Capitolo 18 -Tessere incubi-
La sua risata continuava ad apparirgli in sogno, con la luce che giocava tra le spighe mature dei suoi capelli.
La vuoi? È tua, prendila! Hai tutte le facoltà per farlo. Puoi allungare le tue dita, afferrare la sua mano, portarla lontano dai suoi compagni. Tutto ciò che devi fare è separarla da loro.
Okksel serrò le palpebre, infastidito da quella voce che continuava a tormentarlo. Da giorni ormai non aveva più pace. Da settimane aveva un vuoto dentro, che solo lei aveva potuto colmare. Aveva finalmente liberato Nirel, dando la pace al ricordo di sua madre, e poi il vuoto si era impossessato di lui. Un vuoto oscuro, pronto a divorarlo, annegandolo in un'esistenza priva di scopo. Non era nessuno, per nessuno.
Poi era comparsa lei, bella, stupenda, pura come una sorgente di montagna, fredda come le nevi da cui era nata. Magnetica, aveva riempito ogni suo pensiero, nutrendo il suo desiderio di essere qualcuno, per lei. Eppure Verkela gli sfuggiva. Okksel comprendeva che la mistica provava qualcosa per lui, ma altri sentimenti ne riempivano il cuore. Sentimenti per Rhielorm, che lo vedeva per quello che era, che l'ammoniva sul suo conto.
Infine la voce di Gorn aveva iniziato a riempirgli la testa. All'inizio non aveva capito, all'inizio gli era parso solo che si trattasse del suo subconscio. Poi aveva iniziato a dargli ascolto. Infine aveva capito che si trattava del generale Sunek.
Manovrali Okksel! Mettili uno contro l'altra. Solo così l'avrai.
Okksel non aveva nemmeno provato a ribattere. Infondo loro cos'erano per lui? Estranei, nulla più.
***
Nayif si aggirava nel deposito dell'avamposto. I suoi occhi erano sgranati, la bocca una fessura traboccante d'orrore. Sulla sua testa decine di altre torri rosse s'innalzavano al cielo. Rhielorm, dietro di lui, gli stringeva un braccio con entrambe le mani, impressionata.
Se solo una di quelle fosse stata azionata... Nayif rabbrividì.
-Vieni, avviciniamoci- sussurrò all'amica.
Il loro riflesso si allungava nello specchio dei cilindri color antracite che sbucavano dalle fessure delle torri.
-Cosa credi che siano?-
-Gli stessi che hanno usato a Rileel e che hanno colpito Awryn- disse Nayif. -Ma più potenti.-
-Lo credo anch'io. Credi siano la causa dei tentativi di corruzione?- chiese la mistica. –Sembrano un misto di negromanzia e meccanica, ma non ho mai visto nulla del genere.-
Ne osservarono ancora le superfici levigate, senza riuscire a carpirne alcun segreto. Nayif si guardò le spalle: coppie di guardie presidiavano le uscite del deposito.
-Non ne ho idea, ma faremmo meglio a non costringerli ad usarli.-
***
Il bagliore rossastro delle torce baluginava sulle pietre della torre di guardia. Uriel osservava i suoi uomini scivolare tra le ombre, prendere posto come attori su di un palcoscenico. Le nuvole scure nascondevano la luna, la nebbia avvolgeva l'avamposto, giocando a loro favore. Vide i contorni fumosi di Aner ed Awryn sbucare da un cespuglio e assalire alle spalle le guardie del portone. Quelli mandarono un rantolo strozzato, mentre i loro corpi si accasciavano al suolo. Aner li trascinò dietro ai cespi dove poco prima erano nascosti loro stessi ed Awryn fece sprizzare delle scintille, con le pietre focaie, nella sua direzione.
Neutralizzati. Abbiamo il controllo della porta.
Uriel annuì nell'ombra. Le torri erano già state prese, il portone anche, i depositi chiusi. La metà dell'avamposto era immersa nel sonno, la restante parte era già caduta. Si volse a Farkas e Corse alle sue spalle.
-Date il segnale.-
Osservò i due sollevare con cautela un otre pieno di un olio speciale, preparato dalle mistiche. Farkas versò lentamente il suo contenuto nella fiaccola, la quale divenne istantaneamente di un verde brillante, allungandosi in spire contorte nel cielo. Sembrò quasi soffrirne, tentare di liberarsi della sostanza, per poi soccombere tra atroci sofferenze.
