capitolo 5

Il freddo mi pizzica le guance e l'ansia fa battere il mio cuore come impazzito nel petto.
Sono appena scesa dalla moto e non so nemmeno come comportarmi. Mi sto avvicinando al pianerottolo con la stessa voglia di America di condividere lo stesso ossigeno con me.

La mano tremante si posa sulla maniglia e decido di farmi coraggio. Non ho così tanta paura, è solo che non voglio beccarmi un altro schiaffo in faccia. Apro la porta con decisione ed entro, chiudendola alle mie spalle, quasi silenziosamente.

Stringo con decisione le cinghie dello zaino e proseguo dritto verso le scale, ma la voce di Joseph mi blocca. Perché diamine sa sempre quando torno a casa? Sembra una maledetta spia. Mi fermo sui miei stessi passi e mi giro quasi a rallentatore verso di lui.

Indossa un completo grigio, il viso sembra più rilassato e riposato. Non ha più gli occhi rossi e l'aspetto trascurato. Sembra sobrio.
«Dove sei stata?» sa che ho dormito, teoricamente, da Beatrice. Se me lo sta chiedendo, significa che ha dei dubbi che intende togliersi.

«Fuori.» mi limito a rispondere, lasciandolo vagare ancora di più nel mare dei dubbi.

«Sì, questo l'avevo capito. Sei stata con amici, oppure...?» alza un sopracciglio, il suo sguardo inquisitorio mi mette ancora più ansia. Sento le budella attorcigliarsi dentro lo stomaco e mi schiarisco la gola prima di rispondere. «Certo, altrimenti con chi dovrei uscire?»

Joseph allenta il nodo della cravatta e fa un passo verso di me. Osservo i suoi piedi in un paio di scarpe Versace, nere e lucidate, avanzare ancora verso di me.

«Bene. Vai a farti una doccia. Hai un odore sgradevole per essere una ragazza.» mi dice, sforzandosi a sorridermi. Anche la rabbia che provo ora e la voglia di spaccargli la faccia è tanta per una ragazza, vorrei dirgli.

«Vado in ufficio.» mi liquida con un cenno della mano e sento i suoi passi lenti, ma forti, riecheggiare nell'abitazione. Afferra la sua valigetta marrone di pelle ed esce fuori.

Non appena vedo la porta bianca chiudersi, tiro un sospiro di sollievo. Salgo due scalini alla volta per arrivare il prima possibile nella mia stanza. Mi fermo nel corridoio, il mio sguardo cammina dritto verso la stanza di America.

Lascio lo zaino a terra, vicino alla mia stanza, poi mi avvicino lentamente alla porta, che ha lasciato socchiusa, della sua stanza. Non oso avvicinarmi di più, perché la sento parlare al telefono.
«Sì, stasera possiamo uscire. Ci vediamo al solito posto» e poi aggiunge: «No, sai già che non porterò nessuno con me.»

Mi acciglio così tanto finché le mie sopracciglia non si toccano. Torno nella mia stanza e chiudo con forza la porta, facendole capire di essere tornata. Non le importa molto, ma è sempre meglio avvisare. Non riuscirò mai a capire il suo odio immenso nei miei confronti. Un odio secondo me ingiustificato.

L'invidia so che è brutta, ma siamo cresciute insieme. Ora siamo adulte, potrebbe benissimo mettere il risentimento da parte e provare ad andare d'accordo con me. Sospiro e mi butto sul mio letto, godendomi la sua freschezza e morbidezza.

Immersa nel silenzio, riesco a percepire anche il minimo rumore. Un suono strano attira la mia attenzione; un suono che non riesco nemmeno a spiegare. Mi alzo in piedi e inizio a camminare per la stanza, cercando di capire da dove proviene. Mi abbasso sulle ginocchia e guardo altro il letto, ma non c'è niente.

Guardo in ogni angolo della stanza, ma nulla. Vado verso l'armadio e prendo dei vestiti puliti, poi mi rifugio dentro il bagno, pronta a farmi una doccia rilassante. Mi tolgo la felpa e la maglietta di Reed, gettandole a terra, e mi sbarazzo anche dei jeans, scarpe e calzini. Rimango in intimo e mi osservo nel vetro a specchio della cabina doccia.

