenamente il pescatore.

«No mente!» urlò una donna di mezza età in mezzo alla gente che si era accalcata là in giro. «Conosco quest'uomo. Era un compagno di bevute con mio marito. È un uomo buono, talmente buono che si sta prendendo la colpa per qualcun altro per salvarci tutti. Per favore non lo faccia. Non lo merita!!» la donna continuava ma Peter non si disturbò neanche a guardarla. 

La pena era quella di morte tramite impiccagione nella piazza della capitale. E che egli fosse davvero colpevole o meno, stava costituendosi, quindi se — in un ipotetico caso — il reale colpevole non sarebbe venuto fuori, lui sarebbe stato giustiziato. Peter attese pazientemente che le prediche della donna concludessero prima di proseguire con il proprio interrogatorio. Le sue mani erano rannicchiate in pugni ed erano distanti sulla superficie legnosa del tavolo. La sua lingua si asciugò di colpo, quando riguardò dentro gli occhi dispersivi del pescatore. Effettivamente emanava una puzza di pesce insopportabile, ma non avrebbe ceduto alla sua intolleranza.

«Esponga le sue motivazioni.» proseguì Peter mantenendo il temperamento calmo.

«Voi lo sapete già, vostra altezza.» rispose il pescatore ridacchiando malignamente. «Dovrei forse... urlarlo qui davanti a tutti, affinché tutti sappiano chi è davvero la nostra famiglia reale?» continuò ancora con quel timbro subdolo.

«Portatelo via!» urlò Peter.

Il generale e il tenente colonnello lo ammanettarono e lo sollevarono dalla sedia, mentre Peter decise di andare a consolare la cognata ma, principalmente, voleva dare le spalle a quell'uomo. Non voleva guardare un'ultima volta l'assassino di suo fratello: comprese che quel gesto non era stato compiuto da banale odio, era stato compiuto come mezzo per incastrarli. Non aveva idea di come aveva potuto scoprire quello che teneva in serbo nella sua mente, che non era ancora fuggito via dalla sua bocca, ma era una minaccia e ora stava per essere ucciso. Tutto sarebbe tornato al proprio posto in circa tre giorni. Lo portarono via prima che avesse potuto dire qualcosa di troppo su quello che sapeva. Ogni cosa sarebbe stata insabbiata e dimenticata.

Il giorno dopo avvenne il grande funerale del terzo figlio del sovrano.
Il giorno dopo ancora il pescatore venne giustiziato.

Prima di essere portato in piazza, Peter venne da lui, nella sua piccola cella: indossava già i vestiti da prigioniero che avrebbe indossato durante l'impiccagione, stava mangiando delle uova bollite tagliate a metà. Peter si sedette di fronte a lui, volendo sapere se quello che minacciava di dire era ciò che pensava; non una parola sbagliata uscì da quelle sottili labbra.

«Quella leggenda secondo la quale voi e tutta la famiglia reale portate buon auspicio ovunque andate, non è solo una leggenda o una causalità. Voi avete ucciso per questo potere. Ricordatevelo.» puntò un dito sprezzante contro il suo naso.

«Ne sono consapevole. Ma è stato per il nostro regno da sempre, vogliamo solo il meglio per quello che è di nostra proprietà.»

«Si... privando il mare del proprio meglio. Il furto di quelle cinque conchiglie che davano austerità alle acque dolci e salate, ha fatto in modo che ora nel mare e nei fiumi e nei laghi non c'è più anima viva. È raro che la pesca vada bene. Il regno del mare ne risente. Il prezzo del pesce è alle stelle, non ha mai notato?» lasciò cadere la forchetta sul vassoio. «Avreste potuto usare la vostra potenza, buona volontà, fantasia! Invece no.»

Due guardie vennero a portarlo via. Peter rimase lì a pensare a quanto aveva detto: suo padre, in gioventù, aveva rubato dal mare cinque conchiglie che portavano produttività ovunque fossero poste, le acque erano vivaci, colorate di pesci e coralli e, alcuni marinai, parlarono anche di sirene qualche volta, ma dopo che il re si impossessò di quelle conchiglie, il potere passò alla famiglia reale; il mare divenne tetro e morto.

E una vita era diventato il prezzo da pagare.

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