PRIMA PROVA
Guerra tra Cielo e Anima
Ebbi come l'impressione di sentire un dolce formicolio viaggiare lentamente verso l'estremità dei miei piedi. Passarono solo pochi secondi e la stessa sensazione si estese lungo le mie braccia, solleticandomi in maniera bizzarra la pelle. Cominciai a sentire caldo, a percepire i primi raggi del sole scorrere sopra i miei vestiti. Il suono delle onde si infranse sulla terraferma e mi trasmise una certa quiete armoniosa. Cosa avrei dato per risvegliarmi su un'isola dei Caraibi...
D'un tratto, il verso dei gabbiani mi fece sussultare. Mi svegliai di soprassalto e aprii gli occhi. Davanti a me un cielo limpido dai colori sfavillanti accecò la mia vista ancora assonnata. Allora distolsi lo sguardo dalla mia destra e una pazzesca visione fece sobbalzare il mio cuore. Sommerso dalle bianche sabbie di un'isola, mi ritrovai circondato dallo splendore delle acque turchesi dell'oceano. La spiaggia era talmente piccola, che dalla mia posizione riuscivo a vedere ogni singolo angolo della terraferma. Mi guardai attorno frastornato, girando ripetutamente su me stesso. L'isola era rivestita da lunghe palme, fiori violacei e uccelli nascosti dietro densi cespugli. Alcuni di loro cantavano a intermittenza, a tempo con il suono delle onde.
All'improvviso, un leggero vociare si introdusse nella mia mente, un'inquietante melodia, una voce indistinta, tenue e misteriosa. Non riuscivo a definirne la direzione, ma avevo come la sensazione che fosse dentro e intorno a me.
Poi, un bagliore metallico apparve alto all'orizzonte e un rombo lontano echeggiò nell'aria. I gabbiani dell'isola emisero l'ultimo verso sopra le onde del mare, per poi librarsi in cielo e abbandonare in fretta quel luogo. Tra le nuvole rade e l'azzurro limpido del cielo, l'oggetto luminoso sfrecciò in picchiata in direzione dell'isola e il suo rombo divenne sempre più corposo. Stetti col fiato sospeso, aguzzando lo sguardo nell'intento di stabilire cosa fosse. Passarono un paio di secondi, poi, tra l'incertezza e il terrore, quello che pensavo fosse un oggetto in avvicinamento si mostrò, fugando i miei ultimi dubbi. Un gigantesco aereo scese di quota ad una velocità inaudita e sembrò mirare proprio l'isola. Sarei sicuramente esploso insieme a lui, se fossi rimasto ancora qui a guardarlo. Allora mi girai di spalle e cominciai a correre sulla sabbia il più velocemente possibile in direzione del mare, unica mia salvezza. Il rombo del motore divenne cosi forte e violento che la paura di finire in mezzo alle eliche dell'aereo paralizzò ogni mio arto, lasciandomi inciampare lungo la riva della spiaggia. Prima che potessi girarmi e guardare in faccia la morte, il silenzio scese all'istante, e una folata di vento fece sollevare da terra infiniti granelli di sabbia. Il rombo del motore cessò di esistere e i gabbiani tornarono a librare nell'aria attorno all'isola. Mi girai di scatto, intento a capire cosa fosse accaduto, ma l'aereo era scomparso nel nulla, come se non fosse mai esistito. Una visione, però, mi diede la conferma che non fossi diventato pazzo: l'aereo aveva lasciato una traccia della sua esistenza, un sacco di juta stracolmo di oggetti vari e alimenti di prima necessità. Non capivo dove mi trovassi e cosa ci facesse il mio corpo in quest'isola, ma di sicuro sapevo cosa stesse combinando la mia mente, così impegnata nella ricerca della comprensione.
«Seth! Prendi quel cazzo di sacco e muovi il culo!»
Seth, era il mio nome. Qualcuno mi stava chiamando, una voce femminile alle mie spalle.
Frastornato, mi voltai e con stupore vidi una ragazza dai capelli nero pece, sporca sul viso di terra e sangue sbucare da una botola in centro alla spiaggia. Ero certo che poco tempo prima non ci fosse nulla del genere.
«Seth!» urlò ancora.
E un po' confuso camminai lentamente verso di lei trascinando il sacco sulla sabbia ardente della spiaggia.
Tutto era tornato calmo ed estremamente rilassante, tranquillo e pacifico. Gli uccelli cantavano, le onde andavano e venivano sulla sabbia, cancellando le impronte alle mie spalle.