Mi tolgo l'intimo e osservo le mie curve.
A volte mi piace soffermarmi con lo sguardo sul mio corpo. Mi piace osservarne i cambiamenti con il passare degli anni. Mi piace anche ad amare ogni mia imperfezione. Noto come i fianchi siano diventati più arrotondati, come il seno sia sempre lo stesso; non è prosperoso, ma lo reputo normale. Sono nella media.
Le gambe sono forse più toniche grazie alla palestra, anche se dovrei ringraziare pure il mio metro e settanta, perché le mie gambe appaiono più lunghe e magre.

Regolo l'acqua della doccia e poi lascio che il getto colpisca il mio corpo. Sin da subito i capelli si appiccicano al alle spalle e sul viso. In situazioni del genere odio averli lunghi. Non mi piace sentirli bagnati e appiccicati. È una sensazione che odio.

Inizio a lavarmi, pensando inevitabilmente al biglietto che ho trovato attaccato allo specchietto.
Ho sbagliato a sfidarlo, è vero. Avrei potuto rimetterci la pelle.

Finisco di lavarmi ed esco dalla doccia, circondando il mio corpo con un asciugamano grande. Ne prendo uno più piccolo e mi tampono i capelli, dopodiché esco dal bagno e rientro nella mia stanza, dove trovo America seduta sulla sedia davanti alla scrivania.

«Bentornata.» borbotta con fare annoiato, evitando il mio sguardo.

«Qualcuno ti ha dato il permesso di addentrarti nella mia stanza?» le chiedo quasi in tono aggressivo.

America alza gli occhi al cielo e accavalla le sue gambe lunghe. Si passa una mano tra i capelli setosi neri e poi appoggia l'avambraccio sulla scrivania, sorreggendosi la testa.
«Che fai stasera?» è sabato, tutti escono, ma io non ne ho tanta voglia. Il venerdì e il sabato c'è il delirio, soprattutto al college. America non si è mai interessata a ciò che faccio il sabato sera, quindi per quale motivo lo fa adesso?

«Non lo so. Probabilmente rimarrò chiusa nella mia stanza.»

Si lecca le labbra sottili e mi guarda di sottecchi.
«Capisco...Quindi non uscirai con Reed?» chiede, come se volesse accertarsi meglio su qualcosa.

«Forse sì... o forse no.» mormoro, ghignando. Lei emette uno sbuffo di fastidio e incrocia le braccia al petto.

«Beh, in ogni caso...» dice, increspando le labbra in una piccola smorfia, «non mi interessa davvero. Ero semplicemente curiosa. Pensavo che avresti fatto qualcosa di diverso.» si alza in piedi e si muove con la sua solita eleganza verso la porta.

«Bene, esci fuori.» le ordino, il tono carico di disprezzo.

Prendo un pantalone della tuta, una maglietta larga e l'intimo e mi cambio. I capelli umidi ricadono sulle mie spalle e mi affretto ad asciugarli con l'asciugacapelli.
Una volta finito, mi siedo nuovamente sul letto a gambe incrociate e chiamo Reed, il quale mi risponde dopo il terzo squillo.

«Che fai stasera?» esordisco in tono quasi disperato.

«Stai bene?» chiede, invece. Sorrido e alzo gli occhi al cielo. Il mio migliore amico è il solito.
«Sì, Reed. Allora?» domando, sdraiandomi a letto.

«Non lo so. Non ho niente in programma. Vuoi uscire?» chiede in tono allegro.

«Forse. Ti faccio sapere più tardi, va bene?»

«Okay, per te sarò sempre libero.» dice e poi starnutisce. Ridacchio a bassa voce e poi lo saluto.

Rimango in silenzio e guardo il soffitto. Sento nuovamente un suono strano; sembra un piccolo ronzio. Guardo a destra, la direzione nella quale sembra provenga il suono, ma non vedo niente. Ripenso ad America e alla sua curiosità.

Cosa mi sta nascondendo? Sono indecisa se dirlo a Reed e togliermi il dubbio, oppure uscire e fare finta di niente.
Sarà tutto da vedere. Sarà la mia testa a suggerirmi cosa fare.


***

Per dimenticarmi della faccia irritante di America, ho deciso di passare il pomeriggio insieme alle mie amiche. Vorrei davvero pensare ad altro e svagarmi, a costo di sentire le peripezie di Sophie per tutta la giornata.

«Sono andata a letto con Joseph» cinguetta lei, mordendosi il labbro maliziosamente.

