capitolo 14

Dovrei scrivermi da qualche parte, magari a caratteri cubitali, di non fare più favori ad America.
Mentre lei è uscita a spassarsela con chissà chi e chissà dove, io sono costretta a presentarmi ad un pranzo al quale non ci voglio andare per nessun motivo al mondo, ma eccomi qui. Gliel'ho promesso, non posso tirarmi indietro proprio ora.

In momenti come questi mi manca Clara. Mi manca il suo modo di sorridermi comprensiva mentre mi aiutava a scegliere il vestito più adeguato. Mi manca il suo saper tenere testa a Joseph e il suo modo di difendermi, perché per lei io ed America eravamo uguali, non faceva mai preferenze. Joseph sta facendo tutto il contrario. 

America non mi ha dato una mano nemmeno nello scegliere il vestito giusto, perché nonostante fuori faccia freddo, non posso mettermi la felpa e un paio di jeans. Per Joseph io devo essere sempre impeccabile, sempre a posto, niente dev'essere fuori luogo.

Mi sono fatta i capelli lisci, ma non mi fanno impazzire. Nonostante la mia chioma sia per la maggior parte del tempo indomabile, a me piace così; sono io, non riesco a vedermi in un modo diverso.

Il vestito bianco con qualche dettaglio rosa mi fa sembrare più giovane di quanto io non lo sia già. Secondo Joseph dà l'idea di ragazza pura e per bene.
Come faccio a spiegargli che lo sono già e che non sarà un vestito con dei fiori rosa a rendermi innocente?

Non capisco se è lui che si rifiuta di vederci crescere e diventare sempre più adulte, o nasconde qualcos'altro.
D'altronde, lui è sempre stato strano. Spesso anche Clara evitava di vestirsi in un determinato modo perché, a quanto pare, a lui dava fastidio.

Non posso truccarmi troppo perché la bellezza dev'essere naturale. Non posso mettere indumenti più aderenti quando siamo con i suoi amici o colleghi di lavoro perché altrimenti farei una brutta figura.

Quindi eccomi qui, mentre do un'altra passata di lipgloss e mi guardo allo specchio per un'ultima volta prima di uscire dal bagno e scendere al piano di sotto.

Joseph è già vicino alla porta, mi sta aspettando. La sua faccia non è troppo incantata di vedermi, ma mi fingerò sorpresa.
«Ci hai messo un po' per così poco.» è la prima cosa che dice dopo avermi osservata dalla testa ai piedi.

«Ho avuto un problema intestinale, ho perso tempo.» invento, alzando gli occhi al cielo.

Il suo sorriso sadico si fa nuovamente presente, poi afferma: «Spero tu non ti chiuda in bagno per il resto della giornata e non degni i Turner con la tua magnifica presenza.»

Ha capito che ho inventato una balla e sa che sarei capace di chiudermi in bagno a costo di non stare accanto a lui e sentirlo parlare di lavoro e di quanto sia orgoglioso di sua figlia, perché prenderà il suo posto in futuro. Beh, convinto lui.

Usciamo e andiamo verso la sua Mercedes. Sento i suoi passi pesanti dietro di me e ogni volta che sento la sua presenza alle mie spalle, penso che possa farmi qualcosa all'improvviso. Forse esagero nell'elaborare dei pensieri così folli, e forse è anche la mia mente che è intrisa di paranoie, ma dato che so cosa pensa di me e che non si è fatto scrupoli nell'alzare le mani più di una volta, non sarei poi così sorpresa.

In macchina sembra scocciato. Vorrebbe dirmi qualcosa. Lo vedo spesso mentre guarda nello specchietto retrovisore, fa schioccare la lingua così tante volte che inizio a trovare il suo gesto insopportabile.

«Perché America non è venuta con noi, dunque?»

Deglutisco e dico la prima cosa che mi passa per la mente: «Mi ha detto che ha un esame importante tra qualche giorno, quindi è andata da una sua compagna di corso a studiare» nonostante io non sia brava a mentire, spero che lui mi creda. Per essere più convincente, aggiungo: «A quanto pare sa fare anche altro oltre a specchiarsi e divertirsi.»

