Capitolo 3 -Tenaglie-
Le prime luci dell'alba indoravano l'accampamento: i raggi freddi e lunghi bruciavano quasi gli occhi di Uriel, quando uscendo dalla sua tenda si diresse verso i suoi fidati che tornavano all'avamposto da una notte di esplorazione. Luce, ombra, luce e ombra ancora. Nel silenzio del tenue dormiveglia mattutino egli si muoveva senza sentirne il peso. Qualcosa gli impediva di concentrarsi appieno: forse era stato lo scarno e agitato sonno di quella notte, forse era stato quell'incubo.
Gli rimbombava ancora nelle tempie quella voce che urlava e il pianto di un bambino, il suo. Sapeva cosa aveva sognato: un ricordo, forse il primo, seguito dal rullare dei tamburi di guerra e dal tintinnio delle spade. Un brivido percorse la sua schiena mentre raggiungeva il decumano nel punto in cui, a ovest, l'accampamento terminava. Corse, Aner e gli altri ricognitori gli venivano incontro.
-Come pensava lei capitano, un grosso assembramento. Saranno diecimila uomini e si preparano ad un attacco. Abbiamo incrociato alcuni esploratori quindi non abbiamo più molto tempo. Il loro mancato ritorno sarà un segnale più che sufficiente- disse il balestriere Aner, scuro in volto. Le sue occhiaie quel mattino erano ancora più profonde.
-C'è la possibilità di nascondere delle piccole unità tra le montagne?- chiese Uriel.
-Si capitano, possiamo sfruttare delle postazioni di osservazione sia a nord, sia a sud. Ci daranno un bel vantaggio in altezza- replicò il caporale Corse.
-Bene, radunate gli ufficiali nella mia tenda tra mezz'ora- concluse seccamente Uriel.
***
Quando furono tutti presenti il capitano iniziò ad esporre il piano.
-Non è privo di rischi- osservarono acidamente alcuni tra i più anziani. Uriel non mancò di notare un sottile astio, una nota di disappunto nei loro sguardi. Era giovane, il più giovane capitano di tutto l'esercito, figlio adottivo di uno dei generali più valorosi della guerra di Noume. Scaltro come pochi, aveva guadagnato il suo rango per le sue idee ardite e brillanti.
-Certamente maggiore, -convenne Uriel -ma è di una mossa inaspettata che abbiamo bisogno e per quanto possa essere rischioso portarli sotto le mura della fortezza, gli sembrerà un'occasione troppo ghiotta, una passeggiata. Sarà in quel momento che avranno compiuto il loro più grande errore-.
-E i civili? Se cadessimo farebbero la fine dei topi in trappola- gli appuntò l'ufficiale che gli si era opposto prima. Si trattava del maggiore Rolfs.
-Se non rischiassimo sarebbero comunque spacciati- rispose il giovane capitano pacatamente.
-Capitano Uriel siete arrivato da così poco tempo e già credete di poter cambiare le sorti del conflitto? Non starete forse peccando di superbia?- chiese il suo interlocutore, alzando un sopracciglio.
-Non credo di cambiare proprio nulla, sostengo però che se non agiamo, continueremo a subire la schiacciante superiorità del nemico e fin'ora non mi sembra che abbiamo opposto una degna resistenza- replicò lui. Sapeva di aver azzardato con quell'ultima affermazione, ma diceva il vero.
-Molto bene. Il numero delle perdite ricadrà sulla vostra testa.-
-Me ne farò carico, qualora ce ne fossero- Uriel sorrise, quasi sfidando i suoi detrattori.
***
Roin stava dando disposizioni, altre unità di fantaccini erano disposte davanti allo stretto passaggio tra i monti che collegava la rocca d'Irdia allo scheletro esangue della piana di Nirel, dove il nemico era accampato.
L'aria penetrava in quella fenditura come un forte vento nello spiraglio di una porta, turbinando violentemente con la sua morsa glaciale. Cinquecento uomini erano pronti a inoltrarsi nel passaggio per attirare la belva occidentale in quella tenaglia.
Awryn sentiva la peluria del collo drizzarsi quando un soffio si intrufolava tra le piastre dei suoi spallacci. Affianco a lei Olb tremava dalla paura, mentre Nayif deglutiva tenendo lo sguardo fisso a terra. Barn e Farkas qualche fila più indietro erano pronti a scattare quando avessero ricevuto il segnale.