Sgarbatamente la ragazza mi strappò il sacco di mano. Ma che modi! Non c'era alcuna fretta, in un'isola del genere si poteva avere tutto il tempo che si voleva, per rilassarsi, per prendere il sole, per fare un bagno, per...
No! Ma a che stavo pensando? Pochi attimi prima un fottutissimo aereo mi avrebbe sicuramente ucciso!
«Seth! Che cazzo fai lì impalato? Entra!» urlò con ancora più insistenza.
Mi guardava con un'espressione maledettamente preoccupata e impaurita.
Ancora non capivo, c'era qualcosa che non andava in quell'isola eppure, sapevo che se fossi entrato in quella botola non avrei più provato un così soave senso di pace come avevo fatto su quella spiaggia.
Ma la ragazza aveva ragione, non potevo rimanere fermo ad aspettare.
Senza pensarci troppo, mi aggrappai alla piccola scala di metallo arrugginito ed entrai.
Appena posai un piede, un senso di terrore misto a preoccupazione, eccitazione, confusione e sollievo mi colpì come un'onda sullo scoglio: questa era la realtà, la guerra.
Ammutolito e ancora aggrappato alla scala osservavo l'illusione di un'isola paradisiaca sfumare via come fumo, lasciando spazio agli orrori della battaglia. L'aereo che poco prima aveva abbandonato il sacco riprendeva quota, ma non abbastanza per riuscire a schivare un colpo nemico: esplose come un enorme fuoco d'artificio, facendomi cadere col sedere a terra.
Se questa era la realtà, allora cos'era stata quella visione dell'isola?
Lo spazio dove mi trovavo era angusto e puzzava di morte; la ragazza di poco prima - Jo ecco come la chiamavano - si stava già rimettendo in posizione di combattimento dicendo qualcosa che però non riuscivo a sentire. Era lei a dirigere il carrarmato su cui posavo il mio fondoschiena, questo ne ero certo. E piano piano i ricordi riaffiorarono, come se in precedenza fossero stati inghiottiti da una fitta nebbia.
«Stai bene, Seth?»
Mi guardai intorno: Eugene Evans - americano, capelli castani e occhi nocciola - mi osservava con un enorme proiettile in mano, pronto a caricare; Gideon Jackson - americano, occhi azzurri e capelli biondi -era pronto a fare fuoco; Stephen Morgan - americano, capelli e occhi neri - e Alexandra Dubois - francese, bionda, occhi verdi - sedevano ai loro posti davanti. Li conoscevo tutti, e molto bene: facevo parte anch'io di quella squadra.
«Sì, scusatemi, non so che mi sia preso... poco fa ero certo di trovarmi in un'isola dei Caraibi. Devo aver preso un brutto colpo» dissi massaggiandomi la nuca.
«Sarà stato il tuo Xenos. Quando si risvegliano, cercano spesso di mettere a "dormire" il proprio Oik così da potersi appropriare definitivamente del corpo»
E continuai a ricordare. Qualche anno fa scesero come fiammelle argentate dei parassiti per gli uomini: li chiamavamo Xenos, ospiti appunto perché si insinuavano all'interno del corpo umano fondendosi all'anima dell'altro. Era impossibile estrarli, ma l'umanità non se ne curò granché poiché questi sembravano rimanere assopiti all'interno del corpo. Gli uomini "contaminati" furono chiamati Oikodespotes, abbreviato in Oik, gli "ospitanti". Si scoprì solo in seguito che quegli esseri venuti dal cielo non erano innocui: si impossessarono di alcuni corpi umani, e solo i più forti riuscivano a contrastarli e a formare un legame con loro, così da poter fruttare le loro abilità speciali.
«Ora non abbiamo tempo per queste cose. Alex, riportaci a casa e in fretta! Sta arrivando uno stormo!»
Lo stormo. E non un semplice gruppo di volatili qualunque ma un gruppo di Serafini, o almeno così li chiamavamo. Erano venuti sulla Terra dopo l'apparizione degli Xenos e avevano distrutto tutto quello che avevano incontrato sul loro cammino. Alcuni uomini erano stati catturati da quegli esseri con sembianze angeliche, ma non avevano più fatto ritorno. Gli Oik che erano riusciti a stipulare un legame con i parassiti riuscivano a interagire gli uni con gli altri e avevano scoperto che i Serafini erano sul nostro pianeta per loro. Non era ben chiaro il perché, ma gli Xenos erano disposti ad aiutarci a riprenderci il nostro mondo. E così fu la guerra.
