Capitolo 5
Si era fatto una doccia fredda per cercare di darsi una calmata, sentiva il suo corpo fremere dalla collera per questa situazione assurda. Era furioso con Emma che aveva avuto il coraggio di morire senza dargli la possibilità di rivederla un'ultima volta, era furioso con tutta questa storia e sul fatto di aver dovuto dire di andarsene ad una ragazzina che, oltre ad essere la copia di sua madre, era paurosamente indifesa. Uscì dalla doccia, lasciando che l'acqua bagnasse il pavimento asciugandosi velocemente con un telo, mentre a denti stretti malediva tutta quella situazione. Emma era riuscita a ripiombare nella sua vita come un fiume in piena, travolgendolo, come aveva fatto la prima volta che l'aveva vista a scuola. Se n'era fregata altamente del fatto che lui si sentisse un pesce fuor d'acqua che parlava a mala pena un pò di italiano e tutte le ragazze lo guardavano come si guarda un buon bocconcino da poter mangiare e i ragazzi lo detestavano per lo stesso motivo. Se n'era fregata altamente di tutto e tutti e gli si era avvicinata con quello sguardo che sembrava aver preso le tinte del mare, con quel suo viso ovale, il suo sorriso gentile e gli aveva detto -Tu devi essere Jason Parker del 1°B- la sua voce era calma, lui l'aveva guardata come si guarda un fantasma -Io sono Emma Savelli del 2°A, la Preside mi ha chiesto di occuparmi di te, sono una dei rappresentanti di istituto- e da lì era iniziata la loro amicizia.
Si vestì e si affacciò alla finestra della sua camera nel momento in cui vide scendere dal portico di casa quella ragazzina, infagottata in un giubbotto scuro, con uno zaino su una spalla e un borsone sull'altra; una parte di lui in quel momento avrebbe voluto correre per le scale e andarla ad aiutare a dirle che era stato un coglione a trattarla così, senza neanche darle la possibilità di parlare o di capire meglio la cosa, ma dall'altra si sentiva profondamente ferito e vulnerabile, non poteva e non voleva entrare in una situazione così complicata e per l'ennesima volta si maledì e maledì il giorno in cui conobbe la madre di quella ragazzina.
Alex uscì dal cancelletto, non senza fatica, per un attimo aveva creduto di averlo rotto urtandolo con il borsone, ma poi vedendo come fosse messo male, non se ne curò più di tanto e iniziò ad incamminarsi verso la strada principale. Faceva freddo, ma lo sforzo che stava facendo per portare quelle borse, la stavano facendo sudare, tanto che dovette fermarsi una volta arrivata all'incrocio per riprendere fiato; si avviò alla fermata del bus dall'altra parte della strada ed aspettò. Ritornò alla cittadina di Balwick*nel giro di una mezz'ora, il giorno prima c'aveva messo molto di più per arrivare dalla stazione a casa di quel Jason Parker, per non rischiare di sbagliare aveva deciso di percorrere gran parte della strada a piedi, ma stavolta era andata decisamente meglio, inoltre l'autista del bus, un uomo dai fitti capelli rossi e gli occhi azzurri, le aveva detto che una volta scesa da lì doveva fare pochi metri per arrivare alla stazione che l'avrebbe riportata a Londra. Quando scese alla sua fermata, si erano fatte le 12:00 e l'orologio della piazza centrale incastonato sul bel campanile, in pietra, iniziò a suonare i suoi rintocchi; si prese del tempo ad osservare la bella piazza, con la chiesa e il suo campanile, che si apriva sulle strade moderne che le passavano a fianco e il giardinetto centrale con una piccola fontana e delle panchine alcune occupate da signori con i cani; il paesino, da quanto aveva potuto vedere e capire, era piuttosto piccolo, tutta la sua vita principale si svolgeva in quelle due strade, dove si aprivano negozi e botteghe in costruzioni vittoriane, molte di artigianato, la gente era gentile e già dal giorno prima si erano dimostrati cortesi nel darle la direzione che doveva prendere per arrivare alla casa che stava cercando. La stazione distava un paio di isolati da lì, così si incamminò tra le poche persone che in quel momento attraversavano la città, fermandosi poco dopo davanti un'agenzia di viaggi, pensando che almeno avrebbe potuto vedere gli orari dei treni e fare il biglietto da lì. Quando entrò venne accolta dal suono di un piccolo campanello appeso alla porta vetrata del negozio e dal sorriso gentile di una ragazza. Aveva più o meno 30 anni, occhi scuri e capelli dello stesso colore lasciati sciolti sulle spalle, vestita con un abito di lana nero e degli stivali fino al ginocchio, le venne incontro
-Buongiorno la posso aiutare?- chiese cordiale e Alex le sorrise riprendendo fiato per quella camminata
