Capitolo 4 -Ombre notturne-
La desolazione pervadeva il campo di battaglia: in tremila erano caduti, anche se l'obiettivo era stato raggiunto e gli avversari erano stati dimezzati, tremila vite di compagni erano state troncate. Il fumo bianco si era gradualmente diradato, mostrando quel misero scenario.
Awryn camminava con le braccia che oscillavano attorno al il corpo, spoglia di ogni volontà di movimento conscio. Di nuovo sentiva quell'odore di morte: non l'odore della putrefazione, ma quello dello zolfo della polvere esplosiva, l'esalazione ferrigna del sangue versato sulla neve bianca. Di nuovo vedeva le lacrime di chi scopriva la realtà della guerra per la prima volta nella perdita di un compagno, ancora una volta assisteva allo sfilare dei corpi di giovani uomini, distesi nel sudario ceruleo della loro prematura dipartita.
Dentro di sé, da qualche parte, seppe perché era tornata in mezzo a quella scempia visione, perché si stava costringendo a guardare: ciò che era davanti ai suoi occhi doveva servirle da monito ed essere un motore costante per spingerla a continuare a respirare e a lottare. Doveva dare il suo contributo, tutto questo doveva finire.
Farkas la raggiunse correndo:
-quello schifoso di Roin è caduto in battaglia Awryn!- c'era disprezzo nella voce della ragazzina.
-E noi allora? Chi guiderà la nostra unità adesso?- chiese Awryn piattamente di rimando; no, non avrebbe pianto il sergente.
-Ho sentito che per il momento sarà il capitano Uriel a decidere.-
Awryn si riscosse, rivide ciò che era successo solo pochi istanti prima, la rabbia che il capitano aveva nei movimenti mentre si batteva, quasi dovesse liberare se stesso prima che la sua terra, quasi come qualcosa lo tenesse prigioniero di quella furia. Era così diverso da quell'uomo che le aveva regalato la spada, appena un giorno prima. Che demoni teneva rinchiusi dentro di sé per combattere con una tale ferocia?
Awryn si portò la mano alla bocca, in un gesto improvviso. Farkas lo notò e la guardò incuriosita:
-Che ti prende?- le chiese con tono indagatore.
-Nulla- rispose lei. Eppure non era nulla, si era sorpresa di sé stessa. Che le prendeva? Perché pensava a quell'uomo?
-Sono solo stanca- tagliò corto, dissimulando in uno sbadiglio un po' troppo teatrale.
***
-Dunque capitano, ci è riuscito, complimenti- disse il maggiore Rolfs, -tuttavia mi spiace informarla che le perdite sono state molto gravose e non ci consentiranno di proseguire nella riconquista della regione.-
-Ammetto che abbiamo avuto più difficoltà di quanto credessi, diverse unità di fantaccini sono state decimate, Roin è morto per cui ce n'è una senza direttive- rispose lui sentendo un sottile nervosismo percorrergli la nuca.
-Non è dei fantaccini che mi preoccuperei se fossi in lei, il loro compito è morire. La fanteria ha perso più di duemila unità- disse l'altro a denti stretti.
-Eppure possiamo ancora andare avanti maggiore, mi creda, dobbiamo agire e in fretta, sfruttando il vantaggio che i nostri uomini ci hanno coraggiosamente offerto, sacrificando le loro esistenze- disse Uriel.
-Lei vorrebbe proseguire? Lei è un pazzo.-
Uno degli altri ufficiali intervenne:
-Ascoltiamo quello che ha da dire, infondo nessuno di noi avrebbe scommesso su questa piccola vittoria, eppure il capitano ha saputo rischiare bene.- Uriel lo squadrò con gratitudine, poi fece per aprire la bocca ma Rolfs lo zittì:
-Abbiamo perso tremila uomini in una sola battaglia, vi sembra forse "rischiare bene"?- chiese con un ghigno malevolo.
-Fatelo parlare maggiore, sentiamo almeno cos'ha in mente.-
-Vi ringrazio colonnello Rhyg- disse Uriel prima di proseguire, poi inspirò -dobbiamo inseguirli.-
Il capitano sapeva che avrebbe scatenato le reazioni più disparate pronunciando quella frase, ma non si aspettava quello che accadde: Onji, che di solito era sempre poco attento durante il concilio di guerra, si riebbe come da un sogno, si ricompose in un atteggiamento molto più attento; gli altri ufficiali iniziarono a discutere animatamente, mentre un brusio concitato riempiva la sala: c'era chi gli dava del traditore, chi pensava che fosse un'idiota, altri che invece ridevano, o ancora alcuni che gli urlavano contro, dandogli della nullità.
