Capitolo 88

Aleksander

Gocciolante afferro l'asciugamano e mi tampono il corpo. Fischietto sereno nel mio bagno e il mio sorriso si allarga quando mi sembra di sentire la porta chiudersi.

«Anastasya!» Mi avvicino alla porta semi aperta del bagno. «Anastasya!» urlo ancora, ma nessuna risposta, mi ero sbagliato. Mi avvicino alla poltrona dove ho lasciato la tuta e vedo il mio telefono illuminato.

Diverse chiamate e un messaggio riempiono lo spazio per le notifiche. Sblocco speranzoso che sia Maria ed è così. Mi affretto a chiamarla prima che vada via e prima che arrivi Ana.

«Pronto Ale.» La sua voce mi accoglie.

«Ciao Maria, scusa, ero in doccia e non ho sentito.» Infilo i boxer e la tuta mentre le do le indicazioni per prendere quello per cui è andata a casa mia.

«Ma pensi che tornerai qua?» la soddisfazione perché tutto è andato bene si affievolisce. Le immagini di casa mia, della mia vecchia vita mi affollano la mente ma per la prima volta non sento lo stesso fastidio o la malinconia e il motivo è uno soltanto. A conferma il suo profumo di agrumi che è nell'aria mi fa compagnia, lo respiro a pieni polmoni provando quella meravigliosa sensazione di casa.

«Sì, tornerò, ma solo quando tutto sarà sistemato. Ho qualcosa di prezioso di cui prendermi cura.» Lei sospira.

«Quanto avrei voluto sentirti parlare così, preso da me. Credo che neanche all'inizio lo sei mai stato fino a questo punto.» Resto in silenzio perché è vero ma non credo sia giusto precisarlo, è una cosa diversa, un sentimento diverso. «Lascia stare, doveva andare così. Vado subito a spedirlo spero riesca ad arrivarti.» È molto molto rischioso quello che sto facendo ma ne vale la pena.

«Grazie ancora Maria, senza di te... non sarebbe stata la stessa cosa.» In molti sensi, forse senza di lei non avrei capito la differenza di ciò che sto provando oggi.

«Un piacere. Comunque è bellissimo, io lo avrei adorato.» Accarezzo la nuca imbarazzato.

«Grazie ancora.» Riposo il telefono allo stesso posto e finisco di vestirmi. Scalzo esco dalla stanza e il rumore di un fon mi sorprende. «Hanna!» Busso alla sua porta. Resto in attesa e quando penso che non mi abbia sentito me la ritrovo davanti.

«Ciao Ale, mi hai chiamata?» Annuisco, qualcosa non mi torna.

«Ana non è tornata con te?» lei mi guarda stranita.

«Certo che si. Perché non è a fare la doccia?» sbircia verso la nostra stanza in fondo al corridoio.

«No, la stavo facendo io.» Non capisco.

«Sarà in cucina.» Annuisco poco convinto e mi avvio da quella parte. Il silenzio mi annuncia quello che già sento dentro, è una strana sensazione quella che mi fa rabbrividire, come se qualcosa di grave stia accadendo e a me non mi resta che accelerare il passo. La stanza è vuota, mi blocco sulla porta. Hanna che mi è venuta dietro, senza che io me ne accorgessi, entra dentro e si gira intorno incredula.

«Come può non esserci. Era qui con me. Ale non capisco.» In realtà neanche io, ma non voglio farla preoccupare.

«Vedrai che sarà andata a comprare qualcosa. Ora la chiamo.» Le accarezzo la schiena e alla fine annuisce. Riesco a convincerla a tornare ad asciugare i capelli, l'accompagno fino alla porta e io proseguo fino in camera per prendere il telefono.

La suoneria finisce la sua musica e Anastasya non mi risponde. Cerco di convincermi anche io che è tutto normale e mi trattengo per una buona ora. Non voglio seguire l'istinto che mi dice di andarla a cercare, non è successo niente, non una discussione niente che dica che il mio sesto senso abbia ragione.

Nervoso mi preparo qualcosa da bere ma non riesco ad aspettare molto, sfinito per la lotta interiore la chiamo nuovamente. Chiudo gli occhi a quel suono che inizia e finisce ancora e ancora.

Non risponde nè richiama. Silenzio assoluto. Guardo incredulo il salotto, mi lascio cadere sui cuscini, non riesco a credere che stia accadendo davvero. Hanna mi raggiunge e si siede sul divano accanto a me incrociando le gambe sotto di lei. Ora siamo entrambi preoccupati.

Accendo la televisione per impedirmi di impazzire, non riesco a parlare con Hanna, ripercorro le ultime ore passate insieme e mi sembrano così piene di... amore.

Il campanello suona e il battito del mio cuore accelera, speranzoso la immagino entrare con un sorriso dalla porta ma la verità è che non ha dimenticato le chiavi e a fatica ricambio il saluto di Marko. Gli faccio un cenno con il capo e torno a cambiare canale. Lui entra e a passo deciso va ad abbracciare la sua ragazza. Un moto di gelosia mi invade. Ana, perché?

«Ma dove diavolo è finita.» Hanna non si trattiene all'ennesima risposta della segreteria telefonica. Marko le mormora parole di circostanza, i nostri occhi si legano e io non posso che confermare il suo smarrimento. Io non lo so.

Alla fine convinco Hanna ad andare a prendere le pizze con Marko, ho bisogno di stare da solo per cercare di capire.

"Anastsya dove sei, amore?"

Le mando un vocale guardando speranzoso dalla vetrata che lei mi possa rispondere, sono già passate tre ore e ancora nessun messaggio da parte sua.

