Primo Round
Sostengo il mio pentolino sulla mia spalla destra, debbo prestare attenzione a non urtare la mia dolce consorte e spegnere la favilla deposta nel mio prezioso pentolino.
Le mie brache in tela sottile strusciano sulla pelle umida e scivolosa del mio destriero alato.
È da assai che voliamo sempre nello stesso loco, senza avanzare ne indietreggiare. Il forte vento opposto a noi non ci permette di continuare il nostro viaggio.
Siamo in volo da settimane oramai e, nonostante il nostro pentolino ci permetta di campare, voglio scendere in basso.
Non ho mai visto cosa c'è al di sotto di codesta nebbia, offuscatrice di vista.
Decido di informare di ciò la mia dolce consorte:
<<Mia cara>> sposto leggermente il capo nella sua direzione e le cingo le sue fredde e affusolate mani con le mie, più tozze e callose <<Desidero ardentemente scendere da questo luogo accogliente per scoprire le stranezze che si rileveranno ai miei occhi quando fenderò la nebbia che si trova sotto di noi.>>
Stringo i suoi candidi arti dolcemente e la guardo speranzoso, mi serve il suo consenso, perché so che ella è molto più saggia e riflessiva di me.
<<Mio caro>> mi guarda negli occhi e sorride <<finalmente me lo hai chiesto. Sai, desideravo ardentemente anch'io scendere e scoprire luoghi nuovi. Sempre che esistano.>> china il capo verso il basso e si sporge dal nostro destriero, guardando la nebbia.
Le nostre mani sono ancora allacciate e mi commuove l'affidamento che lei ripone nella mia (scarsa) forza. Non voglio deluderla e non voglio nemmeno che cada nella nebbia e non ritorni mai più da me.
Si ritrae in sella e mi sorride con affetto, sorrido di rimando e mi rilasso. Ascoltando il lento respiro del mio pesce-destriero mi abbandono alle dolci braccia di Morfeo, senza essermi neppure cibato.
***
Siamo oramai atterrati da molto tempo ormai e sono ancora immobilizzato a osservare rapito il luogo che mi circonda. La mia bocca è spalcata in un moto di impetuosa meraviglia. Sotto ai miei piedi c'è una strana cosa verde, sono tante piccole striscioline terminanti a punta, dovrebbero fare male ma i miei piedi non sentono nessun dolore. Mi giro, osservando ogni cosa nei minimi particolari. Mia moglie è seduta a guardare rapita una strana striscia verde che termina con qualcosa di giallo. No... mi sposto un poco e vedo che è pieno di protuberanze gialle, su tutto la sua circonferenza, non solo nella parte superiore.
Lei mi guarda con occhi spalancati e brillanti. Non l'ho mai vista così felice in tutta la sua vita.
<<È artemisia Osvald. Artemisia!>> alza la voce come se da un momento all'altro potesse gridare, piangere e ridere dalla felicità. Mi sedio.
<<È Artemisia>> si calma <<mamma me ne ha parlato, l'ha descritta esattamente cosi. Credevo fosse una favola>> la vedo deglutire <<ma è vera!>> Sorride <<Vera! Capisci!>>. Ha le lacrime agli occhi.
<<Irina non mi ha mai raccontato nulla>> mi dico girando la testa e osservando una distesa grande almeno due pesci piena di queste Artemisie. Lacie mi ha sentito e si gira verso di me, posizionandosi faccia a faccia con me. Sono sorpreso, penso voglia baciarmi. La guardo negli occhi. <<Non nominare il nome di nostra madre. Non nominarlo. Mai più.>> il suo tuno mi fa rabbrividire, è intriso di odio, disprezzo e rabbia, sembra che mi possa uccidere da un momento all'altro.
<<Non farlo mai più.>> Mi si rizzano i peli delle braccia.
Vuole una promessa. Deglutisco e la guardo negli occhi e, cercando di essere più sicuro possibile le dico. <<Non lo farò mai più. Perdonami.>> abbasso il capo, desolato.