Un forte boato mi riscosse dai miei pensieri.
«Cos'è stato?» urlai.
«Serafino a ore dodici! Fuoco a volontà!» ordinò Jo.
Gideon ed Eugene spararono i loro missili, Alex e Steph ci diedero dentro con i mitragliatori, sollevando un'enorme nuvola di fumo e fiamme. Ma sapevamo tutti che c'erano ben poche probabilità di vittoria con un Serafino.
Calò il silenzio per qualche istante. Mi affacciai anch'io per vedere la situazione, ma non fu nulla di positivo: il mostro non si era mosso di un centimetro e, benché fosse ricoperto di detriti, le sue ali erano ancora bianche, i suoi capelli ancora biondi, i suoi occhi ancora glacialmente azzurri.
Jo imprecò sottovoce uscendo dal carro.
«Ora tocca a me ragazzi, voi, tutti fuori!»
Il carro aveva una botola di emergenza che permetteva la fuga in caso di necessità, ma nessuno parve aver sentito una sola parola.
«È un ordine!»
Dopo qualche secondo, uno ad uno, i miei compagni utilizzarono la botola. Sapevo che a qualche metro di distanza era possibile infilarsi in un tombino e continuare fino alla base attraverso le fognature, ma non me la sentivo di abbandonare Jo - il mio comandante - sul campo.
Io potrei aiutarti.
Fu una voce nella mia testa a parlarmi, la stessa che avevo sentito in lontananza nella mia visione.
Se mi concederai il tuo corpo, salverò i tuoi amici.
«Seth! Che aspetti? Va via!»
Jo aprì una mano davanti a sé e senza molti sforzi riuscì a plasmare una sfera di luce che scagliò contro il Serafino. Questa volta il colpo andò a segno e il pennuto volò per qualche metro prima di tornare alla carica. Aprendo le ali si era spinto a tutta velocità nella nostra direzione brandendo una lunga spada dorata mentre il capitano continuava a scagliargli con furia sfere di luce.
Ogni Xenos aveva una propria capacità da donare al suo Oik, questo era ciò che sapeva fare Jo.
Concediti a me e saprai fare certamente di meglio. Concediti a me e la guerra sarà vinta.
«Non pensi di esagerare?» domandai allo Xenos dentro di me.
«Cosa?» chiese il capitano.
Ma si distrasse un attimo, un attimo che ci sarebbe potuto costare la vita. Il Serafino era ormai a una manciata di metri da noi, ci avrebbe uccisi. Non ero pronto a morire. Istintivamente chiusi gli occhi e portai le mani davanti a me chiedendo aiuto nella mia testa. Ma non accadde nulla: non vi era più alcun fischio, rombo di motore, lamento o altro. Tutto taceva.
Lentamente aprii gli occhi e mi ritrovai la punta dell'arma dorata a pochi centimetri dal mio naso. Ingoiai il groppo che mi si era formato in gola, cercando di riprendere fiato.
Io non esagero mai.
Mi guardai intorno: tutto intorno a me si era fermato, ogni singolo uomo e Serafino, le fiamme e il fumo perfino.
Non durerà ancora per molto. Se vuoi fare qualcosa, falla adesso.
E non me lo feci ripetere due volte. Estrassi dal fodero sul fianco di Jo una spada dorata come quella del mostro davanti a noi e senza esitazione gli tranciai di netto la testa.
Tu ed io andremo molto d'accordo.
E dopo queste parole il tempo riprese a scorrere con il suo naturale flusso. La spada che mi avrebbe ucciso non andò a segno e la testa del biondo finì per scontrarsi con quella di Jo che si fece sfuggire un acuto gridolino da ragazzina.
Mi fu impossibile non ridere e mi beccai un'atroce occhiataccia dal capitano.
«Che cosa è successo?» domandò pulendosi il sangue blu dalla faccia.
«Non saprei dirlo con precisione ma... penso che il mio Xenos abbia fermato il tempo per qualche istante.»
La ragazza rimase interdetta per qualche istante, i suoi occhi grigi a mandorla che mi studiavano.
«Ci sono già stati alcuni casi di questo tipo ma...»
Quella sua interruzione non prometteva nulla di buono.
«ma?» domandai estremamente curioso ed impaurito.
