Asso di cuori - Quinto tema
"Full all'asso." disse una voce, con una certa nota d'orgoglio.
"Colore." replicò un'altra.
"High card, no pair." sbuffò una terza, scontenta.
Il quarto personaggio nascose un sorriso, attorcigliando con la mano guantata un'estremità dei voluminosi ma curatissimi baffi a manubrio. "Scala reale."
Tutti e tre i giocatori sbuffarono, mentre il quarto allungava con eleganza la mano a raccogliere l'intera puntata sul piatto, che ammontava all'incirca sul mezzo milione di dollari, mordicchiando un sigaro ed esalando lente volute di fumo.
"Asso" intervenne colui che aveva parlato per primo, e che rispondeva al nome di Kenneth Chapman, "È la seconda volta che tiri fuori una reale a cuori. Sicuro che non stai barando, mh?" indagò, con l'assenso degli altri due.
"Amico mio, nel gioco la fortuna gira. Non essere geloso, vedrai che forse te ne andrai a casa con ancora le mutande addosso." rispose con un sorriso l'interpellato, ossia Roderick "Asso di cuori" Garcia, texano nell'animo, e chiamato in quel modo per la sua sfacciata fortuna sia nel gioco sia con le donne.
"Va a farti inculare da un toro, texano." sbuffò quello che all'ultimo giro ne era uscito con la mano perdente, alias Trent Newell. "Rudy, dai le carte.E passami un sigaro." aggiunse poi, rivolto al secondo membro di quella partita, Rudyard Tanner.
Asso rise. "Newell, baci tua madre con quella bocca?" lo punzecchiò, allungandogli un sigaro.
"Figurati, non so neanche chi sia quella troia che mi ha messo al mondo mollandomi in ospedale." ribattè, mordendo il sigaro con un sorriso sprezzante.
Il tavolo intero si abbandonò a una risata, breve per la partita ma non per questo poco gustata da ogni singolo giocatore.
"Chi sta di mano?"
"Kenny, poi sta a Rudy e a me. Tu sei l'ultimo stavolta, Asso."
"Mmh." Asso sbirciò le fatidiche cinque carte con movimenti lenti e studiati, poi le posò coperte sul tavolo verde e svuotò il bicchiere di scotch che aveva alla sinistra. "Vado al cesso." comunicò, alzandosi dalla sedia di velluto rosso.
"Mano perdente, eh? Brutto figlio di puttana, era ora!" lo stuzzicò Rudy.
"Rudy, tieni a posto quella lingua se non vuoi che ti tolga pure quella al prossimo giro. Io lo so chi era mia madre, pace all'anima sua." rispose pacato, avviandosi con passo elastico verso la lussuosa toilette del casinò ARIA Sky Suites, che dominava Las Vegas come un santuario dedito al culto del gioco, del denaro facile e dell'apparenza in quella che era la capitale.
Asso si chiuse la porta alle spalle, ignaro di tre giocatori che si davano da fare a sbirciare le sue carte, increduli di fronte all'ennesima scala colore a picche. Ignaro di Trent che finiva lo scotch da lui ordinato per tutti, di Kenny che rubava i sigari da lui incautamente lasciati sul tavolo e di Rudy che giocherellava con le chiavi della sua splendida Porsche Carrera al sicuro nel parcheggio dell'hotel.
Ignaro della splendida bionda in tubino verde rinascimento, improvvisamente comparsa al loro tavolo, che si era seduta al suo posto, presentandosi come la sua fantomatica ragazza nonostante lui amasse definirsi "libero come un fringuello", e che mescolando le carte ne fece sparire una all'insaputa di tutti. Ignaro del fatto che quella bionda di nome Adamina Richmond era proprio quella Adamina, ubriaca la sera di una settimana e mezzo prima, e quella stessa sera finita nel bagno delle donne in compagnia nientemeno che di lui stesso. Ignaro, soprattutto, che non sarebbe più tornato a sedersi a quel tavolo che da un momento all'altro si era così movimentato.
