Capitolo 55

Anastasya

«Tranquilla, non è niente di grave.» Tiro giù la maglia che avevo alzato per oscultare il torace.

«Grazie.» Sorrido alla donna che tiene fermo il bimbo di tre anni che sto visitando. Sono arrivati da una settimana qui a Roma da Kiev ed è in quel momento che ci siamo conosciuti per i controlli di rito. Ora dopo qualche giorno è tornata perché il piccolo Marko ha la febbre e considerando il virus che circola si è subito preoccupata.

«Tra qualche giorno starà benissimo. Ecco prendi questo farmaco bastano due gocce mattina e sera.» La donna posa il piccolo a terra che subito scappa dalla nonna e mi stringe la mano continuando a ringraziarmi.

Sono passati centoquarantuno giorni dall'inizio della guerra e continuano ad arrivare miei concittadini. La guerra sembra esserci da sempre e sembra destinata a durare per sempre.

Tolgo i ciuffi biondi dalla mia fronte con La manica bianca del mio camice. Prendo un grande respiro e guardo oltre lo stand le poltrone che sono usate come sala d'attesa. La giornata sta per finire e io sono pronta ad andare, solo due sedute sono occupate e quindi sono serena nel lasciare la mia collega Gabriella da sola.

«Gabri, io vado. Hanna mi aspetta al cinema mi ha già mandato un messaggio.» La vedo alzare la mano in segno di saluto per poi tornare a medicare il taglio sul braccio dell'uomo che stringe i denti davanti a lei.

«Dai Maurizio, è solo un taglietto.» Precisa a quest'ultimo che non l'ascolta neanche e io mi avvicino mentre mi spoglio per indossare la giacca a jeans. È ormai estate e in Italia fa molto caldo.

«Non sei tu a essere stata morsa da un cane.» Si lamenta mettendo un broncio è uno degli infermieri del centro. Mi scappa una risata. «Anche tu. Vedi che ti ho visto, sono stato azzannato. Dovrebbero proibire a quei cosi di circolare.»

«Quei cosi, sono più esseri umani di noi.» Gli preciso. «E poi il tuo aguzzino era uno yorkshire, se non avessi strattonato il braccio lanciandolo al di là della stanza non vi sareste fatti niente.» Gabriella ride al ricordo della scena portandosi una mano alla bocca.

«Era feroce.» Scuoto la testa, è una causa persa. «Vado, ci vediamo domani.» Prendo la borsa e mi avvio verso l'uscita.

«Ciao.» Mi salutano in coro. Lui petulante. Lei divertita. Li ho conosciuti appena arrivata e ora sono molto affezionata a entrambi. Maurizio mi ha anche affittato il trilocale che mi ha permesso di essere subito indipendente da Alice. Non che lei si lamentasse, ma è stato meglio così, ovviamente, l'iniziare a lavorare già dopo otto giorni che ero arrivata è stato molto utile.

Gabriella ha quarant'anni due figli e uno splendido marito. Maurizio, invece, è poco più piccolo di me e oltre ad aver paura dei cani è molto gentile e divertente. È stata una fortuna per me incontrarli e anche venire qui.

Salgo sull'autobus che mi porterà al cinema dove mi aspetta mia sorella. Abbiamo preso l'abitudine di andare una volta a settimana per migliorare il nostro italiano e devo dire che sta funzionando. Mi accomodo sul primo posto libero vicino all'uscita, non devo fare un lungo viaggio e infatti tre fermate dopo posso già scendere.

Mi sistemo i capelli in una coda disordinata, li ho appena tagliati, erano ormai troppo lunghi come quelli di Hanna che le arrivano quasi al sedere. La osservo da lontano davanti la biglietteria ha già preso i popcorn e ha entrambe le mani piene, cosa che odia e infatti non appena le sono vicina si lamenta subito.

«Ma quanto ci hai messo, non ne potevo più.» Mi porge la mia busta e mi fa strada.

«Scusa, non hai idea di cosa è capitato oggi a Maurizio...» Le racconto l'accaduto e finisco quando ormai ci siamo sedute. Lei scoppia a ridere seguita da me. «È stato davvero esilarante.» Inizio a smangiucchiare i miei popcorn sto morendo di fame. «Hai preso l'acqua?» Lei annuisce e me la porge.

«Io, invece, ho studiato tutto il giorno, voglio che arrivi presto il giorno dell'esame.» Per fortuna anche lei ha potuto realizzare il suo sogno di finire l'anno scolastico. Hanno attivato delle procedure speciali per chi come noi si è dovuto trasferire.

«Oggi ho parlato con Irina.» La pubblicità scorre sul grande schermo e io ne approfitto per aggiornarla. Fissiamo quelle immagini entrambe con fin troppo interesse. Quando prendiamo l'argomento Ucraina mia sorella ha la mia stessa reazione di freddezza. Non ci guardiamo, per non dar voce alla pena che abbiamo dentro. Certo ci stiamo godendo questa nuova vita fin troppo ma comunque quella è la nostra terra.

