Capitolo 21 -Mare in tempesta-

L'andare e venire delle onde, che giungeva alle loro orecchie, non era dolce in quelle notti afose. Il mare, distante poche miglia, mugghiava contro le scogliere di Acasti, ululando selvaggio sulle loro spalle. L'aria salmastra arrivava appena, confondendosi con l'afa che saliva dagli acquitrini, imperlando la fronte di Awryn quando si svegliava madida di sudore, con poche e malferme ore di sonno addosso e la gola riarsa.

A quel punto cercava di mandar giù la saliva, sperando che bastasse a quietare la sete, ma ormai erano senz'acqua da troppi giorni e le allucinazioni cominciavano ad agitarsi nei loro occhi.

-Brutto sogno?- le chiese Uriel, le palpebre pesanti e tremule.

Lei annuì con vigore. –Ho troppa sete, Uriel, e non sono l'unica. Dobbiamo trovare il modo di bere.-

-Non c'è acqua potabile ad Acasti, lo sai. Dovremmo avvicinarci a Rellang per bere... dovremmo, dovremmo proprio- le rispose il comandante.

-No, ho un'idea- disse lei, levandosi in piedi. Awryn armeggiò con le bisacce e ne estrasse un pentolino di rame, poi si accinse a riempirlo con l'acqua di una piccola pozzanghera. La ragazza dispose il pentolino fra le braci e ravvivò il fuoco. Uriel la guardava, ma sembrava distante e spossato. Lei ricambiò il suo sguardo, corrugando le sopracciglia.

-Dovresti dormire, comandante- avrebbe voluto accompagnare le parole con un tono più dolce, ma i sorrisi stavano svanendo di nuovo sulle sue labbra e ora diventavano sempre più radi come in passato.

Lui annuì, incapace di proferire parola, quindi si poggiò sul fianco, ancora con le pupille fisse su di lei. Awryn lo vide rannicchiarsi e chiudere piano gli occhi, schiudere le labbra e abbandonarsi a quel limbo.

La ragazza tornò a fissare il pentolino, che già tintinnava. L'acqua al suo interno era torbida, come torbidi erano i pensieri che attraversavano il bivacco, sia di giorno, sia di notte. Dopo il tradimento di Okksel, si erano trovati in una posizione di stallo, impossibilitati a intraprendere qualsiasi azione, se non nascondersi dalle truppe di Gorn che battevano la zona. Nessuno di loro aveva avuto il coraggio fino a quel momento di guardare in faccia alla realtà: erano rimasti in pochi.

Un rumore richiamò la sua attenzione: un fruscio e dei passi. Awryn strinse l'elsa della spada e allertò i propri sensi. Lontano dalle fiamme, ai bordi esterni di quell'accampamento improvvisato, qualcuno si stava muovendo. La ragazza si avvicinò con cautela, scorgendo solo due figure. Si chiese se fosse il caso di dare l'allarme. Nessuno dormiva un turno di sonno appagante ormai da diversi giorni, quindi si disse che avrebbe richiamato l'attenzione dei suoi compagni solo se fosse stato indispensabile. Se fossero stati degli esploratori, avrebbe dovuto ucciderli prima ancora che se ne rendessero conto, senza che nessuno levasse un urlo, rivelando la loro posizione. Si nascose fra i tronchi putrescenti e con passi leggeri si spostò nella loro direzione.

Le due figure uscirono dalla sua vista, ma Awryn poteva sentire i loro respiri e i loro sussurri, sempre più vicini. Trattenne il respiro e sollevò la spada, prendendola a due mani, pronta a colpire. L'ombra dei due già si allungava ai suoi piedi, quando la ragazza balzò fuori dal proprio nascondiglio.

Nayif e Barn le restituirono un singhiozzo di sorpresa e terrore allo stesso tempo, mentre lei lasciava andare la spada e si portava una mano al petto.

-Ma che vi salta in mente?- abbaiò lei, sforzandosi di mantenere basso il tono della voce. –Mi avete fatto venire un colpo! Credevo foste esploratori, diamine!-

Nayif deglutì nell'oscurità. –Noi...-

Awryn strizzò gli occhi e notò le borse che portavano legate alla schiena. -Aspettate... no, no, no- protestò, incredula. –Non voglio crederci. State disertando. Ancora- aggiunse, rivolta a Nayif.