Il timore che possa esserle successo qualcosa mi fa camminare avanti e indietro nella stanza. Io non capisco. Sconsolato mi siedo sul divano ed ecco arrivare il messaggio tanto desiderato. Mi affretto a sbloccare il telefono e leggerlo è come una coltellata nel petto. Ha il tono freddo, distaccato e non ne capisco il motivo.

La chiamo immediatamente ma lei non mi risponde, rifiuta la chiamata e mi manda un ulteriore messaggio in cui mi prega di lasciarla stare e mi da un appuntamento per parlarmi l'indomani. Guardo quelle parole e mi sento senza fiato. Che cazzo sta accadendo.

Tiro il telefono sul divano.

La paura che possa essere scappata per i sentimenti che le ho mostrato mi stringe il collo. Porto la mano hai capelli e dondolo avanti e indietro disperato. Sapevo di rischiare. Ho corso troppo fin dall'inizio ma mi sembrava felice.

"Ti prego Anastasya, rispondimi."

Disperato registro la mia richiesta incurante che nella voce possa leggere tutta la mia disperazione. Ma niente, il messaggio cade nel vuoto. Non è più sulla chat. Rigiro nelle mani quell'aggeggio tecnologico ed ecco assalirmi lo sconforto: cosa posso fare adesso.

Quel desiderio di trovarla immediatamente mi fa ora alzare e correre in stanza. Mi ha chiesto tempo ma io non posso darglielo. Io non posso far passare una notte intera con la paura di averla persa per sempre.

Infilo le scarpe e cerco di spegnere i sentimenti, ho bisogno di maggiore lucidita per capire dove sia andata. In quei mesi terribili ho imparato a dividere le emozioni dalla praticità era necessario per sopravvivere e anche ora lo è per lo stesso motivo.

Rifletto sui luoghi che frequente e sui suoi amici. Non sono molti, e sono certo che non stia vagando per la città. Afferro le chiavi.

«Dove vai?» Hanna entra in casa in quel momento.

«Devo trovarla.» Le depongo un bacio sulla tempia e faccio partire la prima chiamata. Gabriella mi risponde che sono già fuori dalla porta di casa.

«Mi spiace Aleksander, io non l'ho sentita.» Preoccupata l'amica non crede a quello che le dico. Non ne sa nulla il che mi fa riflettere sul motivo per cui è sparita, deve essere qualcosa di recente. Ancora quel timore.

«Alice?» spero che lei possa aiutarmi.

«Mi è sembrato di sentirle dire che è fuori paese.» La sua voce è sconsolata.

«Un posto, un luogo che io non conosco?» ci siamo ritrovati da così poco eppure mi sembrava di conoscerla bene e ora...

«Non so...» Gabriella non mi è molto di aiuto.

«Maurizio?» Mi rimane solo lui.

«So che aveva un appuntamento.» È titubante.

«Non mi resta altro.» Accendo l'auto e mi dirigo da lui.

«Forse dovresti davvero lasciarla stare per stanotte. È al sicuro e se fosse con Maurizio lui la farà ragionare.» Io non posso.

«Come faccio...» a sopportare questa attesa.

«Magari tornerà lei. Non sempre le cose vanno prese di petto.» Rallento fino ad accostare. «È solo una notte.»

«Grazie, Gabriella.» Chiudo e appoggio la fronte sul volante, indeciso su quale sia la scelta giusta. Un avviso di chiamata arriva inaspettato.

Mi tiro su sul poggiatesta e premo il tasto di chiamata. È da più di un mese che non lo sento e con il suo solito tempismo mi cerca proprio oggi che ne ho bisogno.

«Ciao, cazzone!» Non si smentisce mai.

«Ehi, come va?» Cerco di concentrarmi sul mio amico.

«Mi hanno appena comunicato che domani devo raggiungere urgentemente Roma. L'agenzia spaziale russa ha necessità delle mie prestazioni professionali.»

«Cazzo!» ho fatto di tutto per averlo qua.

«Oh, proprio così: cazzo!» La sua voce è talmente elettrizzata da farmi pensare solo a questo per un attimo. «Aleksander mio ti devo la vita. Se ancora ne ho da dare, anche i gatti le finiscono alla fine.»

«Certo che ce l'hai ma non la userai per me ma per tutto quello che mi hai promesso.»

«Oh, puoi starne certo. Domani stesso mia moglie sarà a Roma, cazzo, quanto mi è mancata. Vedrai recupererò tutto questo schifo con nuovi ricordi meravigliosi. Basta tempo perso, non passerà giorno in cui non dimostrerò il mio amore a lei e l'apprezzamento a chi voglio bene.» Sollevato di essere arrivato in tempo sospiro, almeno un peso è stato tolto. E poi le sue parole sono così simili alle mie. Devo andare.

«Non ho molto tempo, ma come stai? Domani voglio subito vederti.» Cosa rispondere.

«Bene, vedrai ti troverai come a casa. E se tutto va bene ti farò una sorpresa.» Farò di tutto per riaverla, anche strisciare e poi la porterò da lui.

«Un'altra? Non ti starai innamorando di me.» Scoppia a ridere e non posso che seguirlo scuotendo la testa.

«A domani Dimitri.» Bello dirlo.

«A domani e... Ale... grazie.» La voce ora è commossa.

«Dovere amico. Dovere.» Ingrano la marcia e corro, corro perché sono d'accordo con lui non ho intenzione di regalare il mio tempo a pensieri che vogliono prendersi la mia donna, lotterò anche contro di loro perché qualunque cosa l'abbia turbata sono certo che riusciremo a risolverla, insieme.

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