Mi prende per il mento e mi alza il viso alla sua stessa altezza, ora sorride raggiante. Mi bacia. Senza la minima esitazione le prendo il viso tra le mie mani e ricambio con ardore il bacio. La trascino verso di me e poi mi giro, facendo in modo di posizionarla al di sotto di me. Continuo a baciarla, le accarezzo la pancia un po' gonfia e sorrido. Lacie mi guarda <<Scusa se prima sono stata brusca con te, dovrai abituartici ai mie sbalzi ormonali.>> Sorride
<<Lui come sta?>> chiedo, scendendo a baciare il ventre di mia moglie. La sento sghignazzare <<Bene, con tutte le attenzioni che gli dai.>>
***
Camminiamo per questa radura d'erba (come l'ha chiamata Lacie).
Nel nostro cammino abbiamo osservato molte cose strane, grigie e gialle, con dei fori ad altezza d'uomo che partono da terra e formano un arco verso l'alto. sembrano molto solide, non so cosa siano.
<<Si chiamano case.>> mi dice mia moglie.
Le credo, probabilmente non sa a cosa servano, in fondo queste informazioni sono state tramandate a lei da nostra madre e sua madre prima di lei, di generazione in generazione, non sono informazioni ne attendibile ne certe, ma sono le uniche che abbiamo.
Non mi fido di queste "case" quindi proseguo il cammino.
Lacie mi segue sospirando e facendo urletti di gioia, sorrido, sono felice che almeno uno di noi due sia entusiasta di questo posto.
Forse scendere oltre la nebbia non è stata una buona idea, queste cose che mi circondano mi sono completamente sconosciute. Non mi piace essere circondato da luoghi che non conosco. Mi sento inquieto.
Sorpasso una sporgenza del terreno, è liscia e molto solida, mi giro per chiedere a Lacie cosa sia ma lei intercetta il mio sguardo e fa subito di no con la testa. Non sembra pericolosa e nemmeno viva. La sorpasso per vedere un oggetto filiforme marroncino chiaro che parte dal terreno e si divide in tante altre diramazioni. È coperto da un lungo telo rosso che uno strano essere con le due zampe anteriori piegate e più lunghe di quelle posteriori, è una creatura strana, verde e bagnata, con una bocca enorme e due occhietti minuscoli, tiene in una piccola manina il drappo. Sento Lacie affiancarsi a me e dire <<Oh santo cielo! Quella è una rama! Mamma me ne ha parlato, ha detto che è un animale che vive nella lava bollente>> alza le spalle <<non so cosa sia la lava ma l'ha detto la mamma.>>
Annuisco ripetendo tra me e me <<Una rama>>
Vengo distratto dai miei ragionamenti da una figura nuda che esce dall'incavo del busto inanimato proteso verso il cielo.
È proprio una bella donna, ha un bel viso grazioso e un bel corpo pieno. È una meraviglia per gli occhi e probabilmente lo è anche per le mani. Sento un irrefrenabile impulso che mi spinge verso di lei. Cerco di avvicinarmi ma Lacie mi ferma, mi gira di scatto verso di lei e mi tira un sonoro schiaffo, vedo i suoi occhi arrabbiati appannarsi per via delle lacrime che cerca di trattenere. Sono un mostro, ho fatto piangere mia moglie. L'unica donna della mia vita, il mio più grande amore, colei che è incinta di mio figlio! Sono un essere disgustoso, cerco di accarezzarle una guancia ma una voce mi blocca.
<<Non dovresti arrabbiarti con lui, mia dolce donzella.>> È una voce molto roca e bassa, come se non venisse mai usata, eppure è piena di dolcezza ed amore. Ci giriamo. Un uomo, vecchio, con una lunga barba marrone scura che gli sfiora le ginocchia dinoccolate è seduto su un'altra sporgenze uguale a quella che abbiamo superato, ha tra le mani un parallelepipedo pieno di sottili rettangoli bianchi sporcati da molte macchie nere. Mi avvicino al vecchio che è girato a guardarci con un sorriso dolce. Ha un bastone in mano e un lungo drappo verde scuro gli copre le spalle.
<<Lei chi è?>> chiedo. Egli sorride e risponde <<Un santo senza nome.>> Non capisco cosa voglia dire.
<<Perché mia moglie non dovrebbe essere arrabbiata con me?>> Sono curioso, in fondo è colpa mia se lei sta piangendo.