-Lasciaci spiegare- tentò lui.

-Non c'è nulla da spiegare! Mi aspettavo molto di più da voi due, non siete più gli stessi che ho conosciuto- disse Awryn, scuotendo la testa.

-Per quanto mi riguarda, Awryn, non mi conosci poi molto- ribatté Barn. –Non hai ancora capito? Ho pagato fin troppo il mio debito con la società e non sono fatto per fare il lupo in gabbia, chiaro? Questa guerra non la vinceremo, apri gli occhi. Sai da quanto siamo bloccati qui ad Acasti, ormai?- le chiese alzando il tono, ma rimanendo impassibile. –No, non lo sai! Sono due mesi, Awryn, due maledettissimi mesi che siamo qua. Non ho diritto nemmeno a morire gloriosamente in battaglia, come un fottuto guerriero dovrebbe fare. No, ora non abbiamo più scelte, dobbiamo arrenderci, ma Uriel non ne vuole sapere. Io mi voglio tirar fuori da tutto questo.-

-Barn ha ragione, anche io ne ho abbastanza. Ho già subito troppo, ho già visto troppo dolore, ho già fatto troppo- aggiunse Nayif, abbassando lo sguardo.

-Non infliggerti colpe più grandi di quelle che ognuno di noi porta sulla pelle, Nayif. Hai sbagliato, ma questo non ti autorizza a farlo ancora. So quello che provi, lo capisco. Non sei stato l'unico ad esser corrotto da quando abbiamo iniziato ad avanzare, sai?- ci fu una pausa, interrotta solo dal mormorio lontano del mare e dai suoni ovattati delle melme. –Pensi che nulla ora potrà estirpare le tue colpe? Certo! Nulla lo farà se ci lasci. Già una volta sei stato illuso dal sogno di una vita tranquilla, lontano da qua, arresa al governo di chiunque, purché il sangue smetta di imbrattarti le mani. Non è forse così?- Awryn prese fiato.

-No, Nayif, sai che non è la cosa giusta da fare. Restate qui, abbiamo bisogno di voi più che mai- li implorò. -Uriel ha un piano, dobbiamo soltanto riprendere un attimo fiato e raccogliere le forze, abbiate fiducia in lui! Lo sapete entrambi che non è la cosa giusta da fare!-

Nayif si portò le mani al viso, asciugandosi gli angoli degli occhi, ma incapace di sollevare lo sguardo. Awryn lo cinse e lo rassicurò. –Va tutto bene, hai i tuoi amici al tuo fianco.-

La ragazza lo ricondusse verso il fuoco, mentre Barn con le mani lungo i fianchi e un aria disillusa li seguiva.

***

Uriel aprì gli occhi con fatica, mettendo a fuoco gradatamente il viso tirato di Awryn: gli stava porgendo qualcosa, un pentolino forse. Uriel bevve il contenuto, anche se sapeva di piscio e palude.

-Ho dato acqua a quanti più ho potuto, comandante- gli disse lei, asciutta. Uriel inarcò le sopracciglia, non lo chiamava comandante da mesi ormai. Lei sembrò avvedersene e si affrettò a raddolcire il tono della voce. –Ci serve acqua e cibo, il morale resta troppo basso se non ci possiamo dissetare. Adesso, Uriel, ti ho dato l'occasione di riprendere la fiducia dei soldati.-

Uriel si accigliò ancora, -di che stai parlando?- le chiese. Awryn spiegò quello che era accaduto la notte precedente, ma non volle dire chi fossero i due che avevano tentato la defezione. Il comandante si rese conto che la ragazza stava in qualche modo tentando di proteggerli. D'altra parte chi meglio di lei avrebbe potuto capire ciò che si agitava in quel momento nell'animo dei soldati? Forse le faceva male rivivere la stessa situazione che l'aveva portata a disertare una volta, ma lo stava nascondendo dietro ad una maschera di risolutezza. Cosa stava cambiando in lei?