Ecco, Joseph non tarda a lanciarmi un'occhiata torva. Beh, l'intento era proprio questo.
«Sei davvero arrogante e maleducata nei confronti di tua sorella.» commenta.

«Ci unisce soltanto un cognome che non considero nemmeno mio.» faccio l'errore di essere crudelmente sincera.

Lo sguardo di Joseph scatta verso di me, lo vedo sorridere beffardo ma non dice niente. Dovrò preoccuparmi?
Quando arriviamo a casa dei Turner, prima di scendere dalla macchina Joseph mi guarda come se volesse dirmi "Fai qualcosa di sbagliato e poi te la farò pagare".

Devo fare la brava e fare ciò che dice lui: ricevuto.
Come la brava figlia che sono, sfoggio un sorriso raggiante, mostrandomi felice e lieta di vederli di nuovo. Penso che il sorriso sia una tra le armi più forti: sorridi a chi ti vuole male, e lo colpisci dritto nell'orgoglio. Sorridi quando sei triste, e la gente ci crede. Sorridi quando non sopporti qualcuno, e va tutto bene.

«Oh, cara!» esclama estasiata la signora Turner. I suoi capelli biondi, quasi come il colore di un campo di grano, fluttuano ad ogni passo mentre si dirige velocemente verso di me, come se non vedesse l'ora di abbracciarmi. Il mio sorriso imbarazzato dice tutto.

«Ciao, signora Tu-»

«No, cara. Chiamami Rachel e basta. Te l'ho detto tante volte di darmi del tu.»
Un sorriso forzato spunta sul mio viso.

«Ciao Rachel e basta.» bofonchio tra me e me, ma lei mi sente e scoppia a ridere. Non potrei dire la stessa cosa di Joseph, che mentre parla con il marito di Rachel mi tiene d'occhio quasi come se fosse la mia guardia.

«Prego, andiamo dentro.» esordisce Rachel, mostrandoci l'entrata con un braccio puntato nella la direzione verso la quale già Joseph si è incamminato, mentre risate piene di allegria schietta e intensa riecheggiano nell'aria.

Alzo gli occhi al cielo, indisturbata se qualcuno mi potrebbe vedere. Quanto vorrei andare via da questo posto! Sicuramente America se la sarebbe cavata meglio. Lei è fatta per queste cose.

«Cosa mi racconti di bello, cara? Gli studi come proseguono?» mi chiede Rachel con un sorriso così luminoso, che potrebbe perfino far invidia al sole.

Mi schiarisco la gola. «Proseguono abbastanza bene, la ringrazio per l'interessamento.»

Entriamo nell'enorme sala da pranzo e deglutisco. Sì, io sono abituata allo sfarzo, ci vivo da quando avevo nove anni, ma lei ci supera di gran lunga. Ora ho capito perché Joseph vuole tenerseli più vicini. Lui è un po' così: si fa amico chi è nemico, scopre i suoi segreti, il suo asso nella manica, e poi lo colpisce con le sue stesse armi e si innalza da solo.
Manipolatore, spietato, furbo. Ecco com'è  lui.

Mi siedo a tavola, davanti a Joseph. Sguardi fulminei scattano tra di noi. Inarco un sopracciglio con eleganza, sorridendo in modo impertinente e lui serra la mandibola.

Il tavolo viene da subito riempito di pietanze di vario genere. Solo al pensiero che io possa mangiare tutto questo mi viene il mal di pancia.

Mentre Joseph mangia in modo raffinato delle tartine al tartufo, io sono indecisa su cosa afferrare per primo.  Quasi tutto a base di pesce: astice, aragosta, scampi, ostriche, polpo, pesce spada. Tutto molto delizioso, ma preferisco la carne. Taccio e mangio quasi contro la mia volontà.