***
Un urlo improvviso proveniente dalla toilette richiamò immediatamente l'attenzione di tutti gli accaniti giocatori e scommettitori che militavano attorno ai tavoli e alla roulette. I primi ad accorrere furono Kenny, Trent e Rudy, i quali attendevano il ritorno di Asso da quasi tre quarti d'ora.
Ad urlare era stata la stessa bionda di prima, che ora giaceva sconvolta nel corridoio che conduceva sia al bagno degli uomini sia a quello delle donne, imbrattata dello stesso sangue che allagava il pavimento sul quale era inginocchiata.
"Cristo!" esclamò Trent, indietreggiando alla vista di quel denso liquido rosso che ammantava anche la porta degli uomini, sulla quale campeggiavano una serie di manate dello stesso colore. "Asso? Asso! Puttana Eva, dimmi che stai bene!" urlò poi, senza azzardarsi a mettere piede nel bagno. Solo il silenzio gli rispose, interrotto sporadicamente dal pianto isterico della donna.
Non avendo ricevuto neanche un misero fiato dall'amico disperso, Trent si voltò sgomento verso gli altri. "Credete... credete che lui..." sussurrò.
Kenny sospirò. "Ascolta... non c'è il corpo, vedi? Quindi potrebbe essere ancora vivo." disse, anche se nemmeno lui ci credeva davvero. Si voltò verso la donna; la calca di persone che aveva prima affollato l'ingresso del corridoio ora intasava la reception, e la bionda singhiozzava sola, incapace di smettere di fissare il sangue.
"Signorina?" la chiamò, senza essere degnato di uno sguardo. "Signorina, andiamo! Si alzi da lì!" ripeté. Quando neanche alla terza chiamata la bionda si svegliò dal suo stato catatonico, Kenny la sollevò tra le braccia, aprendo la porta con un calcio e uscendo da quel cubicolo insanguinato.
Gli altri due lo seguirono a ruota, non meno sconvolti della donna che aveva fatto quella macabra scoperta. Su una cosa però concordavano tutti, sebbene non la esprimessero a voce: quella signorina c'entrava qualcosa.
***
Becky Moldow era il suo nome, la giustizia il suo cognome.
Da tempo immemore aveva ventott'anni, e tanti ne dimostrava anche quando ne aveva diciotto. Era entrata in polizia quando di anni ne aveva appena venti, e in quattro anni di stimato servizio non c'era stato un caso che non avesse risolto.
Adesso si trovava lì, in quella stessa sala dove con ogni probabilità era stato commesso un omicidio non più di mezz'ora prima, avvolta nel suo soprabito marrone scuro, con i lunghi ricci mori sciolti sulle spalle, una Lucky Strike consumata a mezzo fra le labbra e gli occhi celati dalle lenti squadrate degli occhiali puntati in quel bagno di sangue, a contemplare un cadavere fantasma. Perché fantasma? Semplice. Era indubbio che chiunque avesse perso tanto sangue fosse morto per emorragia, ma il corpo senza vita mancava. E Becky sospettava che farlo saltar fuori sarebbe stata la parte più ardua del caso.
Dopo aver osservato il nulla a sufficienza e ponderato il da farsi per altrettanto tempo, contrasse la mano nella tasca del soprabito, afferrando il cellulare. Premette 1 senza neanche guardare lo schermo, quindi pigiò sul tasto di chiamata e il sistema compose il numero preimpostato, avviando la telefonata.
"Chi hai perso?" chiese una voce dall'altro capo dell'apparecchio, rispondendo al primo squillo.
"Ryuiki. Fammi parlare con Sam della omicidi. E trovati qui il prima possibile con tutta l'attrezzatura."
"Agli ordini, capo. Maschio o femmina?"
"Niente cadavere, solo scena del crimine. Me la passi Sam o no?"
"Subito."
In poco tempo la voce del giovane giapponese, Ryuiki Kuroyoto, fu sostituita dal timbro da contralto di Samantha Buttercup, responsabile della Squadra Omicidi: "Dimmi tutto, Becky."
Venti minuti dopo quella telefonata il casinò era completamente blindato: nessuno entrava, nessuno usciva, e una buona dozzina di colleghi di Becky interrogavano i testimoni.