-Devi approfittarne, devi dargli una speranza, ora- gli disse lei, con occhi lucidi e stanchi.

Lui annuì e diede l'ordine di riunire tutti sopravvissuti. Mille ventiquattro uomini, non uno di più. Uriel si arrampicò su di una sporgenza che gli dava modo di sovrastare appena la folla. Come cominciare? Li guardò negli occhi uno ad uno. C'era chi tra di loro non aveva nemmeno i primi peli sul mento e chi invece aveva lasciato a casa moglie e figli, magari ancora in fasce. E poi c'erano gli assenti. Uriel avrebbe voluto il sostegno dei suoi uomini migliori in quel momento, ma di Syas non aveva notizie da molto tempo ormai e Rhyg era sparito nel nulla. Il comandante inspirò.

-Non mentirò a nessuno di voi. Non vi dirò più che vinceremo questa guerra- mormorò. Un brusio scontento gli rispose. –Ma siamo arrivati sin qui, siamo l'unica speranza, l'unico scoglio che s'innalza contro il mare in tempesta. Siamo gli unici che possono difendere i nostri fratelli e le nostre sorelle. Le nostre madri contano su di noi, i nostri figli hanno bisogno del nostro coraggio per poter camminare liberi sul suolo di Dror, come noi stessi abbiamo fatto.

Non negherò che in questo momento siamo in seria difficoltà e che ogni speranza sembra persa. Ma tutto ciò ci dice solo una cosa: che l'urgenza della nostra missione è aumentata e non possiamo più esitare. Sì, siamo stati scoperti. Sì, siamo rimasti in pochi. Sì, le nostre riserve scarseggiano. Ma tutto questo significa solo che dobbiamo muoverci.

So anche che la fiducia che nutrite in me sta scemando. Vi chiedo solo ancora una volta di prestare ascolto alle mie parole. Ci serve un piano per prendere Rellang, ed io ne ho uno- attese che quelle parole si aggrappassero ai loro stomaci, incatenando ogni speranza al suo posto, impedendo che volasse via.

-Vorjdra è una piccola cittadina all'estuario del fiume Mosek. Ha un porto, navi e vettovaglie che possono fare al caso nostro- iniziò a spiegare.

-Ma non avevi detto che la costa è "più che sorvegliata"?- gli fece eco Barn, con aria inviperita. Affianco a lui Nayif si torturava le mani.

-Già, comandante. Ci vuoi sul serio portare in bocca al nemico?- gli chiese Aner. –Non sarebbe meglio cercare di allontanarsi alla svelta da Acasti e salvarci le chiappe? Non mostreremo il nostro valore con un gesto eroicamente suicida, Uriel.- Farkas annuì alle parole dell'amico.

-Potremmo aspettare dei rinforzi- continuò il capitano dalle occhiaie profonde.

-Non arriverà nessun rinforzo, Aner. Siamo gli ultimi rimasti- s'intromise Awryn, lo sguardo incredulo e sgranato.

-Allora che senso ha continuare? Non possiamo più vincere!- le rispose lui, quasi sbeffeggiandola.

Uriel sentì come un peso che si poggiava sulle proprie spalle e aumentava ad ogni istante. No, Awryn gli aveva dato un'occasione. Strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche e richiamò l'attenzione dei suoi sottoposti.

-Silenzio!-

***

-Sotto al mio comando non voglio più sentire una sola volta qualcuno insinuare che ci dovremmo arrendere. Io non mi arrenderò mai, chiaro?- ruggì il comandante, furente. Awryn percepì le proprie ginocchia piegarsi quasi. –Chiunque di voi pensi che sia il caso di gettare le armi è pregato di andare via- li sfidò. Awryn scosse la testa, non era quello l'approccio giusto. Affianco a lei Barn e Nayif fecero un passo in avanti.

-Noi- disse Nayif. Awryn sentì qualcosa incrinarsi nel petto. –No!- mormorò. Farkas le batté una mano sulla spalla: per la prima volta la ragazzina dagli occhi a mandorla sembrava atterrita.