<<Quindi è sua moglie>> il vecchio continua a sorridere <<lieto di conoscervi>> abbassa il capo e poi riporta lo sguardo su di me <<Ella non dovrebbe essere arrabbiata con voi perché la donne che prima vi ha incantato così tanto è l'incarnazione della lussuria.>> <Indica la donna che stava uscendo dal busto col bastone. Mi giro per guardala, come riflesso condizionato ma l'anziano mi ferma brusco. <<Non la guardi! Senno ne verrà di nuovo incantato e lei, dopo averla fatta entrare nell'albero la ucciderà!>>
Deduco che lo stano oggetto che si allungava verso il cielo si chiami "albero". Guardo con la coda dell'occhio mia moglie.
<<Allora perché la donna non ha attirato mia moglie? Anche lei l'ha guardata.>> Prendo la mano a Lacie. Il "santo" sospira <<Perché è una donna, le donne sono per natura più forti degli uomini nel resistere al desiderio sessuale, in più>> la guarda <<lei è tremendamente innamorata di voi. Signor...>> si interrompe. <<Osvald. Mi chiamo Osvald.>>
mi siedo e faccio sedere Lacie sulle mie gambe. Comincio ad accarezzarle la pancia.
<<Lei invece non ha un nome. Come mai?>> chiede Lacie.
Il vecchio sorride. Sentiamo un boato tremendo, la terra comincia a muoversi e la luce del sole si affievolisce. Balzo in piedi e anche Lacie. Mi guardo in torno preoccupato.
Che il vecchio ci abbia messo in trappola? Vuole ucciderci? Perché mai ci vorrebbe morti? L'abbiamo appena conosciuto!
Lo guardo. È in piedi adesso, stabile nelle sue magre gambe nonostante gli scossoni della terra non permettano un buon equilibrio. Prendo per mano Lacie e guardo il vecchio. Ora che è in piedi vedo che è molto più alto di me e Lacie, con le spalle larghe e le braccia gracili. Ci guarda sorridenti, è emozionato. Lo vedo dai suoi occhi.
<<Guardate in alto!>> i tremori si fanno sempre più forti, il rombo del suolo copre le sue parole eppure guardo in alto comunque.
Un immensa luce mi acceca, diventa sempre più luminosa e sono costretto a chiudere gli occhi e coprirmi il volto con il braccio. Quando i miei occhi si sono abituati alla luce accecante vedo un volto giovane, dai lineamenti aristocratici che oscura il cielo. È un gigante! Sono basito. Pietrificato dalla paura e dalla bellezza. Sento una voce proveniente da dietro e distrarre il viso del gigante che ci stava fissando attentamente.
<<Maestà. Può tornare davanti alla tela per favore?>>
Vedo il volto fare una smorfia di fastidio. <<Ti ho detto d non chiamarmi Maestà. Chiamami solo Filippo, Tiziano.>> Sento sospirare divertito la persona sconosciuta <<Va bene FILIPPO>> scandisce ogni lettera, come una presa in giro.
Il volto gigante si allontana da noi, richiude delle ante, il terreno trema di nuovo ma dopo poco tutto torna alla normalità. Sento una voce lontana <<Filippo II re di Spagna vi va meglio come appellativo? Non sono abituato ad essere cosi amichevole con un re. Sua altezza.>> Sento una risata seguita da <<Va bene, Tiziano, va bene. Basta che fai il tuo lavoro.>>
Poi buio.
***
Ho fame. Guardo Lacie, profondamente addormentata in sella al nostro destriero. Ormai è da molto tempo che stiamo cavalcando qui.
Non mi ricordo cos'è successo in profondità, ma so che non è un esperienza che voglio ripetere. Anche se mi piacerebbe incontrarmi di nuovo con il "santo".
Ma forse è meglio che non mi muova da qui, ci sarà un motivo per il quale sono nato qui, così come mio padre prima di me.
In fondo, c'è sempre un motivo per il quale viviamo.
Abbasso lo sguardo e sorrido radioso.
Il mio piccolo Glen sta dormendo e il suo pugnetto grande come il mio pollice sta stringendo la sua sorellina.
Quando cresceranno, prima io e poi Lacie cadremmo dal nostro fidato pesce destriero per far posto ai nuovi rappresentanti della famiglia Piscis, che dovranno poi fare altri successori e cadere a loro volta.
La piccola Alice apre i suoi grandi occhi verdi e mi sorride.
1602 parole (penso)
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