E poi, sorprendentemente, c'erano pochi, che invece annuivano, condividendo la sua idea. Rolfs li mise a tacere con un gesto della mano e con un sorriso ancora più largo sul suo viso, si chinò in avanti sul tavolo e lentamente disse: -come?-
Uriel lanciò un'occhiata a Onji, che vigile attendeva una sua risposta, si prese un attimo per pensare, corrugò la fronte e fissò un punto imprecisato sulla mappa distesa davanti ai suoi occhi. Le sue mani si mossero e presero alcuni modellini da guerra, disponendoli sulla carta.
-Lasceremo mille uomini a guardia della rocca, gli altri tremila li prenderò con me e deciderò sul campo- disse seccamente. Calò un silenzio teso, era evidente che gli ufficiali si aspettassero qualche informazione più dettagliata. Uriel alzò lo sguardo su di loro, stringendo le labbra. -È tutto-.
Il brusio riesplose selvaggiamente, per poi essere riportato sotto controllo da Rolfs:
-Lei crede seriamente che le lasceremo tanto potere decisionale?- gli chiese pacatamente.
Intervenne a quel punto il colonnello che aveva difeso Uriel precedentemente:
-Dovremmo. Il giovane Uriel ha ragione maggiore, se li lasciamo andare torneranno con i rinforzi e la morte dei nostri uomini sarà vana: le ultime resistenze di Nirel cadranno, il nemico invaderà Baillor e da lì non abbiamo molta possibilità di difendere il cuore di Dror.-
-Lei sta facendo l'uccellaccio del malaugurio!- rispose Rolfs -Faremmo meglio ad aspettare che arrivino i rinforzi da Miorn noi, colonnello.-
-Se aspettiamo non prenderemo più il nemico- gli rispose Uriel. Altre voci di consenso si levarono, mentre Rolfs, a metà tra lo sbigottimento e la rabbia, diventava paonazzo e fremeva come stesse per esplodere. I suoi occhi saettavano su coloro i quali stavano dando ragione ad Uriel, lanciando occhiate colme di disprezzo e odio, quasi come se volesse incenerirli con lo sguardo.
Poi un ufficiale gli posò una mano sulla spalla, facendolo voltare di scatto. L'altro gli si accostò all'orecchio e bisbigliò qualcosa che Uriel non poté udire. Il volto del maggiore si distese gradualmente, il rossore sparì e sembrò riprendere controllo dei suoi nervi.
Infine, sorrise:
-Ebbene capitano Uriel, come voi desiderate, rischieremo anche questa volta, scegliete pure gli uomini che preferite.-
Uriel rimase interdetto qualche secondo, non si aspettava una tale disponibilità. Infine osservò ancora Onji, che aveva ripreso il suo consueto atteggiamento indolente.
-Vorrei prendere in prestito un paio di uomini dalle fila del capitano Onji: Aner e Corse, per l'esattezza; invece al capitano chiederei di restare qui ad Irdia, mi fido di lui e so che saprà cosa fare in caso di attacco. In più prenderò sotto il mio diretto comando quella che era la squadra di fantaccini del defunto Roin, per il resto non ho preferenze, magari il colonnello e i suoi uomini vorranno unirsi a me nell'impresa- concluse Uriel soddisfatto.
La seduta fu tolta, mentre ancora qualcuno borbottava, il colonnello si avvicinò a Uriel e gli disse:
-Non farti illusioni ragazzo, ti lasciano compiere quest'impresa perché sperano che ti levi di mezzo-.
***
Uriel aveva dato appena il tempo agli uomini di rifocillarsi, al tramonto li aveva già schierati di fronte alle fortificazioni e stava spiegando il piano, mentre la luce dorata del sole lentamente spegneva il proprio riflesso nei suoi occhi.
Avevano a disposizione una notte di sonno, non di più, poi alle prime luci dell'alba sarebbero partiti. Anche in questo caso il capitano fu parco di dettagli, parlava lanciando occhiate guardinghe a Onji, mentre cercava di convincere gli uomini della necessità di quell'azione, infervorando i loro animi con parole coraggiose. Sarebbe rimasto al loro fianco e avrebbero gioito assieme della sconfitta del nemico.