-Molto bene, allora siete liberi di andare- sibilò Uriel tra i denti. –C'è qualcun altro?- chiese. Nessuno osò muoversi. Awryn strinse la mano di Farkas e cercò con lo sguardo Rhielorm, certa che l'abbandono di Nayif la stesse straziando. Rhirm in effetti era qualche fila più indietro, lo sguardo basso e le labbra strette in una morsa violacea, mentre Barn e Nayif le sfilavano davanti, diretti verso il folto della foresta. Qualcun altro, nelle retrovie si accodò a loro, ma furono in pochi.

-Ora che sono rimasti solo gli interessati- ribatté Uriel, con una vena amarissima di sarcasmo, -vi spiegherò quello che faremo-. Awryn lo osservò mentre spiegava di come alcuni avrebbero sottratto una nave e altri avrebbero aspettato più a nord, fiduciosi del fatto che i Sunek non li credessero disposti a rischiare tanto. Il comandante aveva una scintilla nello sguardo che Awryn aveva colto solo poche volte: una rabbia ferina, come di una bestia appena ferita e costretta a rintanarsi, prima di colpire ancora. Non era un buon segno. Aveva creduto di aver sconfitto quella bestia dentro di lui, ma quella era solo in attesa. Non c'era pace in lui. E in lei?

Awryn aveva un macigno che la faceva sprofondare, un peso legato con un nodo stretto alla propria gola. Conosceva il suo nome: senso di colpa. Proprio lei, che aveva vissuto quell'esperienza, che aveva provato dentro di sé la voglia di fuggire dalla trappola in cui erano caduti, solo cinque anni prima, non era stata in grado di fermare i suoi compagni. Il ricordo di quelli che erano stati i momenti successivi alla sconfitta riaffiorò in lei. Si rivide stretta in singhiozzi incontrollabili, il viso tra le ginocchia squassate dal tremore.

L'aveva perso, aveva perso l'unica persona al mondo che l'aveva apprezzata per quel che era. Il sorriso mite di Evandrus la tormentava, fratello e nemico nelle ore più buie della sua esistenza. Attorno a lei vedeva solo morte, solo cadaveri, nessuno stendardo, nessuno scintillio glorioso. I suoi commilitoni cercavano di raccogliere i cocci di quel tremendo scontro, ma lei aveva molto più da rimettere insieme. La sua vita le era apparsa come un'enorme negazione, un vicolo cieco dal quale non era possibile uscire, nel quale si era ritrovata spalle al muro, schiacciata da eventi più grandi di quelli che poteva sostenere. E così era fiorita in lei l'idea...

Non appena il fronte si era spostato sufficientemente ad est, lei era fuggita, sottraendosi a tutto quel dolore, rinchiudendosi in una gabbia di gelida stasi. Ma la stasi non era compatibile con la vita e se ne era accorta ben presto. Così aveva iniziato a studiare i Sunek, ma per cinque anni non era stata in grado di muovere un solo dito per aiutare la sua terra. Anche se avrebbe potuto.

L'impotenza, la sconfitta, la accolsero ancora nel loro ventre. Le mancò l'aria, percepì ancora le spalle al muro. Cosa aveva imparato in quegli anni? A scappare? No, aveva imparato a riemergere, a contare su se stessa e a fortificare il proprio nerbo. Lei esisteva, al di là di tutto, esisteva ed era un pezzo della scacchiera. Tutto stava a scegliere di non essere solo un semplice fante, che chiunque e qualunque cosa poteva schiacciare. No, Awryn non si sarebbe fatta annientare anche dal non essere stata in grado di fermare i suoi amici: avrebbe lottato, contro il male, per proteggere anche loro.

***

Moem squadrava Iryil di sottecchi, distogliendo lo sguardo quando lei si accorgeva della sua curiosità. Avevano da poco attraversato il confine di Acasti e lui aveva acuito tutti i suoi sensi, mettendo anche in allerta Rakm, che con snasate, uggiolii e ringhi li guidava. Moem era ragionevolmente convinto che i soldati Tarkir fossero vicini, ma trovarli si stava dimostrando molto arduo, dato che i Sunek battevano la zona in ogni direzione. Forse, si era detto, cercavano anche loro gli uomini dell'Est. Nel frattempo la sua compagna di viaggio non mostrava alcun timore, anzi si era chiusa dietro ad un muro di impassibile silenzio, cui lui non aveva saputo dare alcun significato.