***
L'unità di Aner procedeva verso la cima dei monti a nord di Nirel. Avanzavano in silenzio, con l'umidità della nebbia che penetrava nelle loro ossa quasi a voler farle marcire. Poco più in alto la bruma si diradava e le piccole postazioni di guardia offrivano la vista terrificante delle vette di Taniarda. La foschia era un problema: non gli consentiva di vedere tutto quello che accadeva più in basso. Si sarebbero dovuti affidare esclusivamente ai suoni dei corni da guerra.
Altri mille uomini, analogamente, prendevano posto a sud. Syas vedeva bene tutti i rischi di quell'impresa, ma si fidava del suo capitano. Teneva gli occhi puntati giù; dalla sua postazione la visuale era migliore: vedeva la squadra di fantaccini tremare di paura, pronta a far da esca vivente, vedeva di fronte a sé l'altra squadra di arcieri ed ingegneri tesa al più impercettibile dei suoni.
Uriel faceva saettare gli occhi sullo schieramento. Non gli era consentito sbagliare, lo sapeva bene. Ogni fibra del suo essere era concentrata in quello spasmo, calcolando e ricalcolando rischi e tempistiche. Erano pronti. La sua mano calò verso il basso, dando il segnale.
***
Le squadre di fantaccini si mossero all'unisono verso il passo, scrutate dagli occhi attenti dei loro commilitoni sulle postazioni di guardia. Le cariche erano state posizionate, la fanteria attendeva pronta il secondo segnale.
Awryn avanzava con circospezione, i sensi all'erta, pronti a cogliere ogni sussulto. Il respiro le moriva in gola, nel terrore che il più piccolo suono potesse farli scoprire. La fenditura serpeggiava un po', curvando verso sud, per poi aprirsi di fronte all'accampamento nemico. Qualche metro prima di quella curva Roin li fermò. Attesero pochi, interminabili secondi, ascoltando i rilassati rumori che provenivano dall'avamposto.
-Carica!- urlò Roin. Le spade furono sguainate e l'unità calò con furia tra le tende dei loro oppositori. Awryn guizzava con la sua lama, fulminea e precisa, trapassando i nemici che, colti alla sprovvista, le si paravano davanti.
Olb roteava la sua mazza chiodata nervosamente, uggiolando di paura, fin quando, senza quasi rendersene conto, sfondò il cranio ad un soldato che lo aveva accostato di lato.
-Oh oh!- esclamò sorpreso e galvanizzato.
-Continua così, amico!- gli urlò Nayif che aveva assistito alla scena.
Nei suoi occhi vi era una luce nuova, una sorta di determinazione con la quale menava fendenti per l'aria, mozzando braccia e recidendo teste.
Farkas tagliava gole, colpendo alle spalle: scivolava tra le fila nemiche, indisturbata, piccola e veloce com'era, uccidendo con freddezza e precisione fuori dal comune.
Barn, a dispetto delle sue braccia gracili, tumefaceva i volti di quelli che si avventavano su di lui, creando attorno a sé un cerchio di cadaveri lividi.
L'effetto sorpresa, tuttavia, non durò molto e gli uomini dell'Ovest si riorganizzarono ben presto. I primi soldati, in panni civili, che avevano abbattuto, furono sostituiti da uomini in arme, feroci e minacciosi, che calavano asce e spadoni sulle fila dell'Est.
La lotta si fece più impegnativa e Awryn dovette studiare i punti deboli dei suoi avversari, per poi far affondare la sua lama con forza.
Teneva alto lo scudo, parava, schivava e colpiva. Il filo sottile dell'arma penetrava come un ago attraverso le maglie della cotta avversaria, quasi come questa fosse di burro.
Ad un tratto Olb, al suo fianco, mandò un urlo straziante. La lunga asta di una freccia spuntava dal suo fianco. Awryn si affrettò verso di lui per coprirgli le spalle.
-Olb! Tutto bene?- gli chiese quando il ragazzo ebbe cessato di dimenarsi –ce la fai a muoverti?-
-Sì- rispose lui boccheggiante –posso ancora farcela.-
Nayif lo aiutò a rialzarsi e gli porse la mazza, ma era evidente che la ferita era profonda.
Ora i tre combattevano schiena contro schiena, semi accerchiati dal nemico. Furono costretti ad alzare gli scudi spesso poiché quadrelli di dardi si riversavano sul loro battaglione, scagliati da macchine infernali, simili a catapulte.
I loro animi furono afferrati dalla paura: sudore freddo scorreva sulle fronti corrugate e la tensione attraversava i loro sguardi. Le perdite iniziavano a farsi sentire e Roin diede l'ordine della ritirata. I superstiti sciamarono verso la fenditura con le truppe del nemico alle spalle.