Uriel s'immobilizzò. Si rivide bambino per un istante, oppresso da quel senso di abbandono che l'aveva sempre soffocato, avvolto dalla fredda indifferenza del mondo che lo circondava. Non c'era nulla, guardandosi indietro, che avrebbe potuto dargli una qualche certezza. Nel bosco, solo pochi giorni prima, aveva rivisto uno dei suoi incubi più frequenti, quello che lo tormentava fin dai primi giorni di vita.
Di nuovo quelle urla, di nuovo quei passi che si allontanavano, quelle porte che sbattevano. E poi un altro ricordo era affiorato... mani che lo stringevano, che lo scuotevano, urla nelle sue piccole orecchie. Il suo pianto fragoroso.
Il proseguo di quell'incubo erano le armi, il loro incrinarsi, il loro tintinnio. Aveva sempre interpretato quell'associazione come una causa logica del proprio abbandono. Ma quella nuova sfumatura gli aveva concesso di vedere un po' più in là nei propri ricordi dimenticati. Aveva capito, ora, che le due cose non erano collegate, eppure erano mescolate nella sua testa, perché non aveva conosciuto altri modi di esorcizzare quel dolore.
Aveva rivisto quel bambino maltrattato, abbandonato, solo, arrabbiato, colmo d'odio. Il caso lo aveva regalato ad un uomo che già all'età di sei anni gli aveva insegnato a difendersi e ad attaccare. Nulla era parso più naturale che la strada sulla quale ora muoveva i suoi passi, attaccando ogni nemico con tutta la furia di cui era capace, cercando una pace che non sapeva come raggiungere. Ora però forse c'era una speranza anche per lui...
-Comandante?- chiese Farkas.
Uriel spostò lo sguardo alle porte che venivano fatte ruotare sui loro cardini, mentre la retroguardia sciamava nell'avamposto con ordine.
***
Sapeva cosa stava accadendo nell'edificio in quel momento. Le porte venivano aperte, a gruppi di quattro gli uomini dell'Est entravano e tagliavano la giugulare dei Sunek addormentati. Sapeva anche che non sarebbe andata avanti così per molto. Delle urla squarciarono l'oscurità.
-Ci attaccano! I Tarkir ci attaccano!-
Il comandante diede l'ordine di rientrare.
-Seguite le urla, i nostri avranno bisogno di aiuto. Non ci metteranno molto a capire che li abbiamo fatti entrare noi.-
Si catapultarono lungo le scale a chiocciola. Alcuni Sunek tentarono di salire. Uriel estrasse la daga che portava al fianco, cogliendoli di sorpresa. Affondò il primo, mentre Corse, qualche gradino sopra di lui, incoccava una freccia nell'arco. Farkas guizzava, spuntando alle sue spalle per affondare i pugnali nei nemici che gli si paravano di fronte. Lo spazio era ristretto, ma tra le frecce sibilanti di Corse e le piccole lame di Farkas, riuscirono a farsi largo senza difficoltà.
Nei corridoi, il viscidume rossastro del sangue imbrattava il pavimento, coperto dai corpi di quelli che già erano caduti. D'un tratto le pareti sembrarono distorcersi, ripiegandosi su di loro. Il cuore di Uriel mancò un battito. L'aria sembrò svanire dai suoi polmoni. Il comandante si portò le mani al collo, mentre annaspava. Scorse Farkas che lo incitava a rialzarsi, incurante di quel che stava succedendo alle mura.
I suoni giungevano ovattati, la vista gli si appannava. Stava soffocando.
Percepì i sensi farsi sempre meno reattivi. Aveva freddo alle dita, ma ben presto anche quella sensazione svanì. Le palpebre si fecero pesanti, le gambe cedettero.
D'improvviso una voce lo raggiunse. Non seppe dire da che meandro del suo cervello venisse, ma la voce di Awryn lo svegliò. "Resistete! È la corruzione, resistete!", "Suppongo sia un diversivo, farci sopraffare dalle nostre stesse paure. Infondo quali sono le nostre peggiori paure? Quelle che ci vedono come dei mostri."