Se Iryil era arrabbiata, non lo dava a vedere con segni tangibili: i suoi polsi non tremavano, i lineamenti si indurivano appena, non alzava la voce. Se ne stava muta, col passo dritto e deciso. Moem si era persino chiesto se non stesse avviando una qualche conversazione interiore con lo spirito. Ad ogni modo il ragazzo aveva notato una sorta di nuova decisione in lei, una fermezza inesorabile, che aveva iniziato ad ammirare. Non aveva chiaro quale fosse il futuro, lo vedeva nebuloso e grigio, ma sapeva che Iryil ora non voleva più sottrarsi a qualunque cosa la aspettasse. La speranza crebbe in lui: forse avevano trovato un'alleata.

Un rumore lo distrasse: Rakm si immobilizzò, rizzò il pelo e scoperchiò le gengive, emettendo un suono grave e minaccioso. Poi, con cautela, il cane iniziò a muoversi, naso a terra e sguardo alto. Di tanto in tanto si girava verso di loro. –Forse dovremo seguirlo- azzardò Moem.

-No. Non ora. Ci dice di restare qua, andrà lui in....-

Una freccia le colpì la gola, strozzando ogni speranza di Moem.





SCHEEEEEERZOOOOOO! Buon primo Aprile!

Spero mi perdonerete...ora faccio continuare il capitolo come si deve XD

-No. Non ora. Ci dice di restare qua, andrà lui in avanscoperta- gli rispose Iryil. Moem inforcò le redini del cavallo e strinse la spada, pronto a difendere la sua compagna. Lunghi minuti trascorsero nel silenzio melmoso della palude, rotto dallo sciabordio lontano delle onde. Moem se ne rese conto solo allora. Un pensiero tremendo affiorò in lui: forse si erano spinti troppo ad ovest e ora rischiavano di essere catturati. Fu in quel mentre che Rakm tornò da loro: li guardò e si voltò ancora verso la boscaglia.

Fruscii provenivano bassi dalla direzione in cui era sparita la loro guida. –Dice di seguirlo con cautela- gli disse Iryil. Moem diede un piccolo colpo col tallone al cavallo. –Ci sono uomini, ma non capisce se sono nemici- spiegò Iryil.

Il duo si avvicinò a sufficienza da poter percepire quei rumori con più chiarezza: armi che venivano molate, bagagli che venivano riempiti. Moem la invitò ad attendere lì. –Non se ne parla, non vai da solo- disse lei scendendo da cavallo appena dopo di lui. Moem gettò gli occhi al cielo. Dannate donne.

La trascinò in basso verso cespugli aggrovigliati e contorti, avvicinandosi di sottecchi all'accampamento. Tirò appena fuori la testa dal suo nascondiglio e li vide: i Tarkir si preparavano a partire. Moem si alzò di scatto e iniziò a urlare, colto dall'entusiasmo.

-Uriel! Uriel! Awryn!- chiamò. Vide qualcuno preso di sorpresa puntargli le armi contro, poi Awryn farsi strada fra gli uomini, correndo e incespicando. Awryn gli si scagliò contro, stringendolo al limite del soffocamento.

-Sei vivo!- gli disse con sorpresa.

-Sì che sono vivo, ma se mi soffochi così non ci resterò!- bofonchiò lui, liberandosi dalla stretta della sorella.

Awryn sollevò lo sguardo su Iryil e sorrise: un sorriso largo e calmo. –Ti ha trovata- disse.

-Avevi dei dubbi?- si offese Moem.

Iryil tentennò. –Sei sua sorella- osservò. Awryn annuì. Iryil la squadrò, sciolse le spalle e senza dire altro l'abbracciò. Awryn rimase spiazzata, ma ricambiò presto quel gesto d'affetto, socchiudendo gli occhi e lasciando scappare dalle ciglia una piccola lacrima. –Ora abbiamo speranza.-


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