1' STEP
-PASSIONI
Comincio a legarmi i lunghi capelli color oro che normalmente mi accarezzano le spalle robuste e la schiena asciutta in una coda alta.
Abbasso lo sguardo sulle gambe atletiche per assicurarmi che i pantaloni mi coprano le ginocchia sbucciate e piene di lividi. Le scarpe sono ben strette intorno ai piedi che, al contrario del resto del mio corpo, sono più piccoli della norma.
Indosso le protezioni per i gomiti e mi trovo costretta ad allargarli; la dimensione dei miei muscoli sta diventando un problema, anche se probabilmente sono solo un po' paranoica da brava sedicenne.
Alzo lo sguardo sulla parete di roccia di fronte a me e cerco la la cima finché non mi tirano i nervi del collo, ma sono costretta ad abbassare il capo; il colore chiaro dei miei occhi azzurri mi ha sempre creato dei fastidi con la luce del sole.
Infilo i guanti che mi lasciano scoperte le dita e mi avvicino alla parete. Sfioro la roccia con i polpastrelli, appoggiando la fronte su una sporgenza e respiro profondamente. Metto i miei pensieri nelle mani della montagna, così calma, forte e silenziosa... Proprio come me.
Le affido le mie preoccupazioni, il mio nervosismo e le mie paure, finché non mi svuoto totalmente di qualunque cosa che non sia la determinazione di arrivare lassù.
Riapro gli occhi con una specie di scatto e li punto sulla roccia cercando il primo appiglio, che sarebbe stato il mio primo passo verso l'alto, verso quella luce abbagliante che mi riscaldava.
Appoggio saldamente le dita sulla parete ruvida, faccio lo stesso con un piede e mi isso in su. I muscoli delle braccia si ingrossano vistosamente e le vene sporgono in fuori dal polso al gomito. Salendo, mi accorgo che la roccia chiara ha quasi lo stesso colore della mia pelle e questo mi diverte; mi immedesimo in un camaleonte scalatore e quasi mi viene da ridere.
Ma devo restare concentrata. In questo silenzio surreale trovo la mia pace e la mia serenità.
Molti trovano strano che qualcuno preferisca scalare montagne agli sport di gruppo, ma quello che non capiscono è che la roccia è il mio gruppo. Lei è la mia compagna di squadra, che mi aiuta a raggiungere lo scopo; ovvero, arrivare lassù in cima. Avvicinarmi al sole che da secoli scalda la sua parete, con i capelli mossi dallo stesso vento che ne modella la forma. In questo momento sento di essere un'unica cosa con la montagna, un'entità non tanto diversa da quello che sono io.
Non tanto diversa da quello che siamo tutti, perché la natura fa parte di noi e magari è proprio questa parte più antica e primordiale a permetterci di raggiungere i nostri obbiettivi nella vita.
Nel mio caso sicuramente è così.
Dopo mesi che la sogno, passo finalmente sotto l'arcata buia e un brivido mi attraversa la schiena. Mentre cammino sulle larghe pietre del ponte ho come l'impressione di essere sopra al nulla talmente la superficie opaca sotto di me assomiglia al vuoto scuro che c'è tutt'intorno.
Sono ad un passo dall'attraversare la seconda arcata e lo faccio dopo aver preso un profondo respiro.
Non so perché ma i miei occhi si aspettano la luce e rimango profondamente delusa quando ciò che trovo è la stessa oscurità del ponte.
All'improvviso la testa mi gira molto forte e mi accascio per terra strizzando gli occhi e comprimendomi le tempie.
Quando cerco di guardare davanti a me vedo il terreno su cui prima poggiavo i piedi. Mi alzo e, voltandomi indietro, realizzo di essere a testa in giù.
Comincio a sbattere le palpebre freneticamente mentre giro su me stessa e osservo il paesaggio intorno a me.
Ci sono delle persone vestite in un modo così assurdo da illuminare quel tetro luogo grazie ai mille colori dei loro abiti. Sono a testa in giù come me ma le lunghe gonne non si ribaltano né le ampie maglie si sfilano dal busto. Camminano tranquillamente con enormi tacchi fluo intonati ai vestiti che a loro volta sono intonati ai capelli dalle acconciature spaventose che sembrano mirare ad estendere ogni singola ciocca al massimo delle sue capacità.
Alcune di quelle che credo essere donne sono infilate in gusci di stoffa orribilmente stretti che mi fanno sentire a disagio.
Anche alcuni "uomini" indossano dei vestiti, altri delle specie di magliette che sembrano composte da decine di tessuti diversi.
L'unica cosa normale sembra essere lo stile dei pantaloni anche se guardando meglio mi accorgo che gli orli sono tutti rivolti verso l'alto, come se lievitassero.
C'é talmente tanta gente in giro che sembra quasi sia giorno.
Rivolgo la mia attenzione agli "edifici" che vedo e un forte mal di testa comincia a premermi nel cranio. La mia mente non è abituata a quello che vedo, alla distorsione delle leggi della fisica e di tutto ciò che conosco.
La maggior parte di quelle che credo siano case sono a forma di cono, ma con la punta verso il basso e tinteggiate di colori mai visti prima dalla bellezza indescrivibile. Avanzando, noto sempre più stranezze.
Un palazzo di fronte a me è costituito dall'unione di due palazzi vicini che si sono piegati su sé stessi unendo i tetti e di fianco ad esso c'é un ponte che invece di andare in salita va in discesa e le persone che lo attraversano lo usano come fosse uno scivolo.
Alzo lo sguardo e vedo quella che mi sembrerebbe la luna se non brillasse di un giallo debole e opaco come un sole malato.
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