Gli scritti scomparsi

«Secondo me è stato il duca!» disse Bidule.

«Taci» cercai di zittirlo mentre mi massaggiavo le meningi. 

Qualcuno aveva rubato i preziosi scritti di Filippo VIII, duca d'Orleans, durante uno dei suoi annuali balli che casualmente doveva coincidere con il mio debutto in società. Mio padre lo aveva rassicurato insieme ad altri uomini, promettendogli che lo avrebbero aiutato a risolvere il mistero. Io avevo origliato e non volevo starmene in disparte.

Le guardie non mi lasciavano avvicinare allo studio contenente la cassaforte, così ero rimasta inebetita a fissare l'intonaco della porta, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e il mento premuto sui miei palmi.

«Lo ha fatto per animare la soirée» continuò Bidule, zampettando qua e là al mio fianco sul marmo dello scalino.

Anche la sua voce metallica, che di solito adoravo, mi stava distraendo.

«Chiunque avrebbe potuto sottrarli e fortunatamente il duca ha fatto chiudere tutte le uscite, quindi i i sospettati, almeno lo spero, sono ancora all'interno del palais» mi picchiettavo i polpastrelli sulle guance: «Dobbiamo solo individuare chi è stato».

«Ma te l'ho detto. Il colpevole è il duca» proruppe cocciuto. Gli ingranaggi dei suoi arti schioccarono tra di loro, emettendo un sibilo sinistro.

Gli feci segno di tacere, mentre alcune guardie nelle loro divise azzurre, poste a presidiare la porta dello studio, fissavano verso di noi in modo strano. Posai una mano sulla testa fredda del piccolo robottino che avevo costruito e gli feci una carezza per farlo calmare. Se non gli davo retta s'inviperiva sempre. «Ma certo mon petit, hai proprio ragione» gli dissi, per poi sorridere alle guardie che ancora ci stava osservando.

Bidule si lasciò coccolare, come fosse un gattino. Ogni volta mi lasciava stupefatta. Anche il metallo ama sentirsi amato e lui rappresentava la mia invenzione più innovativa e singolare. Un cuore di vapore, che attraverso meccanismi complicati riusciva a far girare delle piccole manine e dei piedi e una testa pensante. A solo vent'anni ero già famosa in tutta la francia per quello che riuscivo a costruire.

Molti mi consideravano una mente evoluta, alcuni una pazza, altri facevano addirittura gli scongiuri quando passavo. 

«Almeno sai che cosa contengono quegli scritti?» mi domandò, strusciandosi contro la mia gonna setosa. Mi sembrò che stesse facendo le fusa.

Scossi la testa. «No, non lo so, ma il duca mi sembrava parecchio preoccupato a riguardo».

«Marguerite» mi chiamò qualcuno alle mie spalle: «Che cosa ci fai qui? Dovresti tornare nel salone con gli altri invitati».

Riconobbi all'istante la voce di mio padre, alzando gli occhi verso gli affreschi che pitturavano il soffitto. Come potevo dirgli che non mi andava di stare con Amélie a far da balia per il resto della serata ai miei piccoli fratellastri.

«Mi sono persa ad ammirare le stanze, padre» mentii.

Si sedette sullo scalino accanto a me, posandomi una mano sulla spalla. Il naso rivolto all'insù verso gli affreschi. Un sorriso gli comparve tra la barba. «Fossero stati realizzati con la tecnica del Pointillisme sarebbero più affascinanti, non credi anche tu?».

Aggrottai le sopracciglia, chiedendomi come un artista del suo calibro potesse aiutare il duca. «Certo» dissi soltanto, mentre nella mia testa già elaboravo un piano per scoprire il colpevole e fuggire dalle grinfie della mia famiglia.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top