Awryn lo osservava parlare: non aveva il tono freddo e insensibile degli altri ufficiali, mancava in lui quel perentorio spregio marziale del valore della vita dei suoi sottoposti. Invece vi era qualcosa di molto più umano, come una richiesta di fiducia, che gli veniva accordata inspiegabilmente quasi ciecamente da uomini che lo conoscevano appena.
Le schiere furono sciolte e lei rimase a guardare il sole morente oltre le alture del passaggio, in quella terra i cui frutti velenosi avevano intorpidito l'intera Dror. Eppure le montagne rilucevano rosee e bellissime, indifferenti al sangue che si rapprendeva ai loro piedi. Neppure il freddo scalfiva il maestoso splendore di quelle vette, mentre dentro di sé Awryn si sentiva afflitta da qualcosa di indefinito. Si disse di essere stanca e stringendosi nel mantello rientrò nelle mura per andare a dormire.
***
Il mattino successivo un manto gelato ricopriva la terra, facendo rabbrividire i cavalieri e le loro cavalcature. Sarebbero dovuti partire necessariamente a cavallo per essere più rapidi ma Awryn aveva quasi paura di risalire in groppa. Non amava i cavalli, per questo in giovane età Evandrus la prendeva spesso in giro. Il ricordo di Evandrus le attorcigliò qualcosa all'altezza dello stomaco, eppure trasse un respiro profondo, con gli occhi chiusi e montò in sella.
Il sole ancora non aveva fatto capolino dal profilo soverchiante del passo e già erano partiti. Il cielo lentamente si rischiarava, mentre le stelle si spegnevano e la luna svaniva. Uscirono dal passaggio e Uriel subito li fermò:
-Bene, qui le nostre strade si dividono uomini. Cinquanta dei miei guerrieri più fidati verranno con me avanti, cavalcheremo a spron battuto da sud, alle calcagna dei Sunek. Gli altri ci seguiranno più lentamente da nord e saranno alle direttive del colonnello Rhyg. Comunicheremo attraverso un falchetto. Fidatevi di me uomini, prenderemo quei bastardi, è una promessa.-
Qualcuno lo guardò male, più perché voleva seguirlo, che non per mancanza di fiducia, ma nessuno ebbe il coraggio di ribattere. Uriel si congedò e volgendo un ultimo sguardo alle sue spalle, Awryn ebbe l'impressione che stesse guardando verso di lei. Il gruppo partì rapidamente al galoppo, mentre gli altri al passo, si dirigevano a nord.
La luce del mattino era quasi tiepida, se non altro scaldava gli animi. Eppure la vista sul declivio meridionale delle montagne era estasiante nella sua atroce bellezza: alberi di conifere dai trochi bianchi si stagliavano immensi e svettanti, come se volessero punire il cielo con le loro chiome affilate, mentre ai loro piedi arbusti verdi ricominciavano stentatamente a vegetare.
In basso compariva la piana di Nirel. Un tempo ricca e fiorente, grembo materno delle meraviglie di Dror, che con la sua dolce e fertile terra aveva cullato le genti dell'Est, ora giaceva spolpata della sua carne, come la carcassa marcescente di una nave nel deserto.
Un assurdo scherzo, una bellezza sfiorita da una magrezza malata e folle, con lo scheletro dei suoi villaggi in mostra e i fantasmi delle sue leggende che vagavano persi nell'oblio.
Nulla sarebbe più stato come un tempo, prima che saccheggiassero i suoi campi e stuprassero le sue figlie. Nulla, eppure bisognava lottare per salvarla, per frenare la distruzione cieca che l'Ovest portava in seno. La terra non più fertile, dormiva, inerme, un sonno eterno sotto la coltre bianca dell'inverno, avvelenata da chissà che tossina.
L'acqua, incapace di rigenerarla, restava insofferente al suo sempiterno corso. Questa era la terra di Okksel e lui l'avrebbe rivendicata. Così pensava mentre procedeva al fianco di Uriel.
-Mio buon amico, la riprenderemo non temere, manterrai fede alla promessa fatta a tua madre- gli disse il capitano, intercettando i suoi pensieri.
-Certo Uriel- gli rispose lui deciso. Okksel era l'unico a chiamarlo per nome. Si conoscevano da molto tempo, tanto che tra i due si era sviluppato un rapporto fraterno.