Ci cascavano. Fluivano come una corrente marina tra le rocce, inseguendo le loro prede con avidità. Awryn correva, per quello che le riusciva, col peso di Olb sulla spalla sinistra, condiviso dall'altra parte con Nayif. Avevano il fiato corto, il cuore in gola e i muscoli che bruciavano. Olb si lamentava: probabilmente la freccia era avvelenata, ma non era il solo ferito. Farkas aveva un lungo taglio sulla coscia e Barn reggeva un moncherino grondante di sangue.
Mancavano pochi metri, l'aria avvampava nella gola e i piedi dolevano, ma la trappola stava per scattare. Nelle orecchie, nonostante le bestemmie e le imprecazioni, non avevano altro suono se non il serrato e ritmico battere del loro cuore.
***
Uriel fremeva d'impazienza. Sentiva che i fantaccini si avvicinavano nella loro finta ritirata, ma un pensiero lo fulminò: lei era lì in mezzo. Sentì il cuore sobbalzare un istante, poi si disse di calmarsi e mantenere la concentrazione.
L'esca raggiunse finalmente lo spiazzo antistante il fortilizio: Awryn, Olb e Nayif si gettarono sulla sinistra col fiato corto.
Poco più in là comparvero i nemici. Ancora una volta un'ombra di sorpresa attraversò i loro volti. Cinquemila fanti si paravano tra loro e la cittadella. Un'opportunità fin troppo ingorda: tutta Nirel da conquistare, sconfiggendo un numero di uomini pari alla metà dei loro.
Ciò che l'Ovest stava però sottovalutando in quel momento era la presenza degli uomini che rientravano nelle legioni di Onji e Uriel, in più i loro ingombranti carri da guerra non potevano attraversare la breccia tra i monti. La brama di conquista ebbe la meglio nelle menti dei figli di Sunek e accantonata l'indecisione, decisero di caricare. Il frastuono dell'impatto spaccò l'aria, mentre dense nubi nere si accavallavano su Nirel.
Naraas ruotava la sua ascia attorno a sé, colpendo gli avversari con potenza. Okksel, al suo fianco, spazzava le fila nemiche con la sua claymore. Corse, dalle retrovie, scagliava frecce che fischiavano tra le schiere per colpire nel momento del bisogno. Uriel avanzò tra i suoi uomini.
-Capitano! Guardi qui tra me ed Okksel quanti ne abbiamo buttati giù! Ci farà da testimonio con quello sbruffone di Corse- ironizzò Naraas, vedendolo avvicinarsi.
-Avete visto Onji da qualche parte?- chiese Uriel, schivando con noncuranza un colpo di scure alla sua sinistra.
-No capitano.-
In quel momento cinque avversari li circondarono: Naraas e Okksel schivarono contemporaneamente due colpi indirizzati alle loro teste, indietreggiando e scartando l'uno verso l'altro. I due assestavano fendenti come un unico essere, impedendo, ai tre che li avevano ingaggiati, di avvicinarsi. Uriel vorticava le sue lame attorno al corpo, parando le spade dei suoi assalitori e attendendo il momento giusto. In un attimo uno dei due scoprì il petto, scivolando sulla daga del capitano, che prontamente conficcò il pugnale nel suo torace. A quel punto Uriel si voltò e recise di netto la testa dell'altro.
***
Awryn e Nayif avevano lasciato Olb al sicuro. Avevano perso di vista gli altri e ora saettavano sul fianco sinistro del campo di battaglia. Attorno a loro il terreno coperto di rosso e disseminato di cadaveri di alleati lasciava intuire le difficoltà che pativano. Gemiti di sofferenza si levavano dai feriti a terra, urla di dolore e pianti di desolazione di chi sapeva di star vivendo gli ultimi istanti della sua vita.
Awryn parava i colpi col piccolo brocchiero, facendo spuntare l'affilata lama della spada dagli angoli più imprevedibili. Nayif affondava l'arma fino all'elsa nel ventre dei nemici. Iniziavano però a sentire tutta la stanchezza di quello scontro: i loro riflessi non erano più pronti e gli avversari erano troppo numerosi. Un colpo scalfì la spalla di Awryn appena sotto lo spallaccio.
***
Uriel la scorse tra la folla, la vide perdere l'equilibrio e cadere all'indietro mentre Nayif le faceva scudo, vide che dei suoi ormai erano pochi i sopravvissuti su quel fianco. Ordinò che alcune legioni venissero spostate sul lato e si mosse anche lui, indifferente alle proteste degli ufficiali. I suoi uomini lo seguirono.