Lei, dal canto suo, si tirò appresso Ryuiki, l'unico con cui si sentiva libera di esporre ogni suo parere sui vari casi, anche il più strampalato.
"Cosa ne pensi?" chiese la detective, passandosi una mano tra i capelli ricciuti e aspirando una boccata di fumo.
"Penso che non so cosa pensare." confessò il giapponese. "Penso che si sia trattato di un regolamento di conti, o qualcosa del genere, ma non ho la minima idea di dove possa essere il corpo. E penso che tu debba smettere di fumare quella merda. Se proprio devi, fuma qualcosa di decente." aggiunse, sventolandosi il fumo lontano dal viso con una mano.
Becky lo fulminò con lo sguardo. "Vedi di trovarmi qualunque informazione possibile su questo posto. Una donna non può aver portato il cadavere tanto lontano."
Ryuiki aggrottò le sopracciglia.
"Come fai a dire che l'assassino è una donna?"
Lei sbuffò. "Non è evidente? Osserva i piccoli cerchietti nel sangue. Non sono gocce, ma..."
"Le impronte dei tacchi, ma certo!" esclamò il ragazzo, battendosi una mano in fronte.
La detective annuì, soddisfatta. "Fammi avere il prima possibile una mappa di qui." ordinò, prima di allontanarsi.
Peregrinò senza meta per i corridoi rivestiti di moquette, seguendo il filo dei suoi pensieri, finché una cosa non la riscosse: un leggerissimo luccichio per terra.
Si chinò e raccolse l'oggettino: una chiave di ferro arrugginita, e macchiata di qualcosa che la sua vasta esperienza classificò all'istante come sangue secco. Una chiave che però, a colpo d'occhio, non sembrava adatta alle piccole ed eleganti serrature che aveva visto sono a quel momento. Doveva aprire una porta più antica, senza dubbio, ma quale? Non ne aveva vista nessuna di quel genere.
Per il momento la avvolse accuratamente in un fazzoletto, ponendosela in tasca, e continuò il suo giro d'ispezione. L'unica cosa a parte la chiave che colpì la sua attenzione fu una piccola sbavatura nella carta da parati altrimenti perfetta, una cosa che un occhio non allenato quanto il suo non avrebbe mai notato: pareva che fosse stata rimossa per un certo periodo di tempo, e poi riattaccata, ma senza la maestria di chi lo fa per mestiere.
Non commise l'errore di non darci peso, ma per il momento si limitò ad archiviare il particolare in memoria, in attesa di stabilire se avrebbe potuto essere utile o meno.
"Ryuiki? Sto ammuffendo. Questa dannatissima mappa?" chiese scocciata ad alta voce, mentre si avviava verso il suo fidato aiutante.
***
La figura incappucciata svoltò un angolo, poi un secondo ed un terzo, fino a trovarsi in un vicolo lercio e scarsamente illuminato.
Controllò l'ora: le tre spaccate. Sorrise. Perfetta puntualità.
"Amore? Hai buttato la spazzatura?" chiese, a nessuno di visibile. Una frase innocente, che però nascondeva un significato ben preciso.
"Certo, cara." rispose una voce altrettanto poco identificabile, senza che il suo proprietario si facesse vivo nel buio.
"Ottimo. Dammi la chiave." incalzò la figura sorridente.
Il suo interlocutore tergiversò un pochino prima di rispondere, impiegando abbastanza tempo da farle perdere il sorriso. Da un punto imprecisato sbucò quindi un'altra figura in nero, che strinse tra le braccia la prima, abbassandole il cappuccio.
Una cascata di capelli biondi si riversò lungo le spalle della ragazza, contornandole il bel viso dalle labbra piene e dagli occhi verdi. Se Asso fosse stato lì non ci avrebbe messo molto a riconoscere in lei Adamina Richmond.
"Non è necessario, mia cara. Non ti fidi di me?" sussurrò il suo misterioso interlocutore, a pochi centimetri dalle sue labbra.
"Certo che mi fido, Rick."
"Allora nessun problema." concluse, baciandola. Un bacio passionale, acceso, che Adamina ricambiò senza indugio.