Due ore dopo, sono sul terrazzo e ammiro il paesaggio intorno.
Gioco con l'orlo del vestito e sospiro, perché non vedo l'ora di tornare a casa.
Sento dei passi pesanti alle mie spalle e mi giro per guardare. Il signor Turner sorride in modo beffardo mentre si rimette in bocca il sigaro.
«Ciao, Anemoon.» il suo tono sommesso non mi piace.

«Salve.» rispondo, dandogli nuovamente la schiena. Perché diavolo è uscito fuori? Non so intrattenere un discorso interessante con persone molto più grandi di me, soprattutto quando loro sono affermati uomini d'affari e io ancora una studentessa.

«Sei uscita a prendere una boccata d'aria?» chiede.

No, sono uscita fuori a parlare con gli uccellini, vorrei dirgli.
«Sì.» rispondo.

Cala il silenzio tra noi due. Si sposta alla mia sinistra. Faccio l'errore di osservarlo con la coda dell'occhio, notando il suo sguardo puntato sulle mie gambe nude.
Mi sta venendo la nausea. Che schifo. Potrei essere sua figlia.

«Sei una bellissima ragazza, sai?» domanda, accennando mezzo sorriso.

«Sì, lo so.» rispondo in modo sfacciato, non riuscendo a trattenere a lungo la rabbia.

Il signor Turner soffia il fumo verso di me, facendomi tossire. Elimina ancora di più le distanze tra noi due e l'aria inizia a farsi più tesa. Non voglio fare una scenata, quindi mi giro e gli dico: «Le serve qualcosa, signor Turner? O posso continuare a godermi il silenzio di cui necessitavo, prima che lei venisse a tenermi compagnia. Una compagnia che non ho richiesto.»

Lui diventa quasi paonazzo in viso, si schiarisce la gola e scioglie leggermente il nodo della cravatta. Segno che l'ho messo a disagio e la mia frase è arrivata esattamente dove doveva arrivare.

Stringo con forza la balaustra e guardo giù. Sento l'aria fresca colpire la mia pelle, facendomi venire i brividi. Non è il periodo giusto per indossare un vestito, visto le basse temperature. La rabbia che provo al momento mi aiuta però a percepire ancora di meno il freddo. Il sangue ribolle nelle mie vene e il signor Turner non intende andare via. Stringo i denti, girandomi verso di lui in slow motion, lo guardo da sotto le ciglia allungate dal mascara, e il signor Turner avanza verso di me a passo deciso, con lo sguardo furente.

Sento il cuore martellarmi nel petto, l'ansia che divampa dentro di me come un fuoco. Questa volta mi brucerò.
«Non gradisco le persone impertinenti.» ringhia contro il mio viso, afferrandomi con forza da dietro il collo.

Un silenzio esausto aleggia in aria, la rabbia brilla negli occhi di chi ora è quasi ad un passo dal soffocarmi. Mi tocca con forza proprio dove sento di solito il bruciore, e ciò non fa altro che intensificarlo.

«Non» sibilo, toccando la mano avvolta intorno al mio collo «mi piace» stringo di più, senza distogliere lo sguardo dal suo «essere toccata dai maiali viscidi come te.» sento la rabbia aumentare sempre di più dentro di più, il cuore che batte più del normale.

Il signor Turner dilata le pupille mentre sono fisse nelle mie.
Lo costringo a guardarmi come se potesse vedere l'inferno scatenarsi dentro e provo un certo senso di godimento nel vedere la sua espressione terrorizzata. Sento un calore percorrere tutto il mio braccio fino ad arrivare alle dita, quelle con le quali stringo con forza la sua mano.

Apre la bocca e ciò che esce sembra un grido silenzioso. I suoi occhi soffrono, la bocca aperta ma zitta, le forze che abbandonano il suo corpo. E mi piace ciò che vedo.

Quando la pressione sulla sua mano aumenta e sento crescere dentro di me la voglia di fargli male, il suo sguardo sofferente mi grida di fermarmi, ma non ci riesco.

Il respiro diventa sempre più pesante, è come se una forza mi schiacciasse la cassa toracica.
E poi un suono acuto mi perfora i timpani, facendomi indietreggiare e mollare la presa sull'uomo davanti a me. Mi porto le mani alle orecchie e cado in ginocchio; trattengo un gemito di dolore tra i denti.