Come una marea sollevata dalla luna travolsero il nemico. Un corno suonò e nugoli di frecce nere piovvero dal cielo. L'Ovest iniziava finalmente a perdere terreno. La nebbia azzurrina si era diradata, Aner poteva scorgere chiaramente i bersagli in basso e il fuoco che aprì sulle orde nemiche con la sua fedele balestra non mancò l'obiettivo.
Uriel si parò davanti ad Awryn, ricacciando indietro il soldato che l'aveva ferita e che aveva quasi disarmato Nayif. Il turbine della sua furia avvolse l'avversario senza lasciargli scampo, così che in pochi secondi i suoi occhi erano già vitrei e Uriel si voltava per far ripiegare i feriti ed avanzare la parte centrale della formazione.
-Stai bene?- le chiese, rimettendola in piedi.
-Credo di sì- rispose lei ignorando il sangue che scorreva sul suo braccio sinistro. Il taglio doleva ma lo scudo era leggero, poteva ancora sollevarlo, quindi Awryn lo raccolse pronta a riprendere la battaglia.
-Va dietro!- le intimò lui a denti stretti.
-Posso resistere capitano!- protestò lei.
-È un ordine soldato!- la zittì lui. Awryn puntò i suoi occhi castani in quelli del capitano con una luce ferina: non era il taglio che bruciava in quel momento.
Uriel sgranò gli occhi:
-d'accordo, ma resta dietro di me- le disse deglutendo.
Altre frecce bersagliarono le schiere occidentali, ormai sorprendentemente ridotte. Un lieve terrore si andava insinuando nelle loro movenze e l'insicurezza li rendeva più vulnerabili. Iniziarono ad indietreggiare.
Un gorgo sembrò quasi risucchiarli nello stretto passaggio dal quale erano venuti. "Due volte nella trappola" pensò Uriel, con gli occhi ridotti a due fessure. Il suo braccio calò di nuovo e un corno suonò.
L'eco delle detonazioni che seguì dipinse un sorriso beffardo sul suo viso. Un fumo bianco e denso invase la valle. Il nemico rimase in gran parte schiacciato sotto le macerie dei fianchi delle alture, mentre, sia da nord sia da sud, fresche forze alleate calavano sui sopravvissuti, sfruttando l'altezza. Pochi erano scappati, la battaglia era vinta.
***
Awryn era intorpidita ed esausta. Uriel le si avvicinò e le sollevò il braccio, sfiorandole delicatamente la mano.
-Non è grave per fortuna- le disse con sollievo. I loro occhi si incrociarono ancora, ma stavolta lui sorrise in modo appena percettibile. Ci fu qualcosa nel silenzio tra di loro, come se in realtà quello sguardo stesse parlando molto più di quanto potessero fare. Lei ritrasse il braccio e lui si voltò per rialzarsi.
-Va a farti medicare- concluse Uriel, andando via.
Awryn si incamminò verso la tenda deputata a reparto infermeria. Entrando non poté far a meno di provare quel senso di paura che la pervadeva ogni qual volta assisteva un ferito grave. Nayif era con lei e la sua presenza in qualche modo la rassicurava.
Temeva ciò che avrebbe visto, temeva quella sensazione. I propri compagni sulle lettighe, avvolti in bende purulente, con le viscere liquefatte, riverse fuori dal corpo. Allontanò quella visione con un gesto della mano e cercò di riprendere contatto con la cruda realtà.
Olb, Fakas e Barn erano lì da qualche parte, feriti, forse anche letalmente. Un lamento quasi forzato proveniva da un giaciglio lì vicino. Nayif le indicò la figura avvolta nelle coperte che si contorceva in preda agli spasmi. Affianco a quel letto, inginocchiati, vi erano Farkas e Barn, con un espressione lapidaria in volto.
Farkas stava bene, eccetto che per il pallido colorito; Barn aveva perso la mano destra e aveva vari graffi e tagli, più o meno profondi, ma non preoccupanti. Fissavano entrambi il volto violaceo e sudato di Olb.
-La freccia era avvelenata- disse Barn con voce piatta, -non passerà la notte-. Nessuno ebbe l'ardire di dir nulla, tenevano gli occhi bassi, su quel fiero ragazzo che li stava lasciando.
Qualcosa di nuovo si spezzava in loro, quella difficoltà a deglutire e respirare, la stessa che rendeva le loro nocche bianche, quando stringevano i pugni. La vittoria sembrava quasi una beffa, di fronte a quel dolore. Eppure sapevano di non avere il tempo di fermarsi.
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