«... ma nessuno è mai sopravvissuto molto dopo il risveglio di questo genere di Xenos.»
Incassai il colpo, un brutto colpo.
«Qu... quanto di preciso?»
Uno scoppio poco distante mi assordò per qualche istante.
«Torniamo alla base, poi ti spiegherò meglio.»
Annuendo rientrai nel carro, lo feci partire in direzione della base e dopo qualche decina di minuti potevamo considerarci salvi.
Il bunker che consideravamo ormai la nostra "casa" ospitava una decina di soldati ben addestrati, sopravvissuti e Oik. Una volta dentro ci ricongiungemmo con i nostri amici, eravamo tutti salvi.
Jo prese un asciugamano bagnato e si pulì la faccia prima di ordinare una riunione dei superiori, comprendendo anche me. La sala delle riunioni era spaziosa ma spoglia: comprendeva un solo lungo tavolo con una manciata di sedie attorno.
«Lo Xenos di Seth si è risvegliato» disse alzandosi dal tavolo e appoggiandovi sopra le mani.
«E quindi?» domandò il primo maresciallo Mark.
«E quindi non ci sarebbe nulla di strano se non fosse uno Xenos capace di manipolare il tempo» rispose il capitano.
Nella sala calò il silenzio. Sapevo che era qualcosa di strano ma non credevo fino a questo punto. Di solito per tutti quelli che non erano ammessi alle riunioni, rimanere fuori e sentire il vociare ostruito dalla porta era un vero spasso. A volte sembrava che in alcune riunioni vi partecipassero un gruppo di scimmioni o orchi invece che semplici persone. Perciò questo silenzio tombale era qualcosa di davvero sconcertante. Quasi tutti mi fissavano sconcertati, come se stessero aspettando che da un momento all'altro mi trasformassi in un Serafino e li uccidessi tutti. Non avevo scelto io di fondermi con uno Xenos difettoso.
Difettoso? Tsk. Se solo sapessi...
«Sapere cosa?» domandai sottovoce per non farmi sentire.
Ma non fui così fortunato. Jo mi saltò quasi addosso.
«Stai comunicando con lui?» mi chiese.
Titubante assentì con un cenno.
«Bene, allora avete stipulato un contatto. Vieni con me è tempo di mettere il tuo Xenos sotto catene.»
Non capivo a cosa si riferisse, avevo imparato anch'io qualche nozione sugli Xenos ma non ci era permesso parlarne apertamente e non si sapeva di preciso come facessero gli Oik a tenere sotto controllo i propri Xenos. Si dice che ogni parassita abbia delle abilità diverse da "donare" al suo ospitante, ma come si ottengano, rimane un mistero per molti.
Jo mi portò in una stanza totalmente bianca, con al centro una vasca da bagno dall'acqua arancione.
«Che cos'è questo posto?» domandai incerto.
«Spogliati ed entra nella vasca. Il liquido che si trova al suo interno stimolerà i neuroni che permettono il contatto tra voi due. Questo darà più potere a entrambi e lo Xenos dentro di te proverà ad imbrigliarti in ricordi, immagini o fantasie fasulle, così da impossessarsi del tuo corpo. Ma per fare ciò dovrà come togliere una zampa dalla tua anima, e in quel momento, se gli resisterai, riuscirai a capovolgere la situazione e ad ottenere il definitivo controllo del tuo corpo, sottomettendo il parassita.»
Detta così sembrava facile. Mi passai una mano tra i capelli, portando all'indietro quei ciuffi castani che mi ricadevano sulla fronte.
«Tutto qui? Devo resistere ad illusioni come quelle dell'isola e sarò in grado di controllare il mio Xenos?»
«In poche parole sì, questo è il succo della questione.»
Hm, qualcosa non mi tornava.
«Perché mi hai detto che di solito chi ha questo tipo di Xenos non dura molto? E perché prima si sono tutti zittiti nel scoprire il risveglio di questo genere di parassita?»
Il comandante appoggiò la schiena alla parete incrociando le braccia. Chinò la testa e solo dopo qualche attimo, sospirando mi rispose:
«Gli Xenos che riescono a manipolare il tempo tendono ad essere più... difficili da assopire, più testardi e combattivi... e un Oik posseduto...»
«È un Oik perduto» conclusi per lei.
Gli Oik che non riuscivano a controllare il proprio parassita erano necessariamente da abbattere, poiché troppo pericolosi.