-Buongiorno, avrei bisogno di sapere gli orari dei treni diretti a Londra e fare il biglietto- rispose, la donna fece un cenno d'assenso -Prego si accomodi, ci vorranno pochi minuti- le disse prendendo posto dietro l'unica scrivania del piccolo negozio, completamente pieno di foto dalle più disparate parti del mondo e da depliant che promettevano viaggi da sogno
-Mamma!Mamma!- Alex chiamava la madre che arrivò da lei con solo un asciugamano a coprirle il corpo bagnato, dopo essere uscita dalla doccia -Tesoro, che c'è?- chiese Emma preoccupata, vedendo la figlia seduta sul divano, con le gambe incrociate come teneva sempre, la sua coda di cavallo scomposta e la televisione sempre ad un volume troppo alto -Guarda!- le disse indicando lo schermo, Emma si rivolse al televisore avvicinandosi alla figlia. Il programma che aveva entusiasmato tanto Alex, non era altro che un documentario sulla Polinesia francese -Non è un paradiso?- chiese Alex con tono sognante ad una Emma che guardò la figlia con un sopracciglio alzato -Alex, non sei più una bambina piccola, hai 11 anni e ti ho ripetuto un milione di volte che se mi chiami in quel modo, io mi preoccupo- la rimproverò bonariamente la madre, Alex alzò gli occhi al soffitto sbuffando -Ma non mi avresti sentito se non urlavo- si giustificò facendo spuntare un sorriso sul viso di Emma che poi le si sedette affianco. Rimasero in silenzio a guardare quelle immagini spettacolari per alcuni minuti -Vorresti andare lì, Alex?- le chiese la madre scherzosamente e la figlia la guardò con quegli occhi blu come i suoi, le ciglia fitte e folte -Perché non ci andiamo?- chiese con quella naturalezza da ragazzina, Emma rise -Lo sai che ci vogliono un mucchio di ore di aereo per arrivare lì?- le chiese Emma e Alex sembrò pensarci mentre riprese a guardare il documentario -Ma ne varrebbe la pena, no?- rispose guardandola con un sorriso -Beh si, credo di si- ammise Emma, poi Alex iniziò a ridacchiare
-Che c' è?- le chiese la madre e la figlia la guardò -In realtà stavo pensando che va bene anche stare qui, basta che tu sei felice mamma- ed Emma sentì il suo cuore riempirsi di quell'amore che solo Alex riusciva a farle provare, l'abbracciò forte -Ti giuro che faremo un bellissimo viaggio, Alex,una vera vacanza solo io e te!- le aveva detto.
Alex ripensò a quell'abbraccio, a quella promessa che purtroppo la madre non era riuscita a rispettare, non certo per suo volere, ma per quel male che si era impadronito di lei in un modo talmente violento e inaspettato da non lasciarle scampo. Alex trattenne le lacrime a quel ricordo, mentre la ragazza dell'agenzia pigiava i tasti del suo pc -Allora, mi dispiace ma per oggi non ci sono treni, il primo che abbiamo è per domani alle 8:00- le disse in tono dispiaciuto, Alex non si aspettava un risposta del genere -Ma ne è sicura?- chiese, la ragazza ricontrollò e l'esito fu lo stesso -Purtroppo stanno sistemando alcune tratte, visto che sono previste abbondanti nevicate e per oggi sono state sospese-spiegò -ma se vuole può prendere il bus, ci vorranno circa 6 ore, altrimenti le posso trovare un posto per passare la notte-le disse e Alex si ritrovò a sospirare sconsolata
Uscì dall'agenzia accorgendosi che il sole era stato di nuovo oscurato da una fitta coltre di nubi cariche di pioggia, si strinse nel suo giubbotto e seguendo le indicazioni della ragazza dell'agenzia, si avviò al motel; andare fino a Londra e metterci un eternità non le era piaciuta come idea, avrebbe resistito a rimanere lì solo per un giorno.
Erano due ore che cercava di andare avanti con il lavoro commissionato espressamente da Londra, ma in quella dannata giornata, non riusciva davvero a fare un bel niente. Usci spazientito dal suo rifugio, per rientrare in cucina e prendere dal frigorifero una birra e sedersi su una sedia, guardò il tavolo, dove ancora c'erano le tazze della mattina, qualche fetta di pane e ciò che rimaneva di quella colazione rimasta per lo più integra. Furioso a quel ricordo si alzò di scatto prendendo i piatti e buttando tutto nella pattumiera, per poi lasciare i piatti nel lavandino. Si appoggiò ad esso con ancora il viso di quella ragazzina davanti agli occhi che lo guardava cercando di trattenersi dal piangere. Si girò di scatto e prese dalla tasca dei jeans una sigaretta dal pacchetto, rendendosi conto che fosse l'ultima, altra cosa negativa in quella fottuta giornata, pensò adirato. L'accese facendo un respiro profondo e lasciando che il fumo bruciasse dentro di lui, per poi rilasciarlo con un profondo sospiro, si rimise seduto e finì la sua birra, posando lo sguardo sul movimento lento delle chiome degli alberi scostate dal vento che si stava alzando.