Il signor Turner cade all'indietro, respirando a fatica e cercando di riprendersi. La sua mano è rossa, come se si fosse bruciato. Gli sono rimaste stampate addosso le mie dita, la forza che ho usato.

Mi porto la mano dietro il collo e premo sul punto che mi brucia; più cerco di avanzare verso di lui con il desiderio di fargli ancora più male, più il bruciore aumenta.

Quasi come se una forza invisibile mi spingesse all'indietro, impedendomi di compiere un'altra mossa di cui potrei pentirmene; mi tiene saldamente contro il pavimento.

Chiudo gli occhi, senza smettere di gemere. È come se ci fossero due me dentro il mio corpo: una che vorrebbe distruggere tutto quanto e l'altra che ragiona e mi impedisce di mettermi nei guai.

"Non spezzare il sigillo ora." Sussurra una voce soave dentro la mia testa. Il corpo si affloscia sul pavimento e tutto intorno a me gira, finché non vedo e sento più nulla.

Quando riprendo coscienza, mi ritrovo su un divano color crema, con Joseph e Rachel che mi guardano preoccupati. O per lo meno, Rachel sembra preoccupata, ma Joseph sembra incuriosito, esterrefatto.
Sento la gola arsa, la mano mi trema come se avessi esaurito tutte le energie. I miei occhi vagano per la stanza finché non vedo la bottiglia d'acqua sul tavolino e la indico con un dito.
«Vuoi dell'acqua tesoro?» chiede Rachel con fare dolce.

Annuisco e noto Joseph ancora con lo sguardo puntato su di me, come se fossi qualche strano esperimento che lo affascina.
Rachel mi porge il bicchiere e mi aiuta a bere. Inizio a ricordare ciò che è successo e il panico prende il sopravvento.

«Non ti agitare, hai avuto un calo di zuccheri. Andrà tutto bene.» mi dice Rachel, ma io so che non è stato questo.
Sulla soglia della porta spunta il signor Turner, con la mano fasciata e un sorriso sul viso.

«Finalmente!» dice con voce allegra. Cosa?

«Che... Cosa» guardo la sua mano. «Cosa le è... successo?» domando, cercando di non sforzarmi.

«Oh niente, a quanto pare volevo mettere la legna sul fuoco e mi sono bruciato. Nulla di che, cara. Cose che capitano.» 

Cose che capitano... O sto impazzendo, o ciò che è successo non è normale.
«Meglio se torniamo a casa, che ne dici?» chiede Joseph sorridendomi in modo forzato. Annuisco e mi alzo in piedi, cercando di trovare l'equilibrio. Senza dire una parola, mi avvio già verso l'uscita e vado verso la macchina, quasi fossi un automa.

Aspetto che Joseph apra la macchina e quando siamo entrambi dentro e usciamo dalla proprietà dei Turner, si gira verso di me e dice: «Le persone devono essere punite quando fanno qualcosa di male.» il suo tono è cautamente neutrale.

E so già cosa mi aspetta. Appoggio la testa contro il finestrino, non trovando la forza di ribattere, e mentre ci allontaniamo guardo il parco vicino, dove tra gli alberi spogli un'ombra si sposta, quasi necessitando di essere notata da me. Mi passo la mano dietro il collo, dove sento ancora un leggero bruciore, e poi guardo nuovamente tra gli alberi, ma l'ombra non c'è più.

Sospiro e riporto l'attenzione sulla strada, gridando non appena una figura spunta in mezzo al nostro cammino: «Joseph, attento!» sento lo stridere dei pneumatici sull'asfalto, la macchina che gira e si capovolge, il frastuono dei finestrini rotti e poi il nulla.

Ta ta taaaan 🧐 cosa sarà mai successo eh eh. 🙄

Secondo voi perchè ad Anemoon brucia dietro il collo? Cos'ha? 🙊 E Joseph è sempre più strano.  E quale sigillo.

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