Uriel riprese a respirare. Mise a fuoco i suoi uomini, intenti a coprirgli le spalle. Il clangore delle spade riempì la sua testa. Ebbe un fremito, doveva trovarla.
-Dov'è Awryn?- Chiese a Farkas, tirandole un braccio.
-Cosa vuole che ne sappia, comandante?- rispose la ragazza. Uriel la scostò senza troppi complimenti. Si fece largo con la spada tra i combattenti. Attorno a lui, Sunek e Tarkir, stretti in quella danza della morte, si fronteggiavano occhi negli occhi, incrociando le armi e privandosi della vita l'un l'altra. Awryn aveva ragione nel provare quell'orrore quando gli eventi li costringevano a combattere degli uomini. Uriel poteva scorgere le emozioni nei loro occhi, appena prima di sentirli spirare.
Si sentì sporco, sbagliato, colpevole. Percepì un forte bruciore agli occhi, mentre lacrime si accumulavano nelle sue congiuntive. Lei avrebbe capito, lei avrebbe forse potuto lenire quella pena.
-Awryn!- la chiamò.
Per un istante temé per la sua vita. Uriel ne conosceva il valore, ma se le fosse accaduto qualcosa?
-Awryn!- urlò più forte.
***
Okksel riaprì gli occhi. Gli era sfuggito. Uriel si era in qualche modo sottratto agli artigli della paura. La manipolazione non stava avendo effetto su di lui. Eppure gli era sembrato che fosse il più suscettibile dopo Verkela. Le tenebre si erano allungate senza difficoltà nel suo cuore, ma un pensiero libero lo aveva sottratto alla sua presa.
-Che ti prende?- chiese con voce arrochita Verkela, rialzando il capo dal suo petto.
-Nulla- mentì lui, rivolgendo lo sguardo al cielo nero, sopra le loro teste. L'aveva portata sul tetto, convincendola della necessità di stare al sicuro. Stava funzionando, le difese della mistica cedevano, ma ancora qualcosa la teneva lontana da lui. Era un lavoro di lima che avrebbe compiuto con cura e pazienza. Nel frattempo avrebbe dovuto assecondare i desideri di Gorn.
Ora hai il potere di piegare le loro menti. La tua lama sarà la loro paura. Ti ergerai sulle loro insicurezze, prendendo possesso della situazione. Vogliono Belwor? Fagliela prendere. Ma devi tagliare la testa del serpente e prenderne il posto. Credi nel potere che io solo ti ho dato, Okksel. Ora, sei qualcuno. Ora sei l'Adepto. Ora sei il pastore delle paure, ora sei il tessitore d'incubi. Ora sei il mio prescelto. Prega il Caos, prega il tuo dio Gorn e agisci col dono che ti ha fatto: l'arte della manipolazione.
***
Awryn tirò un calcio ad Arrorn, tentando di fargli perdere l'equilibrio. Il Sunek aveva evidentemente compreso da subito che la truppa inviata da Rellang non era altro che un convoglio di Tarkir e non aveva perso tempo. Aveva afferrato una piccola ascia e si era scagliato sulla ragazza.
L'uomo barcollò ma non cadde, al contrario schivò appena in tempo la spada di Awryn, per poi caricarla e sbatterla contro il muro. Awryn accusò il colpo lungo tutta la colonna vertebrale, sentì i polmoni schiacciati tra la pietra e la spalla dell'uomo. Si piegò e rovinò al suolo, mentre un'ombra le toglieva quel peso di dosso.
Riaprì gli occhi a fatica, quel tanto che le bastò per scorgere Uriel sopra ad Arrorn. Il Sunek bloccava le mani del comandante, il quale stringeva un pugnale con la punta a meno di una spanna dal collo del rivale. Con un secco colpo di reni, il massiccio ufficiale dell'Ovest ribaltò le loro posizioni.
-No!- Awryn vide l'accetta in terra, vi si lanciò appena in tempo, per poi girarsi e conficcarla nel braccio del Sunek. L'uomo rotolò di lato, mentre un altro Sunek gli rovinava addosso, spezzandogli l'osso del collo.
Uriel si rialzò. I loro occhi si incontrarono e lei poté scorgere ancora una volta il fantasma dell'insicurezza.