-Ciao musone!- la voce di Emma lo fece trasalire, alzò lo sguardo e se la ritrovò davanti, sorridente come sempre, aveva i capelli sciolti e indossava quel vestito chiaro con sopra la stampa di alcuni fiori, sembrava una ragazzina -Ciao Haidi- la salutò lui facendola subito ammusare, mentre lui sghignazzava sapendo che odiava essere chiamata così -Sei sempre molto simpatico!- le disse arrabbiata, sedendosi accanto a lui e aprendo il libro di matematica -Anche tu, come sempre- le rispose lui beffardo e lei gli schioccò una delle sue occhiatacce che però poi morivano trasformandosi con un bel sorriso che illuminava anche i suoi bellissimi occhi blu -Sai Jason, mi sono resa conto che tu non hai altri amici all'infuori di me e Francesca- gli confessò con quella sua solita naturalezza di dire le cose -Neanche con i ragazzi della squadra di pallavolo con cui giochi esci molto- aggiunse -Ad essere sinceri, Francesca è amica tua- le rispose facendole alzare gli occhi al cielo e sospirare, lui e Francesca, non andavano molto d'accordo, ma effettivamente chi andava d'accordo con lui? -E sarebbe un problema?- chiese scettico riprendendo a leggere quel testo di letteratura, la sentì sospirare -Non lo è, ma un po' mi dispiace per te- ammise e lui la guardò di nuovo, il suo profilo così delicato e quelle labbra leggermente sporgenti in avanti -Ti faccio pena perché non ho amici?- chiese con un tono per nulla carino, lei alzò gli occhi al soffitto una seconda volta -Ma come ti viene in mente?- chiese sbuffando -Dico solo che un ragazzo come te, dovrebbe essere pieno di amici, sei solo troppo chiuso per permettere alle persone di conoscerti- lui la guardò per nulla convinto -Non mi piacciono molto le persone e non sperare che per questo io improvvisamente diventi amico di quelli che ti ronzano intorno!- disse facendola sorridere, ma in realtà non voleva amici perchè sapeva che con il lavoro del padre prima o poi si sarebbe trasferito ancora e non voleva affezionarsi a persone che avrebbe perso di vista, ma non con Emma -Che scemo non intendevo questo!- rispose divertita -E poi non è vero che non ti piacciono le persone, io ti piaccio!- affermò lasciandolo un po' sorpreso e facendolo arrossire, tanto che abbassò la testa sui suoi libri
-Sai Jason- riprese Emma dopo attimi di silenzio -penso che tu sia una persona davvero bella ed è un peccato che gli altri non lo sappiano- Jason la guardò colpito da quella frase, nessuno gli aveva mai detto una cosa del genere -Sei qui da meno di un anno eppure sei diventato il mio migliore amico e vorrei vederti felice e sapere che hai degli amici con cui scherzare di cose da...- si fermò cercando le parole giuste
-sì insomma, cose da ragazzi- lui la guardò per qualche secondo per poi scoppiare a ridere
-Cose da ragazzi?-chiese ironico facendola arrossire -Dai!Sai cosa voglio dire!- ribatté lei rossa in volto facendo ridere ancora di più Jason che poi le si avvicinò guardandola negli occhi -Sto bene così, Emma, non mi serve parlare di cose da ragazzi- e lei avvampò ancora per poi ridere a sua volta -Fai come ti pare!- disse infine cercando di camuffare il suo rossore con un'espressione arrabbiata -Jason- lo chiamò dopo un po' -Mmm?- chiese lui senza guardarla -Mi prometti una cosa?- gli chiese e in quel momento si fissarono negli occhi
-Certo Em- rispose lui, lei gli posò una mano sopra la sua -Promettimi che saremo amici per sempre- e Jason sentì il cuore gonfiarsi di gioia, adorava quella ragazza -Perché avevi dubbi?- chiese canzonatorio e lei si lasciò andare ad un sorriso pieno di gioia, lasciandogli poi un bacio leggero su una guancia -Ti voglio bene!- gli disse -Ma ora ti prego aiutami con matematica!-
*Balwick è inventato, ho preso un nome di una cittadina ai confini con la Scozia e l'ho leggermente cambiato
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