Un giorno qualunque
Inciampo su un piccolo sasso, largo un palmo, appuntito e irregolare. Barcollo leggermente, allargando le braccia ad airone, appoggio velocemente l'altro piede a terra, sorrido e mi volto, ruoto la testa verso destra e sorrido felice a Mire, lei mi sorride a sua volta, socchiudendo leggermente gli occhi.
<<Dai corri! Altrimenti Bru ci lascia indietro!>> mi incita.
Rido lievemente, poi comincio a correre più forte.
Mi bruciano le caviglie, ma sono più brava di Mire a sopportare il dolore, il paesaggio mi passa di fianco velocissimo, sono io a muovermi ma sembra che sia il mondo ad andare più veloce di me.
Arrivo a casa con il fiatone, Bru e Mire sono rimaste indietro, appoggio i palmi delle mani sulle ginocchia piegate e prendo dei bei respironi.
Infilo la mano nella tasca della gonna e tiro fuori un sasso, lo stesso in cui sono inciampata, mi chiedo come sia finito li.
Entro e saluto mamma con un bacio sulla guancia, alzandomi sulle punte dei piedi.
Bru e Mire sono appena entrate, la salutano e subito andiamo al piano superiore a cambiarci, esco di casa e vado insieme con mio padre col carro a prendere il fieno.
Io sono sul carro e mio padre butta i mucchi di fieno, devo rimetterli apposto, distenderli per tutta la superfice di legno, finito il lavoro, mi unisco a mio fratello Dino e a Bruna per raccogliere i cavoli, mentre Mirella tenta di pescare qualche pesce dal fosso.
Spero che ne peschi di grandi e di buoni, altrimenti non mangeremo molto stasera.
Il sole è già sceso oltre i colli euganei ed io, Bruna, Mirella, Lino e Franco insieme a papà chi dirigiamo stanchi verso la nostra casa.
Bruna mi si avvicina e mi chiede:
<<Diana, Diana! Ti ricordi come la maestra ha chiamato la nostra casa?>>
Ci penso un po' su e chiedo insicura:
<<Colonicense?>> rifletto più attentamente e mi correggo:
<<Colonica. La maestra ha detto che è una casa colonica.>>
Bruna mi guarda sorridente e mi ringrazia.
Siamo tutti seduti attorno alla grande tavola per cenare, quando sentiamo la sirena antiaerea, il mio cuore si blocca, eppure dovrei essere abituata al continuo pericolo.
Corro il più velocemente possibile fuori casa, davanti di me vedo tutto buio. Nonostante conosca i campi attorno a casa come le mie tasche ma il buio mi fa paura, potrebbero spuntare dal nulla i soldati cattivi di cui mamma mi parla sempre.
Ormai ho il fiatone ma continuo a correre, mi giro velocemente per vedere se ci sono tutti i miei fratelli.
Mi accorgo che mamma fa fatica a tenere il passo e Bruna cerca di aiutarla.
Mi giro e corro nella loro direzione, prendo mamma per un braccio e corriamo il prima possibile verso il fosso.
Ci nascondiamo vicino a un salice piangente.
Papà dice sempre che la nostra casa dall'alto sembra una caserma e che quindi gli aerei potrebbero prenderci mi mira e buttarci addosso delle cose brutte che potrebbero farci molto male.
Ma io non capisco, nella nostra casa non ci sono i militari, perché i cattivi dovrebbero farci del male? Non abbiamo fatto niente.
Accanto a me Mirella si toccava le caviglie sanguinanti a causa degli zoccoli di legno che portiamo tutto il giorno, le afferro la mano con la quale sta tastando il taglio e scuoto la testa.
Mi lecco il pollice e lo passo delicatamente sulla ferita, togliendo tutto il fango, la guardo sorridente e lei mi mima un grazie.
Ho tanta paura e il suono fastidioso che mi fa battere forte il cuore non aiuta di certo, ma voglio essere coraggiosa come la mamma.
Prendo tra le mani il viso gracile di Mirella e me lo appoggio alla spalla, le accarezzo i capelli e cerco di consolarla.
Faccio come fa mamma con Lino, Franco e Beppina, anche se mi da fastidio che la mia spalla sia tutta bagnata.
620 parole. Cavolo, sono poche.
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