"Vattene adesso." ordinò lui, rompendo per primo quel momento di piacere. "Rischieresti parecchio se ti beccassero con me."
Adamina annuì, scivolando via dalla sua stretta. Andandosene, lasciava dietro di sé nel fango tante piccole impronte rotonde, molto simili a delle goccioline.
***
"Siamo a un punto morto." sbottò Becky, alla fine della quarta sigaretta di fila. Il sangue era risultato appartenere a Roderick Garcia, ma per il resto non era riuscita a cavare un ragno dal buco. Niente impronte, niente DNA, niente arma del delitto e soprattutto niente cadavere.
"Però il dettaglio delle scarpe è stata una mossa intelligente." provò a consolarla Ryuiki.
"Ah, ma sii serio! Quante donne posseggono scarpe che possono lasciare un segno simile? Milioni! Miliardi!"
"Ma scommetto che Garcia non ne conosceva milioni."
"Conoscendo la sua fama di donnaiolo è probabile." sospirò, posando gli occhi sulla mappa del casinò. "Ripetimi le varie stanze."
"Bagni. Sala scommesse. Sala poker. Sala BlackJack. Sala bridge. Sala roulette. Reception. Sala slot-machines. Ristorante. Piano bar. Sala premi - in pratica dove tengono le auto in palio per i giri grossi. Cambiavalute." snocciolò il ragazzo, indicando di volta in volta un quadrato o un rettangolo sulla mappa. "Ai piani superiori solo camere degli ospiti. Sotto garage e piscina coperta."
"E abbiamo ispezionato tutto..." sospirò Becky, torturandosi i ricci con le mani. D'improvviso s'illuminò: tutti i rettangoli si intersecavano tra loro, com'era naturale data la presenza delle porte. Tranne uno. "Forse ho trovato." sussurrò, quasi temesse che se l'avesse detto ad alta voce quella possibilità sarebbe sfumata.
"Ossia?"
Indicò il quadrato isolato. "Cos'è questo?"
"Oh. Che io sappia, niente. Probabilmente una stanza troppo usurata che hanno preferito murare, quando hanno trasformato questo posto in un casinò da atelier di moda che era."
Un flash rapidissimo attraversò la mente della detective: la chiave per terra, la carta da parati spostata.
"Non è murata!" urlò scattando in piedi. "Vieni, Ryuiki!" aggiunse, trascinandosi dietro il ragazzo fino alla macchina.
***
Strappata la carta, fece la sua comparsa una porta mezza marcia di legno stantio. Becky si accese l'ennesima Lucy Strike, mentre infilava la chiave arrugginita nella toppa. Questa girò con un po' di fatica, ma la porta si aprì con un cigolio sinistro e una tremenda zaffata di un odore non meglio identificato.
Sembrava un misto tra l'odore di chiuso, la puzza di muffa e il tanfo di qualche organismo agli inizi della decomposizione.
Ryuiki accese la torcia sul telefono, illuminando un pavimento in marmo ricoperto di polvere smossa in alcuni punti, dei muri ammuffiti e scrostati e un manichino floscio di stoffa che, sorretto dai suoi sostegni di legno marcio ma abbandonato in una disperata posa che tendeva verso il basso, rievocava in maniera quasi inquietante una grottesca raffigurazione del Crocifisso.
Una macchia marrone scuro faceva sfacciata mostra di sé sul ventre del manichino, quasi a indicare che quello era davvero il sudario del Cristo tanto bestemmiato dai giocatori perdenti appena due stanze più in là.
"Buco nell'acqua?" chiese Ryuiki, cercando conferma presso la brillante collega.
"Buco nell'acqua." notificò lei.
"Merda. E ora cosa facciamo?"
"Cosa facciamo? Cosa facciamo. Dio Santissimo, mi prenda un colpo se ho idea di cosa fare. Abbiamo fatto tutto il fattibile... Testimoni interrogati, scena del crimine analizzata, personale di sala passato al setaccio, giardini, piscina e camere di servizio rivoltate come calzini... Adesso abbiamo anche fatto la cazzata del giorno. Non ho idea di cosa fare." sputò fuori, avvelenata. "Se questo cadavere non salta fuori alla svelta non mi resta che archiviare il caso. Bella figura che ci farei. La famosa Becky Moldow si fa scappare un morto dalle mani. Già mi sembra di vedere i titoli dei giornali. Quelle serpi dei giornalisti ci si butterebbero sopra come avvoltoi su un pezzo di carne."