«Va bene, ci proverò e in ogni caso... accetterò le conseguenze» dissi immergendomi nella vasca così com'ero.
Feci un bel respiro e m'immersi nell'acqua fredda sentendo come ultima cosa un "in bocca al lupo", poi il nulla.
Poi, di nuovo il caldo, il rumore delle onde e dei gabbiani: ero di nuovo sulla stessa isola caraibica di qualche ora prima.
«Pensi davvero di fregarmi di nuovo con questa illusione?» domandai al parassita dentro di me.
«Stupido Xenos» borbottai allacciandomi le mani dietro la nuca e godendomi i raggi del sole.
Di risposta sentì uno sbuffo di scherno.
Qui l'unico idiota sei tu!
«Hey! Ma che...?» mi alzai guardandomi intorno e seduta accanto a me sulla spiaggia mi ritrovai una graziosa ragazza che prendeva il sole: era in bikini, uno di quelli provocanti che lasciavano ben poco spazio all'immaginazione.
È davvero questo il genere di donna che ti attrae? Domandò indicandosi.
Era molto avvenente, con folti capelli biondi e mossi che le ricadevano sulle curve del seno e dei fianchi, occhi verde prato, labbra sottili e pelle candida. Sì, proprio il suo prototipo di donna perfetta.
«E sarei un idiota perché...?»
La ragazza sbuffa voltandosi di spalle e mostrando un notevole lato B. No, non mi avrebbe fregato con così poco.
«Se cerchi di imbambolarmi prendendo l'aspetto di una bella ragazza, non ci riuscirai. Parassita» e sputai l'ultimo aggettivo con quanto più veleno avevo in corpo.
Hey! Ti ricordo che se non ci fossi stata io a quest'ora tu e la tua amichetta sareste finiti all'altro mondo! E comunque ho un nome: Phanir Cremenia Asevic Goltar Nessirias.
«Wow. Io sono Seth e... ti chiamerò Nessie.»
Come osi lurido umano...
Sbuffai. Tutto questo non aveva alcun senso. Dubito che chiacchierare con un parassita possa velocizzare le cose.
Hai ragione, sarà meglio velocizzare la procedura.
Non capivo cosa volesse dire, ma in ogni caso mi preparai al peggio.
Sarà meglio mettere in chiaro alcune cose: primo, non ho alcuna intenzione di prendere il controllo del tuo corpo; secondo, voglio collaborare con te per sterminare quei pennuti che ci danno la caccia da tempo immemore; terzo, ti donerò il mio potere e un piccolo aiuto se mi prometterai di uccidere fino all'ultimo Serafino disceso sulla Terra.
Non ero certo che dicesse la verità, ma una parte di me sapeva, in qualche modo, che non stava mentendo.
«Perché dovrei fidarmi? Chi mi garantisce che non proverai a prendere il mio corpo in un altro momento?»
Perché per noi discendenti della famiglia reale non c'è nessun vantaggio nel possedere un corpo umano. È troppo debole e fragile per contenere noi custodi del tempo, si deteriora più velocemente del normale e ci porta alla pazzia.
«E tu come fai a saperlo? Molti altri prima di te hanno posseduto corpi umani e sono stati soppressi. Perché l'avrebbero fatto sapendo questo?»
Sbruffoni. Quando si fa parte di un'élite così alta, si finisce per credersi onnipotenti e invincibili. Non per altro ero io la candidata più papabile al trono e non i miei fratelli. Eravamo stati avvisati di questo... possibile inconveniente, ma loro hanno voluto rischiare e perire, io no. Nostro padre non ha potuto ascendere come noi sulla Terra, pertanto rimango io l'unica erede al trono. Ho un popolo da salvare e ho bisogno del tuo aiuto.
Mi alzai in piedi e mi guardai intorno.
«Non so bene perché, ma ti credo.»
Mi stiracchiai e mi legai i capelli in un cipollotto.
«Allora... perché quest'isola?»
La ragazza alzò un dito verso il cielo ed io lo seguì con lo sguardo.
Un serafino stava volando in picchiata verso di noi, ma era un'illusione, giusto? Non dovevo aver paura per la mia vita.
Questa - disse la ragazza - è la base nemica.
E solo in quel momento, voltandomi, riuscii a vedere nascosto tra la vegetazione un imponente castello brulicante di Serafini.
Prendendo fiato uscii dall'acqua della vasca da bagno.
Jo mi osservava speranzosa.
«So dove si trova la base dei Serafini.»
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