-Ho avuto paura che mi abbandonassi- disse lui, tremante. Awryn comprese: c'era un passato, c'era un dolore, un grande dolore di cui lui non le faceva menzione. C'era molto di più dietro ad ogni gesto di Uriel. Lo guardò, vide un mondo di cui non sapeva poi molto e ciò che intuiva sarebbe forse bastato a spaventarla in un'altra vita. Ma ora Awryn era diversa, ora Awryn voleva sapere.
Gli strinse le mani tra le sue. –Non potrei mai.-
Awryn lo tirò dolcemente verso di sé, facendosi strada tra i combattenti. Uriel zoppicava e tremava. Lei si sentì in dovere di portarlo in un luogo sicuro. Ai piani superiori la lotta si era già spenta, spostandosi più in basso. Quindi Awryn aprì la porta di un alloggio e lo trascinò dentro. Lo aiutò a stendersi su di una brandina, in un silenzio carico di apprensione, gli carezzò il viso, sedendosi al suo fianco.
-Dev'esser stato quando ti sei gettato su Arrorn- iniziò lei, alludendo alla gamba.
-Penso di essermela rotta.-
-Vuoi che vada a trovare Rhirm?-
-No, resta.-
Awryn annuì nella penombra. Le sue mani potevano cogliere le stille sugli zigomi di lui.
-So che non dovrei chiederlo, ma c'è qualcosa che ti turba, qualcosa del tuo passato... Parlamene, Uriel. Sono qui per te, puoi fidarti.- Lui affondò il viso nel fianco di lei. –Cos'hai visto nel bosco?-
Trascorse qualche minuto di silenzio, poi il comandante parlò.
-Ho rivisto i miei primi ricordi, ho rivisto una madre che mi ha abbandonato. Non per la guerra, come ho sempre creduto. Dio solo sa per quale motivo, ma era colma di rabbia verso di me. È stata colpa mia se mi ha lasciato- sputò quelle parole tra i denti stretti, forzandole ad uscire quando la sua bocca non voleva lasciarle andare.
-Eri solo un bambino. Come potevi averne colpa?- Awryn gli rispose di getto, ma la propria frase riecheggiò nella sua testa. Come aveva potuto lei stessa pensare di avere delle colpe? La guerra aveva portato via tutto ciò che era stata la sua infanzia. –Sei stato abbandonato su di un campo di battaglia, giusto?- ricordò lei.
Lui annuì di rimando. –Non hai avuto infanzia, né una casa, né ricordi felici- comprese lei. Awryn sgranò gli occhi nel buio, li sentì pizzicare. Lasciò che le lacrime scorressero sulle proprie gote, incapace di trattenerle.
-Avrai una casa e dei ricordi felici, te lo prometto- gli disse, stringendolo a sé.
***
Lo scontro si spense con le prime tenui luci dell'alba. Uriel uscì sorretto da Awryn, non appena il coro delle armi fu scemato, e riunì subito i suoi uomini. Awryn lo aiutò a sedersi, nell'attesa che Rhirm lo guarisse, quindi si guardò meglio intorno. I volti di Corse, Aner, Farkas e di tutti i suoi compagni erano tirati e sporchi di sangue, ma avevano vinto.
-Quanti uomini abbiamo perso?- chiese Uriel.
-Non più di una ventina, comandante. Direi che ce la siamo cavata piuttosto bene- rispose Okksel con una smorfia. Awryn lo fissò: era pulito. Vestiti lindi, non una goccia di sangue o traccia di stanchezza sul suo viso. Verkela si teneva a un suo braccio, lo sguardo perso nel vuoto.
-Una vera passeggiata- disse Aner, sorridendole e facendole l'occhiolino. Il balestriere si reggeva il braccio destro e aveva le occhiaie più profonde che mai.
-Non direi, visto che il nostro comandante è ferito. Posso sostituirti io nella supervisione del prossimo attacco, così avrai tempo di riprenderti- propose Okksel, scostandosi il ciuffo scuro da davanti agli occhi.
-Non credo ce ne sarà bisogno, Rhielorm mi rimetterà a posto. Vi darò una giornata di riposo- rispose Uriel.
-Dunque la prossima mossa sarà prendere Itysia?- chiese Aner.