-Affrettiamo il passo, dobbiamo trovare le tracce prima di sta sera.-
***
Mentre procedevano cautamente nella boscaglia, al riparo dall'occhio rapace del nemico, scorsero infine quella carovana: procedevano lentamente nella valle, come se non temessero nulla. Il capitano si chiese cosa si celasse dietro quell'atteggiamento apparentemente sicuro, se fosse circospezione o sicurezza di sé.
Aveva dunque nascosto la propria unità tra la vegetazione, mimetizzandoli grazie all'uso dei mantelli lajeeniani.
Syas e Aner, dotati di una vista migliore e di grande velocità, erano stati mandati avanti, in avanscoperta, mentre il resto del gruppo procedeva lentamente tra i monti. Uriel si fidava completamente di loro, erano la sua spalla, a pari merito. Corse aveva protestato con la sua voce nasale, bramoso di garantirsi qualche punto nella sua sfida con i commilitoni.
-Sei già avvantaggiato dal fatto che Naraas è rimasto con il colonnello Rhyg- rispose Uriel -starà a noi il grosso della missione-.
Lasciare indietro Naraas era stato necessario, egli era il combattente corpo a corpo migliore della legione: forte, resistente, ma lento, non adatto ad una missione in cui la rapidità era fondamentale. Inoltre il capitano aveva bisogno di qualcuno che restasse col grosso della formazione, qualcuno dei suoi, su cui fare affidamento e che fosse una guida, in sua assenza, per l'unità di fantaccini del defunto Roin.
Il capitano pensò a lei, ai suoi lineamenti, a quello sguardo fiero e bestiale che gli aveva rivolto sul campo di battaglia. Awryn gli era parsa come un lupo in quel momento e non bisogna mai fissare una bestia selvaggia come quella negli occhi. Eppure a parte la sfida che aveva letto nei suoi tratti, c'era di più, c'era forse tristezza. La luce malinconica del tramonto avvolgeva tutto e lei da qualche parte stava guardando gli stessi raggi.
-È ora di muoversi più in fretta- disse spronando il cavallo.
Attesero che il nemico si accampasse per la notte, tenendolo sempre sotto i vigili occhi degli esploratori. Le luci si spensero lentamente, mentre le guardie prendevano postazione dandosi il cambio ogni ora. Un numero insolitamente eccessivo di queste pattugliava il bordo esterno del campo. Di nuovo Uriel ebbe l'impressione che si aspettassero un inseguimento, ma non importava, sarebbe andato avanti col piano ad ogni modo. La luna inondava il terreno con la sua luce perlacea, la notte era chiara e un gelido soffio spazzava le poche nuvole di passaggio.
Gli uomini dell'Est uscirono dal loro nascondiglio, come l'ombra nefasta di un allocco che sta per piombare sull'ignara arvicola. Silenziose e letali, le frecce di Corse e i dardi di Aner, abbatterono con precisione le guardie, conficcandosi nei loro petti o trapassando da parte a parte i loro elmi che rilucevano argentei nell'aura notturna.
Essi caddero senza nemmeno il tempo di accorgersi di ciò che accadeva. Il capitano diede i suoi ordini a gesti: gli uomini si disposero attorno all'accampamento, mentre altri preparavano dei piccoli barili, contenenti un liquido infiammabile, scoccarono le loro frecce su ogni cosa che emettesse un respiro. Non un attimo di esitazione trasparì dai loro gesti: infallibili, devastanti, consapevoli della necessità della loro riuscita.
Syas mostrò tutta la sua abilità nel lancio di pugnali, centrando in pieno la gola di un soldato che stava per svegliarsi, ma egli boccheggiò rumorosamente, svegliando i compagni vicini. Una pioggia di saette nere e sibilanti si abbatté sul gruppo e benché nessuna di queste mancò il proprio bersaglio, altri uomini si destavano svegliati dal trambusto.
Presto l'accampamento si riempì di suoni e le fiaccole furono accese. Tuttavia coloro i quali si erano accorti dell'attacco, intontiti dal sonno e confusi da quell'assalto che sembrava venire da punti diversi, risposero con lentezza, così che quando l'allarme era stato dato, molti erano i cadaveri che già ricoprivano il suolo. Essi accasciavano a terra, talora sui compagni che ancora erano semi addormentati, tanto che era difficile distinguere i vivi dai morti nella penombra.