«Ah si, che ti ha detto?» Bofonchia con la bocca piena e lo sguardo fisso.

«Che stanno tutti bene. Che Andrew è riuscito ad andarli a trovare per tre giorni ma che ora è nuovamente al fronte.» Hanna annuisce e io continuo. «Ha ripreso a lavorare aiutando Amnesty al confine, e ne è felice, si sente finalmente utile.» La chiamata non è durata molto, la linea era pessima.

«Sono contenta per lei, mi piacerebbe che venisse.» Si anche a me, ma non è così semplice la situazione è complicata anche a Sarny.

«Sì, sarebbe bello.» Penso che l'argomento sia durato abbastanza per entrambe e allora la distraggo con la sua scuola. Lei parte a raccontarmi dei suoi nuovi amici, che per la maggior parte sono ucraini venuto in Italia per salvarsi, come noi. Mi parla spesso di un ragazzo che si chiama come il bimbo di oggi, Marko, credo gli piaccia.

«Vorrei invitarlo a mangiare una pizza con te, così te lo presento.» Questa cosa mi sorprende e mi giro a guardarla stupita.

«Davvero?» Abbassa gli occhi arrossendo timida.

«Sì, mi farebbe piacere.» Sono senza parole e alla fine mi obbligo ad acconsentire.

«Ne sono felice. Possiamo fare questo venerdì, se vuoi?» Colgo subito la palla al balzo, non ho molte possibilità di conoscere le persone con cui sta, per i turni che faccio e per la riservatezza di mia sorella.

«Dopodomani?» Annuisco continuando a guardarla sorridendo felice. «Okay, penso si possa fare.» Alla fine accetta ricambiando il mio sorriso.

«Perfetto.» La musica di presentazione del film parte ed entrambe ci giriamo a guardare in silenzio The post city, una simpatica storia di amore e avventura.

Quando il film finisce ci avviamo a piedi a casa, la serata e calda, le persone sono in giro forse per un gelato e io riesco a sentirmi bene in questa città e devo ammettere che non è affatto male la nostra nuova vita. Abbiamo le nostre routine, nuovi amici e il passato sembra lontanissimo, quasi mai esistito se non per quegli aggiornamenti che senti ogni volta che accendi la tv.

Come ogni mattina corto per casa con come sottofondo la televisione accesa. Ascolto distrattamente il telegiornale parlare di un possibile accordo per l'uscita del grano ucraino dal porto, su intermediazione turca. La russia sembra disposta a concederlo ma nel frattempo attacca nuovamente Kiev, dimostrando come ancora non si stia risolvendo nulla. Prima mi fermavo a guardare le immagini, ora non lo faccio più.

«Hanna, io sono pronta vado a lavoro.» Saluto mia sorella. «Ricorda che stasera vengono Maurizio e Gabriella con la famiglia.»

«Sì, ricordo.» Lei urla da dentro il bagno.

«Vuoi far venire Marko?» Alla fine l'ho conosciuto. Ha la stessa età di Hanna, alto, moro e sembra davvero innamorato di mia sorella.

«Sì, okay.» Un ultimo saluto, prendo la borsa dove infilo il telefono e scendo in strada. Nonostante sia mattina presto il sole è già caldo e l'aria irrespirabile. Roma ad agosto è un forno acceso. Mi faccio aria con la mano mentre raggiungo la fermata della metro. Mi siedo in attesa, sbirciando il binario opposto dove alcuni ragazzi sono in piedi pronti a salire.

Uno in particolare attira la mia attenzione. Porta i capelli biondi rasati è una leggera barba gli copre il mento. Non riesco a vedere tutto il viso, ha un cappellino da baseball calato sugli occhi. Il mio sguardo non riesce a lasciare il suo fisico asciutto e alto. Sembra risaltare tra tutti gli altri e istintivamente mi alzo diminuendo la distanza fra noi. La poca illuminazione e i binari che ci stanno in mezzo non mi permettono di vedere molto. Sembra essere più grande di me.

Il mio cuore aumenta i battiti come anche il mio respiro che diventa più affannoso. Cerco disperatamente di vedere meglio e quando finalmente alza il capo mostrandomi la linea del naso la metro si ferma oscurandolo. Non so che fare vorrei correre dall'altro lato, ma prima che possa prendere una decisione, il treno riparte lasciando il vuoto su quel binario.

Porto la mano al petto e non ho il tempo di riprendermi che sono io a dover salire per andare a lavoro. Mi lascio andare sul primo posto libero e ancora scombussolata guardo quello spazio che per un attimo mi ha regalato una forte emozione facendo rinascere un sentimento mai sopito.

Non mi lascio andare alle supposizioni, perché sarebbe impossibile, cerco solo di riprendere il controllo.

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