Il biondo annuì. –Manteniamo lo stesso schema, cinquecento di noi si fingeranno Sunek, gli altri faranno da retroguardia, il terzo gruppo resterà qui a dare il benvenuto ai prossimi cambi.-
-Forse sarebbe meglio che Rhielorm facesse parte dell'avanguardia, no?- propose Okksel.
Uriel aggrottò le sopracciglia. –Sì, certo, abbiamo bisogno di un curatore.-
-Verkela invece vorrebbe restare qui a dare una mano. Non è vero?- chiese il ragazzo alla mistica, la quale annuì. Continuava ad esserci qualcosa di strano che permeava gli atteggiamenti di Okksel. Awryn si chiese se lei fosse l'unica ad accorgersene, ma anche Uriel aveva un'espressione dubbiosa a quel punto.
-Come volete- disse infine, stringendosi nelle spalle. Awryn si disse che Uriel era troppo accondiscendente col ragazzo, ma lo aveva preso a cuore e forse non riusciva a vederne appieno le stranezze. Okksel nascondeva qualcosa, era evidente. Doveva parlare con Rhielorm, non c'era altro da fare.
-Per ora siete congedati, ripulite questo schifo e riposatevi- proseguì il comandante, abbozzando un sorriso sghembo.
***
Syas aveva seguito le informazioni che gli erano state date fino al confine con Raleb. Qui, in un piccolo villaggio, sapeva essere stati dei Tarkir, scappati dal fronte.
Si guardò attorno. Lo spettacolo che gli appariva guardando a Ovest era desolante: il cielo nero spiegava le sue ali su una rena secca e arida, dove l'occhio si perdeva, incapace di trovare un punto di riferimento. Tornò a guardare le rudimentali case di pietra di Telar ed entrò in una locanda.
Si sedette al bancone. La sala era quasi completamente vuota, eccetto che per l'oste, intento a pulire alcuni tavoli.
-Arrivo subito. Non capita più tutti i giorni di avere un cliente- disse quello, senza neppure voltarsi. L'uomo lo raggiunse. Aveva un grosso naso e rughe che correvano profonde su una pelle piena di macchie, solcata da un'espressione gioviale.
-Oh, ma sei un Tarkir!- esclamò guardando la sua uniforme.
-A dire il vero sono noumeniano- ribatté lui, accompagnando quella frase con un sorriso stanco.
-Questa è bella! Addirittura da Noume. Ormai qui si vedono solo Tarkir, i miei concittadini sono quasi tutti scappati ad Est.-
-Quando avete visto gli ultimi Tarkir?- chiese Syas.
-Oh! Ma quando quella ragazza è arrivata qua, dopo la sconfitta delle sue truppe. Ha detto di essere un sergente o qualcosa di simile. Non era mica messa bene! Nel suo stato non avrebbe dovuto continuare la campagna- borbottò, scuotendo la testa.
-Che ragazza?-
-Io- disse una voce femminile alle sue spalle. Syas si voltò e vide la giovane donna. Riconobbe quel viso, era un'esploratrice. Gli occhi scivolarono sul suo ventre, teso e gonfio. Era incinta.
-Capitano Syas, non troverai qui la tua unità- proseguì lei.
Syas la fissò, quindi la invitò a sedere al proprio fianco. –Raccontami ciò che è successo, sergente Martia.-
Spazio autrice:
Salve a tutti ragazzi! ^^ Iniziamo col parlare del capitolo. Come avrete notato è un po' più corto del solito, ma spero vi piaccia comunque. È un capitolo molto delicato, come avrete intuito, che ci fa sbirciare nel passato di Uriel. Ammetto di essermi emozionata io stessa, nel scriverlo, quindi spero veramente che quello che volevo trasmettere arrivi anche a voi.
Detto questo, come saprete mi sono trasferita da poco in un appartamento in condivisione con altre ragazze, molto lontano da casa mia. La ragione per cui fatico tanto ad aggiornare sta nel fatto che:
A) Non ho il wi-fi a casa;
B) Non ho più i miei spazi e i miei tempi per così dire.
Quindi in sostanza vi chiedo un po' di pazienza, devo ancora ambientarmi. Non mi dimentico di voi, tranquilli!
Wendy
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