Ryuiki la prese per le spalle, scuotendola appena. "Ehi. Calma adesso. Vedrai che troveremo una soluzione. Va bene?"
Becky annuì, riprendendo quella gelida calma che l'aveva sempre contraddistinta. "Scusa. "
Lui sorrise. "Va bene. Tranquilla. Facciamo così: ricominciamo daccapo. Magari abbiamo tralasciato qualcosa d' importante. Okay?"
La detective annuì ancora, consumando la sigaretta. "Però toglimi le mani di dosso o ti spezzo i polsi." lo minacciò scherzosamente.
"Agli ordini, capo. " rise il giovane, obbedendo all'istante.
***
Seduta alla sua logora scrivania, ingombra di carte, pacchetti di sigarette, penne e posaceneri disposti apparentemente in un completo caos che per lei era tutto fuorché disordine sedeva Becky.
In quella stanzetta semibuia un paio di splendidi occhi verdi ne incrociava un altro di uno scialbo marroncino, ma che dietro le lenti spesse sembrava trattenere tutte le anime dell'Inferno.
"Adamina Richmond." non era né una domanda né un'affermazione, quanto più una semplice constatazione; come per notificare l'effettiva presenza della ragazza, che sembrava così fuori posto in una stanza come quella.
"Signorina Moldow." replicò soave la bionda.
"Detective, per lei." la corresse atona.
Il sorriso di Adamina vacillò per qualche istante, ma resistette. Un particolare che Becky non mancò di notare. "Come vuole, detective. La informo comunque che sono già stata interrogata dall'agente Buttercup." affermò, inutilmente cercando di mascherare l'aria di superiorità che aveva mentre pronunciava quelle parole.
"La informo che io sono a conoscenza di qualunque cosa facciano i miei agenti." la redarguì, quasi stesse parlando ad una bambina capricciosa. "E la informo anche che ho tutte le intenzioni di interrogarla a mia volta, che a lei stia bene o meno."
Stavolta il sorriso sparì definitivamente dalle labbra dipinte di rosso. "Ma certo."
"Mi fa molto piacere. Lei conosceva Roderick Garcia?"
"Purtroppo sì, detective." e qui abbassò il capo, assumendo un'espressione contrita. "Anche se io lo conobbi come Asso di Cuori. Si approfittò di me una sera che avevo bevuto troppo, e... Beh, può immaginare come finì."
Becky annuì. Se prima non nutriva alcun sospetto sulla giovane bionda, ora le probabilità iniziavano a salire. "Mi parli della sera in cui è stato assassinato."
Adamina sgranò gli occhi, con un singulto. "M-morto?" balbettò.
"Signorina Richmond, crede che chicchessia sopravvivrebbe dopo aver perso tutto quel sangue?" sospirò stancamente la detective. "Che sia morto mi sembra un fatto più che assodato. Cosa ha fatto lei prima di trovarsi in un bagno dove Garcia è stato ucciso?"
"Volevo vederlo. Ho passato metà serata alla roulette, ma poi non ce l'ho fatta più. Sono andata nella sala dove lui giocava spesso, mi sono fatta indicare il suo tavolo, ma lui non c'era. I suoi amici mi hanno detto che era in bagno. Sono rimasta per un po' con loro, in attesa del suo ritorno, e..." si interruppe nel mezzo del racconto, durante il quale si era infervorata al punto tale da gesticolare copiosamente.
Becky sorrise, recuperando qualcosa che era scivolata sulla scrivania. "Signorina Richmond... Non le hanno insegnato che tenere assi nelle maniche significa barare? Non sta bene, per una ragazza come lei." disse sarcastica, voltando la carta da gioco. Asso di cuori.
Adamina perse un tono di colore dalle gote, simulando una risata.