Gli stoppini furono accesi e i barili lasciati rotolare lungo la vallata. Questi, spargendo il loro contenuto, seminarono anche le fiamme, che ben presto avvilupparono molte tende, bruciando vivi i nemici e consumando le loro vettovaglie. A questo punto però l'accampamento era completamente attivo e pronto a rispondere all'attacco: i Sunek urlavano e bestemmiavano, caricando il punto da cui venivano i barili, ignari del fatto che quella postazione fosse già vuota.
Gli uomini di Uriel continuavano a muoversi, bersagliando l'accampamento di dardi e frecce, togliendo per sempre la parola a coloro che ne avevano privato compagni ed amici. Quando poi l'orda nemica riuscì ad organizzare il proprio attacco e a convergere tutta la sua ferocia contro gli assalitori notturni, questi, ad un potente fischio del capitano, si dileguarono, battendo in ritirata. Gli uomini dell'Ovest li cercarono, ma essi sembravano dissolti nel nulla.
Uriel sorrideva, il primo obiettivo era stato raggiunto: non uno dei suoi uomini era morto, invece il nemico aveva subito molte perdite, troppe, per essere stato attaccato da soli cinquanta uomini. Ma se per quella notte ormai il lavoro era concluso, molto altro ne restava da fare.
***
-Il primo attacco è riuscito: il capitano e la sua squadra hanno effettuato un assalto notturno con successo...- annunciò Rhyg, leggendo il messaggio che gli era appena stato recapitato dal piccolo volatile che ora osservava incuriosito gli astanti, posato sulla spalla di Naraas. Awryn tirò un sospiro di sollievo al sentire quelle parole, stavano tutti bene dunque. Il guerriero miornista la guardò ghignando.
Avanzavano da ore tra le foreste settentrionali, ipotizzando su come stessero andando le cose per i loro camerati, chiedendosi se non fosse un'impresa troppo disperata. Awryn si era agitata, preda delle più cupe preoccupazioni, ora le buone notizie le fecero tirare un sospiro di sollievo. Aveva temuto per Aner, Corse, Syas, Okksel e si era impensierita per Uriel. Mentre avanzavano, tra le rocce appuntite di un rigagnolo che s'insinuava tra i monti, Awryn teneva lo sguardo basso e continuava a pensare a quella furtiva occhiata che lui le aveva lanciato prima di andar via.
***
-C'è un ponte, sospeso tra le vette più ad est, da cui potremmo costringerli a passare- disse il capitano ad Aner e Syas, in un conciliabolo per decidere sulla loro prossima mossa.
-Come?- chiese semplicemente Aner.
Uriel lanciò un'occhiata a Syas e sorrise, -possiamo sfruttare l'abilità del nostro ingegnere- disse soddisfatto. Gli altri due lo fissarono dubbiosi e lui spiegò:
-noi li precediamo, piazziamo delle trappole esplosive qui e là. Al momento giusto le attiviamo, li spaventiamo e li convogliamo verso il ponte. Altri di noi avranno tagliato le corde al punto giusto: sarà rischioso, perché dovranno attraversarlo, segare appena i finimenti per indebolirlo e tornare indietro, dove dovranno essere abili a non farsi avvistare dal nemico per non destare sospetti. Quando poi i Sunek passeranno sopra alla passerella, il peso dei loro cavalli e dei loro carri farà il resto.-
-Questo significa che i tempi devono essere presso che perfetti Syas, pensi di riuscirci?- chiese Aner all'amico.
-Certo! Fidatevi di me!- disse Syas portandosi un dito alla tempia, come ad indicare che la sua mente già stava lavorando.
Cavalcarono veloci come il vento, per riuscire a precedere il nemico, stretti nei loro manti per il freddo pungente di quella giornata grigia, nonostante i raggi tristi che guidavano la loro missione. Lavorarono alacremente per nascondere quei piccoli sacchetti contenenti la polvere esplosiva, unico dono portato da Noume, terra d'origine di Syas. Mentre Corse ed Aner tenevano d'occhio i nemici, Okksel era andato avanti sul ponte.
La sua lama lacerava le spesse funi che tenevano il ponte teso su quel precipizio ed egli non poteva non pensare che finalmente la sua vendetta in parte si compiva, che per sua mano molti Sunek sarebbero precipitati in quel baratro. Si era offerto egli stesso volontario per quel difficile compito e ora misurava attentamente quanto la corda fosse stata indebolita.