Beatrice smette di bere il suo frullato e inizia a tossire incessantemente, tant'è che Sophie inizia a darle qualche colpetto sulla schiena.

Io, d'altro canto, sono scioccata.
«Sei andata a letto con il mio padre adottivo?» le chiedo, trovando la forza di guardarla negli occhi.

Questa volta è Sophie a guardarmi come se fossi stupida.

«Certo che no! Che schifo! Intendevo... un ragazzo del mio corso di letteratura.» alza gli occhi al cielo poi distoglie lo sguardo, imbarazzata.

Beatrice gioca con la cannuccia e mi guarda in modo complice, facendomi capire di non essere al corrente con la vita intima di Sophie.

Noi tre siamo completamente diverse, abbiamo uno stile di vita differente, eppure andiamo molto d'accordo. Non per forza si deve avere qualcosa in comune con l'altra persona per poter essere amici. A Sophie piace divertirsi e fare baccano.
A Beatrice piace di più la tranquillità ed è, forse, la più matura tra noi tre.
E io sono una via di mezzo.

«Ma se intendi quello con i capelli verdi, sappi che ho sentito una cosa molto... Ehm...» Beatrice storce il naso, poi fa un sorrisetto. Io e Sophie ci guardiamo senza capire ciò che la nostra amica intende. Non bado molto ai gossip.

A malapena mi interessa la mia vita, figuriamoci quella degli altri.

Bea sbuffa e poi continua la frase: «Ho sentito che ha impollinato una ragazza» muove le sopracciglia su e giù.

Io e Sophie ci scambiamo nuovamente uno sguardo confuso.

«Oh, insomma! Chi vuol capire, capisca.» fa spallucce.

E poi si sente soltanto l'urletto isterico di Sophie.
«Oh. Mio. Dio. L'ha messa incinta?»

Beatrice si alza dalla sedia, si piega sul tavolo e allunga la mano per tapparle la bocca. Metà della gente nel locale si è girata per guardarci.

Come sempre, quando una situazione diventa troppo imbarazzante, prendo il cellulare e fingo di non esistere.

Bea mi tira un calcio sotto il tavolo e poi mi fa un cenno del capo verso i ragazzi appena entrati dentro. Sophie fischia in segno di apprezzamento, e sono tanto così dal voler tirare una testata contro il tavolo.

Intravedo la chioma riccia di Reed e sorrido, sentendomi già più rilassata. Il
Miranda's House of Pancakes è dove di solito ci riuniamo per fare colazione e sia dopo le lezioni, anche soltanto per chiacchierare e bere il caffè.

Alzo una mano per salutare Reed, e mima con le labbra se ho pensato a cosa potremmo fare stasera. Scuoto la testa e lui alza gli occhi al cielo.

Sorrido tra me e me e giro lo sguardo verso la finestra, notando dall'altra parte della strada una moto nera parcheggiata, con in sella una persona vestita di nero che sta guardando dritto verso di me.

So che è la stessa persona. Lo sento.

Mi giro verso Reed, il quale sta guardando anche lui verso la finestra con sguardo accigliato. Riporto l'attenzione sulla moto e vedo il tizio sconosciuto alzare due dita in segno di saluto per poi ripartire e andare via.

Io e Reed ci guardiamo di nuovo e so già che anche lui ha capito che qualcosa non va.
Fa una smorfia, alza le spalle facendomi segno di non pensarci, e poi continua a parlare con i suoi amici.

Beh, dannazione... La chiamerei coincidenza, ma so per certo che non lo è.

Chi sei, caro sconosciuto...

Helloo❤️ come state? Le vacanze stanno per finireeeee.

Ora mi lanciate i pomodori perché ve l'ho ricordato.

Siete felici? Intenso, davvero felici. Vi sentite bene con voi stessi?

Per ora ho deciso di aggiornare una volta alla settimana, semplicemente perché sono in vacanza in un altro paese, quindi dato che ho poco tempo per scrivere, preferisco non assentarmi del tutto, ma scrivere almeno una volta 🙈 perdonate i miei tempi un po' sballati in questo periodo, ma appena torno in Italia spero di riprendere il mio ritmo senza farvi aspettare secoli❤️ vi ringrazio per la pazienza.

Per restare aggiornati, seguitemi su Instagram: _shadowhunters_96

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