"Ovviamente..." continuò la detective, "Do per scontato di aver solo scoperto un imbroglio da casinò, e riterrò il fatto che lei abbia nella manica una carta che vale un cadavere una semplice coincidenza. Faccio bene?"
"Cosa vuole insinuare, detective? Non sospetterà mica di me..." ribatté Adamina, palesemente sulla difensiva.
"Io sospetto di tutti, signorina, è il mio mestiere. Così come il suo è militare per le sale da gioco a rubare Assi e Cuori. E non mi riferisco solo alle carte..." la punzecchiò.
"Mi sta dando della troia?" urlò sdegnata.
"Ah, questo l'ha detto lei, signorina. Ma non sono qui per stabilire quanto siano difficili i suoi costumi. Vada avanti."
"Ho sentito anche io la necessità di andare in bagno. E ci sono andata. Il peggio che potevo aspettarmi era vederlo con un'altra. Quello che non mi aspettavo... Era vedere quello." mormorò abbassando il viso.
"Va bene, signorina. C'è qualcos'altro che sente il bisogno di dirmi?"
"Lei cosa vorrebbe che io le dicessi?" sorrise Adamina.
"Ah, non posso saperlo. Magari se conserva qualche altra carta in altri capi di vestiario."
"Molto divertente, detective. No. Non ho null'altro da dirle." sibilò la bionda, alzandosi e uscendo dalla porta.
Becky attese sufficiente tempo da essere sicura che Adamina fosse realmente andata via, poi chiamò: "Ryuiki!"
Il ragazzo comparve sulla soglia non più di cinque minuti dopo. "Neanche al cesso posso andare?"
"Hai visto tu stesso che a volte farlo uccide. Non perdere tempo, fatti dare tutti i nastri della sorveglianza di ogni telecamera, dì a Sam di mettere la Richmond sotto costante sorveglianza da questo momento fino al giorno del giudizio, e porta il prima possibile quel manichino in laboratorio." ordinò, spegnendo la sigaretta.
"Cosa vuoi farci, un'autopsia?"
"Qualcosa del genere. Corri, devo sapere se ho fatto centro."
"Dubiterei del contrario." Sorridendo, Ryuiki girò sui tacchi e si affrettò a eseguire ogni singolo comando.
***
"Toglietemi le mani di dosso! Insomma! Lasciatemi!" strillava Adamina, divincolandosi nella ferrea presa dei due agenti che la conducevano in questura.
"Signorina Richmond, qual è il problema?" chiese Becky, uscendole incontro dalla sua stanza.
"Ma dico!" urlò sdegnata, "Che diritto ha lei di trattarmi così?"
"Ho tutto il diritto di arrestare una donna colpevole di omicidio. E lei lo è."
Adamina fece per replicare ma la detective la zittì alzando una mano.
"Ora le dirò com'è andata. Lei si è sentita usata da Garcia, perciò ha deciso di vendicarsi. Non è mai stata alla roulette, le telecamere non mentono. Ha messo nel suo scotch del lassativo e l'ha atteso in bagno. Lì l'ha accoltellato al ventre e gli ha tagliato i genitali. Poi? Aiutata da un complice, l'ha nascosto nel posto più insospettabile: il vecchio magazzino dell'atelier, dentro a un manichino. E a quel punto ha messo in atto il suo teatrino. Potrei dirle che si è tradita in due mosse: con quella carta e facendo in modo di essere lei stessa a scoprire il misfatto. Ora l'unica cosa che lei deve dirmi è il nome del suo complice, ma le garantisco che lo scoprirò con o senza il suo aiuto. Tutto il resto lo dirà al giudice." dichiarò trionfante.
Per tutta risposta Adamina si sciolse il lacrime. "È vero, è tutto vero..." sussurrò. "Il nome è... Richard Logan." aggiunse con un singhiozzo.
"Complimenti, signorina." sorrise Becky, "Poteva commettere il delitto perfetto. Ma si è comportata da donna. Se non fosse stato per il vezzo della carta, probabilmente l'avrebbe fatta franca. Portatela via. E vedete di pizzicare questo Logan."
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