***
I Sunek avanzavano nella macchia con circospezione. Sapevano di essere a rischio mentre si spostavano tra i tronchi. Di certo il loro numero era ancora soverchiante in uno scontro diretto, ma i loro inseguitori avevano dato prova di essere abili e per quanti esploratori loro mandassero in avanscoperta, questi non tornavano mai, così che non avevano informazioni esatte sulla posizione di quelli che chiamavano Tarkir, in ossequio ai vecchi fasti.
Il nome figli di Dror, era perso nelle loro fragili menti, ottenebrate da i sogni di gloria e grandezza che Gorn dipingeva per loro, tessendo una ragnatela sottile, ma resistente più dell'acciaio delle loro lame.
Quel mattino, nelle prime luci dell'alba, intirizziti e spossati da quella fuga, cercavano di avanzare rapidamente per raggiungere il confine orientale con Rileel.
D'un tratto l'aria fu piena di urla e di piccoli boati: i cavalli s'imbizzarrirono, disarcionando i loro cavalieri. Nitrendo in preda al panico, tentavano la fuga da quelle esplosioni, mentre i Sunek cercavano di riprendere il controllo della situazione. Altre cariche detonarono dal fianco destro della formazione, spingendoli ad avanzare verso nord-est.
Galoppavano, coi cuori pieni di paura, per la prima volta da quando quella guerra era iniziata. Eppure non era paura della morte, ma terrore di vedere crollare quelle leggendarie visioni di sé che ormai albergavano nei loro animi, divorando il loro buon senso. Qualcuno di loro urlò, dando ordini e direzionandoli: il ponte, il ponte era la loro unica via di salvezza.
***
Eccoli affrettarsi verso il precipizio, ancora una volta un attimo di esitazione percorse i loro animi, ma l'incalzare di altre esplosioni li fece decidere: sciamarono verso quella passerella, indifferenti ai loro compagni che cadevano, spinti dall'impeto dell'orda.
Finalmente le corde si tendevano e tiravano, mentre pesanti carri venivano spinti sulle fasce di legno. Ci fu un forte scossone e la paura li avvolse. Infine capivano, intuivano la trappola girandosi nel tentativo disperato di tornare indietro, mentre i loro compagni ancora sull'argine si opponevano a quel flusso, spaesati.
Un suono sordo pervase l'aria, le corde avevano ceduto e sotto lo sguardo attonito di coloro i quali erano ancora al sicuro sulla solida roccia, il dirupo inghiottiva i loro camerati, le cui urla disperate si perdevano nella nebbia.
Anche sta volta l'Est li aveva battuti.
***
Awryn cavalcava rapidamente con il resto della formazione. Avevano ricevuto l'ordine di affrettarsi, in seguito al nuovo successo dell'unità di Uriel, in modo da raggiungere uno specifico punto più a sud rispetto alla loro posizione. Naraas le si accostò, sorridendo maliziosamente:
-Allora di chi attendi notizie così ansiosamente, piccola Awryn?-
Quella domanda le fece strabuzzare gli occhi, ma il miornista proseguì:
-si vede lontano un miglio, sai? Ed io sono un buon osservatore.-
-Non capisco di cosa tu stia parlando- tagliò corto lei.
-Tieniti i tuoi segreti, dolce Awryn, io terrò i miei...- disse lui nel tentativo di farle vuotare il sacco.
***
Due giorni erano passati dall'agguato sul ponte, Uriel aveva cavalcato coi suoi uomini a lungo e finalmente li avevano preceduti e distanziati. L'ultima fase del suo piano stava per compiersi, ma il rischio era grande e tutto dipendeva da Rhyg e dalla formazione lasciata nelle sue mani.
Rhyg li aveva fatti dividere a sua volta: il gruppo di Awryn restava più indietro, mentre l'altro cavalcava rapido per raggiungere Uriel. La ragazza sentiva come una lieve ansia opprimerle il petto: aveva capito qual'era il piano e le manovre da compiere necessitavano di coordinazione.
Quel giorno un nevischio delicato si adagiava sulle loro spalle. Un tremito d'impazienza li faceva sbuffare dai loro nascondigli tra gli alberi. Ma ancora il nemico non si faceva vedere. Che avessero intuito? Che avessero intrapreso un'altra strada? Eppure Corse non li aveva perduti d'occhio un istante, Uriel ne era certo.
