Prova 1

-Nati dalla distruzione e per la distruzione, forgiati dal caos, plasmati dalla violenza! –

Un urlo raggelante e maestoso esplose nella radura buia e sembrò quasi squarciare fisicamente l'aria. Centinaia di voci ruggirono all'unisono, roche e potenti nella notte.

-Noi, Gnomi della Montagna, rendiamo omaggio ad Haarguson il Primo, padre fondatore ed eroe coraggioso e valoroso, e giuriamo di mantenere alto il suo onore! –

Un altro urlo di trionfo seguì quelle parole, un altro tonfo terrificante scosse la terra e accartocciò il velo teso del cielo. Aspeg non riuscì a trattenere un brivido lungo la schiena. Sarebbe stato difficile per chiunque, d'altronde, rimanere impassibile davanti ad una scena del genere: un centinaio di enormi creature dalla pelle giallognola e le braccia incredibilmente possenti era radunato in un cerchio scomposto, attorno ad una statua gigantesca, ed ululava all'unisono in risposta agli incitamenti del capo della tribù, colpendo contemporaneamente il terreno e provocando enormi crateri tutto intorno. Aspeg si unì suo malgrado a quell'urlo collettivo: nonostante avesse sempre considerato le tradizioni della sua tribù piuttosto ridicole e anche fin troppo auto celebrative per i suoi gusti, quella sera (proprio come i suoi compagni, seppur per motivi diversi) si sentiva elettrizzato: fin da quando era un bambino, ascoltando le storie della sua tribù, aveva sognato ad occhi aperti il giorno in cui finalmente, raggiunta la maggiore età, avrebbe potuto accompagnare i membri adulti della tribù in quel luogo: il luogo in cui si era svolta la battaglia millenaria tra Gnomi delle Montagne ed Elfi, ormai secoli e secoli prima; il luogo in cui Haarguson il Primo, il più grande guerriero gnomo di tutti i tempi, era seppellito, sotto quella statua; ma, più importante di ogni altra cosa, almeno per lui, il luogo in cui si ergeva, ormai abbandonata e dimenticata, l'antica Biblioteca Elfa, sede di tutta la conoscenza, la saggezza e la magia di quel popolo leggendario ormai scomparso. Aspeg riusciva a scorgerla appena, dietro i rami degli alti alberi e attraverso la nebbia di quella notte oscura: intravedeva l'edificio lontano, silenzioso e maestoso, nelle sue mura di un bianco un tempo splendente ed ora scolorito. Guardandolo poteva quasi immaginarsi l'interno, immaginare quegli oggetti di cui aveva solo sentito distrattamente parlare (gli Gnomi non erano mai stati interessati alla cultura elfa o a qualsiasi altra cultura), quegli oggetti costituti solo da fogli e parole; non armi, non cibo, non qualcosa che si potesse utilizzare; ma parole.

-Forza Aspeg, muoviti! – la voce del suo amico Taulin lo riscosse dai suoi sogni ad occhi aperti. Si guardò intorno: il rito era finito e gli Gnomi stavano lentamente tornando alle tende dov'erano accampati.

-Arrivo – si affrettò a rispondere, per poi seguire il compagno. Voleva bene a Taulin, ma non gli avrebbe mai confidato i suoi pensieri: lui non poteva capirlo. Nessuno di loro poteva. 

Era passata da poco un'ora, il silenzio era denso, solo rotto dal fragoroso russare di un centinaio di grossi gnomi combattenti addormentati. Aspeg attendeva impaziente, ancora perfettamente vestito sotto le coperte, gli occhi spalancati e il cuore che gli batteva in gola in modo così rumoroso da fargli temere che potesse svegliare qualcuno. Decise di aver aspettato abbastanza: scivolò cauto fuori dal suo giaciglio e si incamminò nel buio sentiero erboso, camminando piano tra gli alberi, per quanto il suo corpo goffo potesse consentirlo. Dopo meno di dieci minuti di cammino si ritrovò a correre senza poterselo impedire, mentre le mura diventavano sempre più grandi e sempre più reali davanti ai suoi occhi. Si fermò di scatto: era lì, davanti a quell'antico edificio che appariva ancora più imponente ora che svettava sopra di lui a pochi metri di distanza. Si avvicinò: un'alta ed elegante porta di legno, riccamente decorata e intagliata, lo separava dall'interno della biblioteca. Allungò le mani verso la maniglia e provò una fitta di dolore nel notare il contrasto tra quelle grosse e sgraziate dita e la straordinaria bellezza dell'architettura elfa: bastò sfiorare il pomello poiché la forza intrinseca nel suo corpo, quella forza di cui avrebbe fatto volentieri a meno, si sprigionasse facendo esplodere la porta in una miriade di schegge di legno e fragore. Si ritrasse spaventato e mortificato e trattenne il respiro, sperando che nessuno avesse udito lo scompiglio: il luogo rimase silenzioso. Dopo pochi secondi, si decise ad entrare.

Un'enorme stanza, così satura di magia da brillare di luce propria e sembrare quasi viva; la si poteva quasi sentire respirare e sussurrare segreti attraverso quegli oggetti che sembravano costituire le mura stesse: libri. Libri che ricoprivano le pareti, libri sul pavimento, libri sospesi nell'aria, libri sopra altri libri, impilati in colonne altissime e sbilenche; libri sul soffitto, libri ovunque l'occhio riuscisse a spingersi: antichi, preziosi e maestosi libri. Aspeg rimase immobile al centro della stanza sopraffatto da un'emozione travolgente che mai in vita sua aveva anche solo pensato di poter provare: non quando utilizzava la sua forza sovrumana, non quando gli avevano insegnato a combattere, non quando i suoi genitori gli parlavano di antichi guerrieri e duelli; mai, nella sua vita, si era sentito così incredibilmente felice e appagato come in quel momento. Parole, finalmente; parole che poteva leggere, parole che potevano insegnargli e raccontargli storie fantastiche, parole che potevano farlo sognare. Allora corse, dimentico di tutto, corse verso il libro al centro della stanza; dimentico della sua tribù, di sé stesso e, ahimè, dimentico della sua forza. Con entusiasmo afferrò quell'antica copertina all'apparenza così solida e istantaneamente un rumore di carta squarciata, in assoluto il rumore più terribile che avesse mai sentito, deturpò il silenzio magico di quel luogo, facendolo inorridire. Disperato, cercò di rimediare, agitando convulsamente le sue grosse mani, afferrando le pagine e, irrimediabilmente, strappandole, ad una ad una, mentre la sua mente gridava dilaniata dall'orrore ma il suo corpo, il suo corpo guerriero, il suo corpo creato per uccidere e massacrare, agiva contro la sua volontà. Vide quelle parole crollare al suolo, disintegrate, in frammenti di carta. Impotente, vide quelle parole morire. Insieme ad una parte di lui.

Parole: 1000





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