Un lieve scalpiccio, come di una gran folla, echeggiò nella boscaglia. I Sunek erano stanchi, spossati e impauriti.
Non videro le buche piene di spuntoni, mimetizzate dal fogliame, che gli uomini del capitano avevano preparato in tutta fretta per il loro arrivo. Molti ancora di loro caddero, gli altri si arrestarono e indietreggiarono, cercando scampo, senza nemmeno saper bene dove, da quell'incubo che Nirel, terra di vittorie e libagioni, era diventata per loro.
All'improvviso si ritrovarono parte dello schieramento davanti, parte alle spalle e vennero accerchiati sempre di più. Eppure, nonostante tutto, quei fieri uomini non si arresero. Urlarono e caricarono, abbattendosi sui Tarkir per tentare di sfondare le loro fila. Il gruppo di Awryn resistette all'impatto.
Nayif e Farkas si destreggiavano colpendo assieme i nemici, mentre Awryn si lanciava precisa sugli obiettivi che le si paravano davanti, mostrando un'abilità e una determinazione nuovamente rafforzata.
Naraas ruotava la sua ascia, assestando colpi e mozzando arti, conficcandola nelle armature e negli elmi degli avversari come se questi fossero stati di burro. Dall'altro lato Uriel e i suoi scagliavano frecce, bersagliando ancora i nemici. Syas danzava quasi, colpendo con la spada con una destrezza e una leggiadria così elevate, che gli schizzi di sangue, che produceva ferendo il nemico, neppure facevano in tempo a sporcare la sua armatura.
Aner aveva abbandonato temporaneamente la fedele balestra per lanciarsi nella mischia, spazzando gli stanchi avversari con furia devastante. Il capitano lanciava ordini sulla formazione, incitando gli uomini, mentre quasi distrattamente scagliava un fendente nel ventre di un oppositore, il quale iniziò a sputare sangue con conati fortissimi. Tutti si batterono al massimo delle loro capacità ed infine l'urlo che Uriel aspettava arrivò.
-Rhyaaaaat!- si sentì levare dal massacro in corso. Si arrendevano. I Sunek lasciavano cadere le proprie armi, alzando le mani al cielo in segno di sconfitta, inginocchiandosi e abbassando lo sguardo.
Uriel si avvicinò a colui che aveva dichiarato la resa, il quale doveva essere uno dei più alti ufficiali.
-Ebbene siete stati sconfitti- asserì mentre un silenzio trattenuto calava sugli uomini. Il suo interlocutore abbassò lo sguardo.
-Ora ci consegnerete la vostra base vicino al confine con Rileel, in cambio noi non vi trucideremo sul posto. Vi sarà data la possibilità di unirvi a noi, oppure di essere fatti prigionieri di guerra, a voi la scelta. Queste sono le condizioni che poniamo- egli si fermò aspettando che l'altro rispondesse.
-Ebbene vi porteremo al distaccamento, ma per la scelta tra prigionia e arruolamento, non posso decidere io per i miei uomini- rispose quello. Poi aggiunse:
-eppure dovreste preoccuparvi di avere dei Sunek tra le vostre fila, perché non sarebbero di certo i primi-.
-Che intendete?- chiese Uriel.
-Intendo che siamo stati battuti doppiamente, quindi onore a voi capitano, poiché gli inseguiti sapevano di essere tali- disse l'altro ghignando. Il volto del capitano si distese: i suoi sospetti erano fondati.
-Onji- disse Uriel piccato. L'altro annuì.
Spazio dell' autrice:
Salve a tutti! Mi scuso anzi tutto se la lunghezza dei miei capitoli varia un po', ma cerco di dare un senso al punto in cui un capitolo inizia ed un altro finisce. Visto che Wattpad concede un rapporto così diretto con l'autore mi son detta: perché non sfruttarlo?? Quindi eccomi qui :) spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate lasciando magari un commentino (anche una critica, sono ben accette anche quelle). Pensavo di sfruttare questo spazio per delle curiosità sui personaggi o sulla storia, quindi, se ne avete, chiedete pure! Spero di aggiornare presto, anche se ora sono un po' incasinata causa sessione d'esami. Grazie mille del supporto e della fiducia che mi dimostrate continuando a leggere (si questo capitolo è incentrato tutto sulla fiducia tra i vari personaggi, se non si fosse capito)!
Un bacio, a presto
Releryn
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